Identità digitale per tutti
Le Nazioni Unite, in collaborazione con diverse organizzazioni governative, Ong e realtà aziendali, progetta di dotare tutte le persone di identità digitale entro il 2030. A questo fine è stata creata una partnership, chiamata ID2020, il cui obiettivo è quello di definire uno standard di identificazione globale e digitale.
Perché ora?
La proliferazione e la portabilità dei dispositivi, accompagnata dall’aumento della copertura di rete, ha posto al centro temi come privacy, autenticazione e accesso digitale ai servizi. L’identità digitale è dunque divenuta un obiettivo primario intergovernativo sia per chi fosse già fornito di carta d’identità e chi no. Nel settembre del 2015 gli Stati Membri delle Nazioni Unite hanno deciso di includere l’identità digitale fra gli obiettivi target dell’agenda “2030 Sustainable Development Goals”.
Perché avere un’identità è necessario?
Avere un’identità è una forma di riconoscimento legale, sociale, politico ed economico.
• Riconoscimento legale: L’articolo 6 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani cita “Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica”, ovvero la possibilità individuale di esercitare dei diritti. Ottenere un’identità legale comporta l’ottenimento di un nome e cognome - tramite certificato di nascita - e l’acquisizione di diritti e doveri.
• Riconoscimento sociale e politico: Avere un’identità apre alla possibilità di accedere ai servizi pubblici primari, tra cui spiccano quelli sanitari, educativi, di partecipazione alla vita politica e l’accesso a programmi di assistenza.
• Riconoscimento economico: Avere un’identità permette di accedere a servizi finanziari primari, come aprire un conto corrente e avere la possibilità di creare e scambiare economia producendo valore nella società.
ID2020 promuove l’identità digitale con la visione di rendere più efficienti i sistemi di identificazione con il fine di limitare fenomeni come lo sfruttamento e il traffico di minori, la corruzione ed errori nell’allocazione di risorse d’assistenza. Una mappatura di identificazione digitale può aiutare inoltre la gestione dei flussi di migranti, profughi e rifugiati, munendo gli individui di una prova d’identità spendibile su scala globale.
Perché blockchain?
Il passaggio dalla teoria alla pratica è stato avvenuto grazie a una tecnologia emergente: blockchain, un registro open-source decentralizzato di informazioni non gestito da un ente centrale, ma localizzato in vari punti della rete.
Grazie all’uso della crittografia le informazioni personali vengono trascritte all’interno del registro e divengono immutabili e protette.
La persona proprietaria delle proprie informazioni può condividerle ogni qualvolta lo ritenga necessario.
Le peculiarità di questa tecnologia fanno sì che i dati siano sempre e ovunque accessibili. In un modello di questo tipo le indicazioni di un trattamento medico avvenuto ad Aleppo potrebbero essere istantaneamente lette da un ospedale di Catania.
In una blockchain l’individuo è garante e proprietario delle proprie informazioni, per sempre registrate anche se non se le porta con sé. Le modalità di accesso alle informazioni sfruttano un sistema di lettura biometrica: ogni qualvolta una persona vuole visualizzare o condividere le proprie informazioni, è sufficiente la rilevazione delle impronte digitali e dell’iride.
Dare la possibilità ad ogni essere umano di farsi riconoscere facilmente sta alla base del processo di inclusione sociale.
Blockchain integra nei database distribuiti un sistema “trustless”. Queste modalità di conservazione e accessibilità delle informazioni potrebbero portare ad un cambio di paradigma nel concepire il concetto stesso di identità. Se in una fase precedente la rete ha facilitato il fenomeno di dispersione dei dati identitari personali, in una seconda fase blockchain potrebbe permettere la conservazione delle informazioni in un registro open-source di cui nessuno ne sia proprietario, rendendo l’identità padrona di sé stessa.