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Ciao!
Come spiegato in un precedente post, quello che trovi di seguito è un romanzo che scrissi alcuni anni fa e che ho deciso di revisionare negli ultimi mesi. Il titolo dell'opera è: La bestia dagli occhi di ghiaccio. La versione completa è disponibile su alcune piattaforme online in formato e-book o in cartaceo. Si tratta di un thriller ambientato in Italia, tra le pendici delle Alpi Apuane, che tocca altri generi come l'horror e il fantasy. Ci sono alcuni temi abbastanza forti, per cui consiglio la lettura a un pubblico di età adulta (over 18).
Cliccando sulla corrispondente parola in colore azzurro, puoi trovare:
il PROLOGO | il CAPITOLO 1 | il CAPITOLO 2 e il CAPITOLO 3
il CAPITOLO 4 e il CAPITOLO 5 | il CAPITOLO 6 e il CAPITOLO 7
il CAPITOLO 8 | il CAPITOLO 9 | il CAPITOLO 10 e il CAPITOLO 11
il CAPITOLO 12 | il CAPITOLO 13 | il CAPITOLO 14 | il CAPITOLO 15
il CAPITOLO 16 | il CAPITOLO 17
oppure puoi proseguire nella lettura del post per trovare il CAPITOLO 18.
Buona lettura!
Copyright © 2013 Davide Simoncini
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LA BESTIA DAGLI OCCHI DI GHIACCIO
Romanzo
Proprietà letteraria riservata. È vietata la modifica, l'utilizzo e la riproduzione, in qualsiasi formato, su qualsivoglia mezzo digitale, cartaceo o di qualunque altra natura, senza il permesso esplicito dell'autore, a eccezione della personale consultazione.
Edizione Modificata e pubblicata nuovamente nel mese di Maggio 2023.
Questo romanzo è un'opera di finzione.
Il contenuto di questo romanzo è quasi interamente fittizio. Ogni riferimento (persone, luoghi, oggetti, avvenimenti, usanze, eccetera) è fittizio o casuale. Per ulteriori informazioni sarà possibile consultare la nota d'autore che verrà pubblicata dopo l'epilogo del romanzo.
CAPITOLO 18
Alcuni anni prima, Settembre 1995,
Passo Croce, Alta Versilia
Cosimo estrasse l'accetta dalla borsa di cuoio. Era appena tornato dalla foresta. Posò lo sguardo sui prati, assaporando il tenue sospiro del vento.
Era arrivato Settembre, adesso in procinto di aprire le porte all'imminente stagione autunnale. Aveva deciso che era momento di preparare la capanna nei pressi di Passo Croce, quella che utilizzava in Autunno e Inverno. Era impensabile arrivare lì da Retignano nei mesi più gelidi, le ore di luce erano troppo esigue per poter effettuare il tragitto. Da anni aveva iniziato a vivere in una capanna proprietà di vecchi pastori, lasciata in dono alla natura dopo l'abbandono dei proprietari. Cosimo aveva rimesso a nuovo il locale, semplice e con pochissime stanze, un camino per scaldarsi e poco altro: tutto ciò che gli serviva per sopravvivere lassù. Sul retro riposava un orticello in cui piantava gli ortaggi del periodo. A fargli da capigliatura nei mesi bui, le lunghe infiorescenze di cardi e finocchi.
Spostò la borsa a lato e cominciò a riversare la propria forza su dei corposi ciocchi di legna, accatastati a due passi da lui. Ansante per la fatica, guardava il legno spezzarsi, con varie schegge esplodere mentre il metallo dell'accetta lo smezzava. Una volta ottenuti pezzetti parecchio più piccoli, si adoperò per cercare una lima e un coltello affilato. La ricerca degli attrezzi lo fece imprecare: probabilmente erano rimasti sul fondo del borsone.
Il suo amico Oreste gli passò a fianco, la lingua fuori dalla bocca come un pendolo rosa corallo. Lui gli sorrise, il suo amico abbaiò. Poi tornò da dove era venuto, dentro il recinto con il gruppo di capre intente a scorticare il terreno.
Cosimo trovò gli attrezzi che cercava. Rialzò lo sguardo, lo posò sulle bestie.
E lo vide.
