La Bestia dagli Occhi di Ghiaccio - Romanzo | CAPITOLO 15 [ITALIAN Language]

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Ciao!

Come spiegato in un precedente post, quello che trovi di seguito è un romanzo che scrissi alcuni anni fa e che ho deciso di revisionare negli ultimi mesi. Il titolo dell'opera è: La bestia dagli occhi di ghiaccio. La versione completa è disponibile su alcune piattaforme online in formato e-book o in cartaceo. Si tratta di un thriller ambientato in Italia, tra le pendici delle Alpi Apuane, che tocca altri generi come l'horror e il fantasy. Ci sono alcuni temi abbastanza forti, per cui consiglio la lettura a un pubblico di età adulta (over 18).

Cliccando sulla corrispondente parola in colore azzurro, puoi trovare:

il PROLOGO | il CAPITOLO 1 | il CAPITOLO 2 e il CAPITOLO 3
il CAPITOLO 4 e il CAPITOLO 5 | il CAPITOLO 6 e il CAPITOLO 7
il CAPITOLO 8 | il CAPITOLO 9 | il CAPITOLO 10 e il CAPITOLO 11
il CAPITOLO 12 | il CAPITOLO 13 | il CAPITOLO 14

oppure puoi proseguire nella lettura del post per trovare il CAPITOLO 15.

Buona lettura!


Copyright © 2013 Davide Simoncini
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LA BESTIA DAGLI OCCHI DI GHIACCIO

Romanzo

Proprietà letteraria riservata. È vietata la modifica, l'utilizzo e la riproduzione, in qualsiasi formato, su qualsivoglia mezzo digitale, cartaceo o di qualunque altra natura, senza il permesso esplicito dell'autore, a eccezione della personale consultazione.

Edizione Modificata e pubblicata nuovamente nel mese di Maggio 2023.

Questo romanzo è un'opera di finzione.

Il contenuto di questo romanzo è quasi interamente fittizio. Ogni riferimento (persone, luoghi, oggetti, avvenimenti, usanze, eccetera) è fittizio o casuale. Per ulteriori informazioni sarà possibile consultare la nota d'autore che verrà pubblicata dopo l'epilogo del romanzo.


CAPITOLO 14

Oggi, Fociomboli

Ottavio svoltò a destra, facendo segno agli altri di seguire la seconda traccia nella quale il sentiero si scindeva. Con quello che avevano visto, non era prudente seguire la stessa strada. Nel caso fossero stati attaccati, almeno uno dei due gruppi avrebbe potuto fuggire. In più, Jack lo aveva rassicurato: prima di arrivare a valle i due sentieri si sarebbero ricongiunti.
«Speriamo che abbia ragione», si augurò mentre spostava un fascio di graminacee.
Linda rese chiaro il suo parere con una scrollata di spalle. Aveva ancora poca voglia di chiacchierare. Dopo quello che era successo, non poteva biasimarla.
Simone appariva invece meno segnato dall'accaduto. «È tutto merito dell'esperienza», sentenziò. «Jack ha vissuto da queste parti per parecchi anni. Conosce bene questi sentieri.»
Ottavio lo guardò. «Dici sul serio?»
«Certo. È rimasto quassù per quasi vent'anni, tra Fociomboli e Col di Favilla.»
Rammentò alcune parole di Daniele. Ecco che cosa intendeva. La sua mente cominciò a rimettere insieme i pezzi. L'amico di Jack aveva parlato di qualcosa del genere. Aveva detto di aver vissuto su quei colli per diverso tempo. Ottavio non gli aveva dato troppo peso a causa dell'animata discussione che stavano sostenendo.
«Anche Daniele, giusto?», chiese a conferma.
«Anche lui», assentì Simone.
«E tu? Per caso siete tutti di queste parti?»
«Io no, ho sempre vissuto tra Querceta e Pietrasanta. E nemmeno gli altri lo erano.» Esitò un istante. La sua mente tornò probabilmente a quelli che erano i ricordi con gli amici che non avrebbe mai più rivisto. Poi riprese, scacciando con le parole i peggiori ricordi. «Solo Daniele e Jack. Ci siamo conosciuti tutti quanti per vie traverse, ai tempi della scuola. Sandra e Andrea erano compagni di classe. Io e Roberto li abbiamo conosciuti tramite amici. Da allora ci siamo lasciati solo a tratti.»
«Storia interessante. Visto com'è ridotto adesso questo posto, non pensavo che potesse viverci così tanta gente.»
«La maggior parte si è trasferita più in basso. Giù a valle c'è un piccolo centro. Penso conosciate Isola Santa.»
«Certo. È famoso anche sulla riviera.»
Isola Santa era un paesino con tutto l'occorrente, fuorché i propri abitanti. Per lo più veniva frequentato da turisti e qualche raro albergatore. Gli edifici rustici svettavano come il grappolo di case di un presepe, all'angolo di una affascinante pozza d'acqua larga diverse decine di metri. Più a valle, procedendo verso Castelnuovo di Garfagnana, una diga artificiale permetteva il mantenimento di quel bacino, solo in rare occasioni destinato alla pesca.
Mentre parlavano, un piccolo cespuglio di rovi gli lasciò qualche ricordo sulle caviglie, il che lo obbligò a fare tappa per rimuovere le spine conficcate nei calzini. La loro punta sfregava contro la pelle, lasciando dei graffi sempre più profondi. Era un fastidio che preferiva non dover sopportare.
«Com'è che se ne sono andati tutti?», domandò a Simone mentre armeggiava con le suole. «E in così poco tempo, per di più.»
«Tante cose. Un po' per l'arrivo della moderna società, un po' per guadagnarsi da vivere in modo meno faticoso.»
Ottavio annuì. Era logico.
«Per rimanere al passo coi tempi», continuò Simone, «era impossibile fare una vita autosufficiente come quella di una volta. Oggi la società ti obbliga a essere partecipe anche quando non lo vuoi. Un minimo devi contribuire. Servizi sanitari, servizi pubblici in genere. Non è per togliere nulla a nessuno, ma qui a Col di Favilla i guadagni si misuravano per lo più in patate, fagioli e uova di gallina. Qualche eccezione c'era, mi hanno raccontato. Ma troppo poche per poter vincere la pressione del progresso.»