Il bambino era chino sull'erba, con Oreste che cercava di catturare la sua attenzione scodinzolandogli attorno. Cosimo reagì con un brivido. Quel piccolo insperato regalo del destino riusciva a metterlo a disagio ogni volta.
Lo aveva trovato da poco più di due mesi, mentre scendeva verso la casa sopra il paese di Retignano. Quella notte, si era chiesto per ore quale fosse la cosa migliore da fare.
Lui era un semplice pastore. Viveva come un eremita ed era malvisto dalla società in genere, fin da quando era ragazzo. Si sa, chi vive da emarginato quale lui era otteneva su di sé tutti i difetti del mondo. Rammentava bene quando gruppetti di benestanti signori partorivano giudizi senza possibilità di appello, affibbiando agli emarginati i difetti e le colpe a cui soltanto quelle bocche ingrate in realtà avevano diritto.
Cosimo non aveva più contatti umani, ad eccezione di rarissime visite agli empori e alle tutto sommato soddisfacenti vendite di formaggio caprino. Teneva le forme in quella capanna, in quella che aveva ribattezzato come “stanza dei formaggi”. L'unica cosa che respirava in quella stanza erano le duecento forme di caprino che otteneva dal latte dei suoi animali. Su dei vecchi scaffali, rimanevano a stagionare, catalogate in base alla durata del processo. Soltanto lui sapeva dell'esistenza di quella stanza. Lui e le poche amicizie che riusciva a contare sulle dita di una mano.
Amicizie pure, vere. Amicizie ormai tramontate.
Cosimo aveva avuto pochissimi amici, amici che ormai non c'erano più. Avevano raggiunto i propri antenati in cielo, l'ultimo a seguito di un bruttissimo male che lo aveva strappato troppo presto ai suoi figli. Ricordava Renzo, l'unica persona che fosse riuscita a elemosinare un aiuto da Cosimo. Era stato merito suo se aveva preso parte ai lavori di rifacimento prima dell'apertura del rifugio La Fania.
Adesso, soltanto lui. Soltanto Cosimo, Oreste e le sue caprette.
E quel bambino.
La sua mente tornò di nuovo a quella sera, alla notte in cui lo aveva trovato. Alle mille domande, compresa quella che lo aveva più turbato.
E se quel bambino fosse stato rapito e poi fuggito? Chi avrebbe mai creduto a Cosimo, un uomo ormai segnato dai pregiudizi, un uomo su cui nessuno sapeva nulla se non un vecchio fascicolo aperto dai suoi genitori per richiedere un documento d'identità allo Stato? Non aveva osato pensare ai guai con le autorità, a come la sua vita sarebbe stata se si fosse presentato da loro. Chi avrebbe dato credito a un vecchio pastore squattrinato e dalla pessima fama? Chi avrebbe spezzato una lancia in suo favore?
Il coraggio non era mai stato un suo fiore all'occhiello.
E così aveva scelto.
Il bambino era rimasto con lui. Un'ombra di cui la società a valle non conosceva l'esistenza. E così sarebbe rimasto, almeno per il momento. Cosimo non era bravo a indovinare le età ma pensava che quel piccolino avesse già quattro o cinque anni. Aveva qualcosa di strano che lo inquietava: quel bambino aveva due occhi trasparenti e non parlava per nessuna ragione. Aveva provato anche a stimolarlo, a fargli domande che potesse comprendere. In risposta, soltanto vuoto silenzio.
Cosimo terminò di intagliare i tre paletti che gli servivano e li piantò sull'ultimo recinto che doveva riparare. Cinque anni prima aveva speso una stagione intera a creare quella che era forse la più alta rappresentazione architettonica che fosse in grado di riprodurre.
Aveva diviso il terreno in quattro parti differenti. Ognuna di esse era diventata un appezzamento recintato dove le caprette potevano pascolare. Erano ampie, gli animali avevano tutto lo spazio necessario. Una sottile deviazione di un torrente permetteva all'acqua di arrivare al loro interno e alle capre di abbeverarvisi. La recinzione era l'aspetto che più apprezzava. Una filza di paletti di legno a cui erano legati orizzontalmente spessi fili di metallo, separati da una distanza di circa tre dita l'uno dall'altro. Ma il filo nel suo insieme non era un unico troncone: era formato da pezzi di filo uniti assieme grazie al lavoro di Cosimo, che li aveva avvolti come serpenti nel punto di congiunzione, lasciando le estremità appuntite ben sporte verso l'esterno. Qualunque animale avesse tentato di assaltare le caprette, avrebbe avuto un'amara sorpresa.