Appoggiò la mano su un albero, il primo che trovò sul sentiero. Rappresentava il casello per l'entrata nel bosco: diversamente da un'autostrada, per fortuna non avrebbero dovuto pagare il pedaggio. Si bloccò un attimo, ancora incuriosito. C'era una sfaccettatura di quella storia che voleva conoscere.
Jack aveva vissuto lassù per venti lunghi anni. L'uomo con il pizzetto aveva affermato nelle loro chiacchierate di aver lasciato gli studi appena iniziate le scuole superiori. Anche ammesso che fosse nato lassù, vent'anni erano comunque troppi. Terminò quel suo ragionamento a voce alta, chiedendo spiegazioni a Simone. «Jack non se n'è andato subito, non è vero?»
L'altro lo guardò con aria smarrita. «In che senso?»
«Quando ha finito la scuola, intendo.»
«Ah, capisco. No, lui no. E neppure Daniele. Hanno vissuto qui fino a ventiquattro anni.»
«E come mai se ne sono andati, poi?»
L'espressione svogliata con cui rispose fu più che chiarificatrice. La risposta in sé invece non lo fu per nulla. «A dire la verità non ce lo hanno mai detto. Né lui né Daniele. Un bel giorno piombarono a casa nostra. A quel tempo passavo parecchio tempo a Castelnuovo. Ci ritrovammo per una bevuta assieme e ci annunciarono la loro decisione. Mi presero alla sprovvista, un po' come Sandra e Andrea, del resto. Solo Roberto sembrava saperne qualcosa.»
«Così, d'improvviso?»
Simone annuì. «A detta loro era già da un pezzo che programmavano qualcosa del genere. Il motivo non lo sappiamo e non penso che lo sapremo mai. Loro dissero di non poter rimanere legati a quella vita. Ci spiegarono che era troppo anche per loro. Al tempo lavoravano in un bar a Castelnuovo. Spostarsi da là a quassù ogni volta non era il massimo.»
«Non mi sembri troppo convinto.»
C'era un ma, era chiaro.
«Io non sono nella loro testa, però il mio parere è che non ci abbiano detto la verità. Il motivo reale per cui se ne sono andati lo sanno solo loro, ma ho sempre sospettato che ci fosse qualcosa in più. Se c'è una cosa che ho imparato nel frequentarli è come interpretare le loro parole e le loro scelte.» Simone lasciò in sospeso i propri pensieri, quasi come volesse evitare di ufficializzarli. Ma Ottavio attese. Dalla sua silenziosa reazione, l'uomo pochi passi più avanti dovette intuire l'implicita curiosità. «Qualunque cosa dicano, è sempre una menzogna.»
«Sei un tipo categorico», lo canzonò.
«Sono un tipo realista», puntualizzò Simone. «Sono entrambe persone sulla loro, orgogliosi con gli altri. Qualunque cosa li abbia spinti ad andarsene, lo sanno e lo sapranno soltanto loro.»
«La curiosità di domandarlo non vi ha mai toccati?»
«Certo. Ma quando stai vicino a quel tipo di persona, impari in fretta a sopportare i misteri irrisolti della loro vita. Sono grandi amici, nonostante i caratteri non proprio da santificazione. Però sono chiusi. Hanno da sempre fatto coppia. Ognuno copriva le spalle all'altro. Per quanto ne so, avrebbero addirittura potuto uccidere qualcuno e portarsi nella tomba quel segreto.»
Una strana vena di serietà attraversò il viso di Simone. Anche la sua voce fu colta dalla stessa sfumatura. Ottavio se ne accorse di sfuggita, ma non volle indagare oltre. «Adesso non esageriamo», commentò invece. «Non mi sembrano tipi che possano arrivare fino a questo punto.»
Simone sorrise. «Amico, hai mai incontrato in tutta la tua vita una persona che ritenessi capace di uccidere qualcun altro?»
Quello che disse fu come un pugno allo stomaco. Lo disse scherzosamente, ma in quella frase percepì un fondo di inquietante verità. Voleva comunicare qualcosa, forse un dubbio che si era portato dietro per tanto tempo. Ottavio non aveva ancora capito quale fosse. Come fatto in precedenza, smise di domandare.
Continuarono a camminare.

* * *

«Jack! Per di qua.»
La voce riecheggiò poco dietro la sua testa. Si voltò nella sua direzione.
«Servirà soltanto ad allungare la strada.»
«Sì, ma almeno non sospetteranno nulla. È strategia, questa. Non dovrei essere io a insegnartela.»
L'amico aveva ragione. Non era da Jack. Lui era quello perennemente un passo avanti a tutti. Ma la verità era dura da nascondere. Esisteva un motivo se le cose stavano procedendo a rilento: Jack era turbato.
Aveva lasciato andare Simone con Linda e Ottavio. Ormai non si fidava più di quell'uomo. Era quasi del tutto certo che non c'entrasse nulla con gli incidenti avvenuti. Nonostante ciò, aveva detto all'ultimo membro del suo gruppo di tenere d'occhio sia lui che la sua amica. Tralasciare i dettagli non era una scelta saggia, ormai Jack lo aveva imparato da molto tempo.
Dubitava che Simone avrebbe disilluso le sue aspettative, però non riusciva ugualmente a placare l'ansia. Se era davvero Ottavio l'artefice di tutto quel trambusto, allora possedeva più doti di quanto volesse far credere. Sicuramente avrebbe escogitato qualcosa per capovolgere la situazione in suo favore.
Daniele lo fissò, sbracciando verso destra.
«Allora? Che aspetti?»
Ridestato dai suoi pensieri, rispose con un: «Arrivo.»
Si mise in marcia, scavalcando un mucchietto di terra e pietra. Dovette poi fare attenzione a un vecchio deposito di lamiere. Il maltempo aveva scoperchiato i tetti delle case, facendo crollare l'impalcatura secondaria. L'ultima cosa che ci si poteva aspettare era che quelle case seguissero le norme di sicurezza introdotte negli ultimi decenni. Col di Favilla veniva considerato come un villaggio disabitato, e il circondario non era da meno, salvo una manciata di edifici adibiti a rifugio. Veniva riutilizzata a malapena qualche abitazione, riaperta per Primavera o dopo l'arrivo dell'Estate. In cambio di una lauta somma, alcune venivano sporadicamente affidate a qualche coppia in cerca di riparo dall'afa.
Sbuffò, stufo di passare da un viottolo all'altro.
«Ci siamo», annunciò Daniele.
Davanti a loro, il sentiero penetrava nel bosco. Le ultime due case erano poco a lato della fitta massa di alberi, con le fondamenta radicate un metro sotto la strada. Messi al riparo tra le ombre del bosco, Ottavio non sarebbe stato più in grado di scorgerli.
Dovevano guadagnare tempo. Adesso era questo l'importante.
Entrarono nel bosco, fermandosi qualche metro dopo. Si guardarono negli occhi: Jack annuì. Meno di un secondo più tardi, virarono a destra seguendo un'immaginaria curva a gomito. Procedettero lungo la muratura di pietra che formava le pareti esterne delle ultime case.
Aveva insistito per formare due gruppi, ma non per la ragione che Ottavio pensava. Il suo scopo era diventare invisibile agli occhi dei loro ospiti, celato dietro i ripari che la natura gli aveva gentilmente messo a disposizione. Come Daniele, anche lui voleva andarsene da lì, ma non prima di aver trovato ciò che li aveva spinti a tornare in quei luoghi.
«Attento a quel ramo», disse al suo compagno.
L'amico procedeva a velocità sostenuta cinque metri davanti a lui. I suoi piedi si muovevano con agilità, ma sospettava che la sua attenzione non fosse quella dei tempi migliori.
Scavalcarono il frascone rinsecchito, immettendosi nel circondario di un'altra abitazione nascosta tra la boscaglia. Jack allungò il passo, tendendo la mano verso la spalla di Daniele. Lo bloccò nel giro di qualche istante, appena in tempo per evitare che il suo compagno uscisse alla luce del sole.
«Attento», lo rimproverò blandamente. «Non possiamo esporci senza controllare. Potrebbero vederci.»
«Che c'importa? Che lo facciano. Non dobbiamo spiegazioni a nessuno.»
«Sei stato tu a consigliarmi questo giro e solo perché in grado di coprirci meglio le spalle.»