Gli attacchi degli animali erano imprevedibili. Lo erano stati anche quando avevano decimato il suo gruppo di bestie diversi anni prima. Oreste non era bastato a salvare la loro pellaccia.
Oreste.
Soltanto il suo fido amico Oreste era riuscito a penetrare l'indifferenza di quel bambino.
Il cucciolo d'uomo si era aggrappato al loro legame e continuava a vivere spensierato assieme a lui e alle caprette. Cosimo doveva prenderlo di peso per allontanarlo dall'amico a quattro zampe. Gli dava acqua, cibo, un giaciglio improvvisato che gli aveva costruito nella casa sopra Retignano e che adesso gli avrebbe costruito anche lì, nella nuova capanna. Sapeva che quel piccolino avrebbe goduto di una vita migliore se consegnato alla società, ma in questo modo erano andate le cose. L'unica soluzione alternativa a cui aveva pensato era stata di lasciare il bambino in prossimità di uno dei centri abitati più popolosi, sperando che qualcuno lo trovasse e lo allevasse. Ma anche in quel caso aveva abbandonato l'idea. Di farsi vedere non se ne parlava, per cui avrebbe dovuto lasciare il bambino comunque lontano dalle prime case. Incombeva così il rischio che nessuno lo trovasse, se non qualche animale selvatico senza la pazienza necessaria per trattare il cucciolo di un'altra specie con il dovuto riguardo.
Attanagliato da quel pensiero, Cosimo aveva rinunciato.
Il bambino sarebbe rimasto con lui, forse per sempre.
Alzò il mento verso il cielo. Il pomeriggio si apprestava a terminare. Tornò dalle sue capre e cominciò a spostarle nell'appezzamento più piccolo, quello che usava come riparo. Aveva creato un involucro protettivo fatto da solidi resti di tronco e da una spessa coperta di materiale plastico nero simile a nylon. Lì, le sue compagne di avventura avrebbero aspettato l'arrivo del mattino, ogni notte per i prossimi sei mesi.
Un improvviso rumore alla sua destra richiamò le sue attenzioni. Cosimo si voltò. Vide un po' di confusione, poi due delle caprette più piccole che lasciavano il gruppo, impaurite.
Era alle solite. Non imparano proprio, pensò.
Le vide uscire dal recinto e correre nell'erba. Fischiò. Il suo amico a quattro zampe si avvicinò e prese l'usuale posizione, mentre Cosimo cominciava a correre per raggiungere le caprette.
Il prato non era molto ampio, fuori dagli appezzamenti tracciati. Il panorama terminava su delle rocce che davano a strapiombo sui declivi sottostanti. Dannazione, pensò quando vide che le due fuggiasche si dirigevano proprio in quella direzione.
Le due capre continuarono a correre e Cosimo a inseguirle. Era affannato. Il suo stato di forma era nella media, ma dopo una giornata a tagliare legna le cose cambiavano parecchio.
Sentì il cuore che martellava mentre si avvicinava allo strapiombo.
Le capre hanno una dote naturale per le rocce. Sono animali che trattano le imperfezioni del terreno come un mago fa con i propri trucchi. Nessuno riesce a capire come facciano, eppure loro ci riescono. Saltano da un appiglio all'altro, zampettando senza paura tra uno strapiombo e una frana. E si rialzano, e perseverano, e tornano infine alla propria tana, sane e salve.
Ma Cosimo non era una capra.
Quando le sue scarpe scivolarono sulla roccia resa umidiccia dall'arrivo dell'imminente autunno, lui perse l'equilibro.
Cominciò a rimbalzare giù per la verticale di roccia, sapendo che l'unico appiglio dove fermarsi era settanta metri sotto di lui.
Nessuno sopravviveva cadendo per settanta metri.
Prima che le sue ossa si spezzassero contro il terreno, la sua mente andò a quello che lasciava.
Alle sue capre.
A Oreste.
A quel bambino.
Che cosa ne sarebbe stato di loro, Dio solo poteva saperlo.
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