«Già, però non sono un tipo che prende troppe precauzioni quando va tutto in malora. Quello che ho fatto è abbastanza, non trovi?»
«Oh, di certo mi hai stupito.»
«Amico mio, dopo tutto quello che è successo, la tua prudenza ha il tempo che trova.»
«Puoi pensarla come ti pare. Ma da adesso cambiano le cose. Levati», gli ordinò. Fece due passi avanti. «Sarò io a fare strada. Non voglio gettare tutto al vento per i tuoi modi avventati.»
L'amico non oppose resistenza. Si mise alla sua ruota e cominciò a seguirlo come un'ombra. Era così vicino che Jack riusciva quasi a sentire il suo fiato sul collo. Passò sotto un grosso noce, facendo un balzo per raggiungere le mura di un'altra abitazione. Arrivato all'estremità più bassa della parete, si fermò di nuovo. Si sporse, vedendo ciò che voleva.
Alzò la mano, indicando un paio di centinaia di metri più in basso.
«Che cosa ti dicevo? Ecco ciò da cui volevo nascondermi.»
Laggiù, Simone e Linda seguivano Ottavio. L'uomo spianava la strada controllando che tutto fosse in ordine.
«Almeno sappiamo che non li ha ancora uccisi.»
«Sa che stiamo all'erta.»
«Lo sapeva anche prima, però Sandra è morta ugualmente.»
Su questo non aveva tutti i torti. «Stai tranquillo, Daniele. Non succederà niente. Li teniamo d'occhio, ricordatelo.»
L'amico annuì, poco convinto. Aveva il solito mugugno stampato in volto.
Quando uscì da dietro le pietre, una folata di vento alzò l'erba più alta. Le graminacee sembravano spighe di grano in miniatura. Oscillavano con grazia, come in una danza rituale. Il sibilo del vento le accompagnava al ritmo di una rilassante canzoncina.
Vide Ottavio e gli altri mentre entravano nel bosco. In quel momento, i suoi occhi si spostarono verso sinistra. La loro prossima destinazione era là, ad attenderli tra le case di quel centro.
Stava per avviarsi, quando i suoi piedi si bloccarono.
Percepì qualcosa. «Che cos'è stato?»
Daniele lo affiancò. «Cos'è stato cosa?»
Posò involontariamente i suoi occhi sul fondo degli sprazzi d'erba. Indicò il punto, tra gli alberi. Vedeva i rami muoversi pericolosamente.
«Ti meravigli di un po' di rami che ballano? Non senti che vento c'è?»
Daniele non capiva. Quei rami non si stavano soltanto muovendo.
«Guarda meglio, stupido imbranato. Non stanno soltanto vibrando. Si stanno muovendo in serie, uno dopo l'altro. Come a creare una scia.»
Daniele cercò di concentrarsi. Non emise un suono per diversi secondi. Poi, Jack sentì una pacca sulla spalla.
«Andiamo, abbiamo altro da fare. Non perdere tempo con queste stupidaggini. A me sembra che non ci sia niente.»
«Invece qualcosa mi dice che stiamo commettendo un errore.»
«Qualcosa», ripeté Daniele smascherando un'espressione poco convinta. «Allora dimmi che cosa.»
Quello era il problema. Non lo sapeva neppure Jack.
Poi, accadde qualcosa.
I suoi muscoli si irrigidirono. I suoi occhi si concentrarono sul limite della foresta, a una cinquantina di metri dal punto dove Simone era entrato nel bosco.
«Oh merda!»
Laggiù, qualcosa spuntò tra la rada vegetazione.
Non sapeva dire che cosa fosse. Però era grosso, molto grosso. Con più peluria addosso di un gorilla, camminava cautamente, misurando ogni passo. Poggiava a terra tutte e quattro le possenti zampe, tenendosi in equilibrio su un trancio di tronco largo a malapena la metà di lui.
Fu così che capì quanto ciò che aveva detto Ottavio corrispondesse a verità.
Non avrebbe mai voluto saperlo.
Daniele si spostò un passo davanti a lui. «Che diavolo...?»
Jack avrebbe voluto urlare.
Quando riempì i polmoni per farlo, si accorse dello stato in cui era ridotto.
L'aria sembrava non voler entrare, il cuore batteva con la forza di un treno sulle rotaie.
Jack era terrorizzato.
Terrorizzato e impotente.

* * *

«La sentite?», domandò soddisfatto. «Questa è l'essenza degli altipiani.»
Ottavio ascoltò il soffio del vento. Sfregava tra gli alberi, riuscendo a produrre uno strano fischio. Quell'atmosfera emanava una calma surreale, tipica della montagna. Era una delle ragioni per cui spesso tornava in quota. Poteva assaporare un lato della vita dal gusto completamente diverso, dove lo stress e la frenesia sembravano idee balzane e inverosimili.
Per un momento, dimenticò quello che avevano passato. Dimenticò di Andrea e di Roberto; del ventre squarciato di Sandra. Dimenticò del guaio in cui si trovavano e del piano che avevano escogitato. Dimenticò dei sospetti di Jack, ancora più accentuati in Daniele. Dimenticò tutto: ma solo per un effimero istante.
Poi il vento cessò. La folata tagliente si estinse tra le cortecce di faggi e castagni, lasciando dietro di sé un'amara quiete; e tutti i ricordi, tutti i momenti più drammatici, tutto ciò che avevano passato fino a quella mattina.
Sbuffò, tuffandosi di nuovo nella realtà. Le difficoltà lo atterrarono, infrangendosi come una gigantesca onda contro la sua mente resa fragile da quegli stessi avvenimenti.
Ma lui sapeva di dover resistere. Le fragilità andavano accantonate.
«Attenti. Qua c'è uno scalino», avvertì, sciogliendo l'ultimo nodo che lo teneva attaccato a quelle sensazioni.
Linda e Simone superarono lentamente l'insidia, poi ricominciarono a marciare. Il cessare del vento aveva lasciato come unica voce i rumori della foresta. Alcuni uccellini cantavano, all'unisono con il debole frusciare delle foglie. Rari suoni di rami spezzati rompevano quel monotono concerto.
Cento metri più avanti, Ottavio dovette fermarsi.
Di fronte a lui, il sentiero si biforcava di nuovo. Si voltò indietro, cercando Simone con gli occhi.
«Che dici?», lo interpellò.
L'uomo indicò a destra. «Dovrebbe essere quello. Almeno a sentire Jack. E poi là c'è il simbolo del Cai.»
Il Cai era l'associazione italiana che si occupava di alpinismo per antonomasia, letteralmente acronimo di Club Alpino Italiano. Era più vecchio della Repubblica Italiana ed era stato fondato da escursionisti ed alpinisti esperti nel 1863. Aveva ampliato nel tempo la propria zona d'influenza con una sofisticata gerarchia. Ottavio l'aveva conosciuto da bambino, quando aveva imparato a riconoscere i segni caratteristici con cui l'organizzazione marchiava i sentieri principali. Per far ciò utilizzava una bandierina tricolore che apponeva su rocce, alberi o paletti segnaletici dislocati lungo i sentieri.
Udì uno schiocco, improvviso, poco più forte del crepitio prodotto dai rami che si spezzavano. Simone e Linda non se ne accorsero neppure. Invece lui si voltò, come in preda a un istinto primordiale che si era dimostrato favorevole in più di un'occasione.
E lo vide.
Quello schiocco era tutt'altro che frutto della sua immaginazione. Un ramo largo quanto un fiasco di vino giaceva fracassato a metà. I frammenti di legno spezzato a congiungere le due parti dello stesso puzzle.
Davanti, una figura enorme.
Quella figura, la stessa che aveva visto sul luogo della morte di Sandra. Questa volta più vicina: molto più vicina.
Quando la bocca di Ottavio si aprì, l'enorme sagoma era già saltata addosso a Simone. Vide l'uomo voltarsi, ma lo fece troppo tardi. Quando gli occhi dell'amico di Jack incontrarono quelli del bestione peloso di fronte a lui, fu solamente per un motivo.
Vedere in faccia il proprio assassino.
Un grido, poi l'enorme bocca si avventò sul suo collo, aprendo un taglio lungo quanto la lama di un coltello da bistecca. Mentre i denti si staccavano dalla pelle per prendere di nuovo la carica, Ottavio vide il sangue sgorgare come il getto di una fontana. Poi i denti aguzzi della bestia attraversarono di nuovo la carne, dilatando un nuovo varco in quell'involucro di pelle. L'apertura andava dall'occhio destro fino al taglio del mento, continuando sulla spalla come escoriazione.
Lui osservò impotente quella scena, affranto da tanta brutalità.
Linda cadde in ginocchio, rassegnata al proprio destino.
Ottavio sentì nettamente il cuore che cominciava a pulsare sotto l'effetto dell'adrenalina. Uno strano torpore, poi i muscoli che riprendevano a lavorare.
Si fiondò su Linda, strattonandola con violenza. Non sapeva cosa fare in quella situazione: l'unica possibilità era cercare di fuggire.
In quel momento, un grido di rabbia immenso dilaniò la calma della montagna.
Ma non era della bestia.
Era il grido di un uomo.

* * *

Jack gridò come mai aveva fatto. Poi vide Daniele gettarsi giù dai declivi, coprendo la distanza da Simone e gli altri con salti di due o tre metri alla volta. Riusciva a rimanere in piedi a stento, unicamente per volontà della fortuna.
Anche Jack calò i piedi sul terreno, intraprendendo una corsa a perdifiato verso il bosco.
La bestia era entrata tra i tronchi. Da lì non riuscivano più a vederla, ma era troppo vicina al gruppo di Simone. Se non lo aveva ancora fatto, li avrebbe certamente attaccati a breve. Arrivare in tempo sembrava un'utopia.
A cinquanta metri dalla meta, Jack iniziò a rallentare. Sentì gridare, sentì violenti schiamazzi che laceravano la quiete tra gli alberi. Poi entrò affrontando con le guance una manciata di frasche. Si fermò e vide in quel momento il corpo di Simone, mezzo inginocchiato sul terreno. A bloccarlo, un vero e proprio mostro.
La bestia fece un passo indietro. Il cadavere si accasciò definitivamente.
Non potevano fare più nulla.
Jack ebbe la lucidità per pensare. Gli bastò una frazione di secondo.
C'era un'altra cosa che poteva e doveva fare.
«Fermati!», urlò mentre il volto di Daniele si deformava per la rabbia.
Doveva evitare che il suo amico si facesse ammazzare.

* * *

Ottavio tirava Linda per il braccio, ma la donna non voleva saperne. Aveva cominciato a piangere, disperata. Paralizzata dalla paura, attendeva il sopraggiungere del fato.
Lui sperava ancora: lo fece per poco.
Vide la bestia distaccarsi dal suo pasto, imbrattata ancora del sangue caldo del corpo appena martoriato. L'animale fece un passo indietro, poi superò con un balzo la carcassa di Simone.
Ottavio fu percorso da un brivido, mentre l'enorme figura si fiondava su di loro.
Chiuse gli occhi.
Questa volta, anche lui sapeva di non poter scampare alla morte. Con la mano posata sul braccio di Linda, guidò il suo corpo davanti a quello dell'amica. Se proprio quello doveva essere il suo destino, voleva morire cercando di proteggere chi amava.
Poi aspettò.
Un momento, un secolo.
Il tempo era difficile da quantificare. Il travolgente impatto di quella situazione era troppo forte da combattere; troppo forte per dargli la possibilità di capire che cosa stesse succedendo. Riuscì comunque a intuire che qualcosa di strano stava accadendo: non stava succedendo niente.
L'istinto dominò il suo spirito. Ottavio aprì gli occhi, fissandoli di fronte a sé.
Vide la figura della bestia a cinque metri da loro, non uno di meno. Ne valutò i contorni e i lineamenti; i piedi, le zampe massicce, il corpo magro, non per questo esile; possente, ricoperto di quei peli che lo facevano sembrare più tozzo di quello che in realtà era; il volto squadrato, la bocca dipinta di rosso acceso.
E gli occhi. Ottavio vide i suoi occhi.
Cristallini, di una purezza straordinaria. Più limpidi del cielo estivo. Sembrava quasi che non ci fosse niente, dentro quegli occhi.
Esisteva un solo modo per descriverli.
Occhi di ghiaccio.
Si aspettava che la bestia attaccasse. Si aspettava che li uccidesse. Prima lui, poi Linda. Si aspettava che il suo destino venisse scritto da quella specie di animale.
Ma la bestia non attaccò.
Lo fissò per un istante. Dritto negli occhi, come se i suoi piani fossero improvvisamente divenuti nebulosi.
Poi la bestia scattò.
Ottavio deglutì.
Ma lo scatto non era nella sua direzione.
Ci fu un rumore assordante. Ottavio lo conosceva.
Qualcuno ha appena sparato, pensò. Era la prima volta che la sua mente parlava di nuovo da qualche minuto a quella parte, da quando la bestia aveva attaccato.
In quell'istante, capì cosa fosse successo.
A una trentina di metri, Daniele era fermo sulle radici di una quercia tirata giù dai fulmini della tempesta. Teneva in mano una pistola fumante.
Aveva provato a uccidere la bestia.
Ottavio non aveva dubbi al riguardo: Daniele aveva fallito.
La bestia era fuggita un attimo prima che lui aprisse il fuoco.

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The novel is so big and it surely takes time to write! Thrilling always made the story more interesting and its seems you shared such one.

I enjoy, thank you for stopping here again, Shohana :)

In alcune occasioni il soprannome di bestia viene attribuito a persone che compiono azioni impressionanti, voglio dire, persone di grande forza, grande intelligenza, anche alcune persone che sono eccellenti in quello che fanno, è anche il contrario, persone che non pensano, né ragionano e compiono atti che non hanno spiegazione, ma la bestia del tuo post è molto diversa

Sì, in questo caso si riferisce a qualcosa di molto simile al concetto di "animale", di creatura che vive allo stato naturale.

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