Lo schiaffo

in hive-184714 •  4 years ago 

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Milano. Quartiere Sant’Agostino.
Un bel corso con i suoi bei portici. Zona di uffici, banche, agenzie di viaggio.
I portici.
Non c’ero mai stato. Ero in quella zona per un colloquio di lavoro in una banca.
Camminavo sotto i portici. Tutto pulito, limpido, i vetri delle banche luminosi.
Giacche e cravatte. Pantaloni stretti stretti. Stivaletti e scarpe a punta luccicanti.
Cellulari con auricolare in azione, tablet a man bassa, taxi taxi! All’aeroporto!
Qualche vetrina di alta moda, vai di soirée, vernissage e pigiama party.
Poi la visione.
Sotto i portici, una lunga fila di esseri coricati sotto cartoni e sacchi a pelo lisi dal tempo.
Sacchetti di plastica con contenuti indecifrabili.

Cartoni sotto, cartoni sopra. Giornali, bottiglie mezze vuote, trolley disperati e giacche a vento anni settanta.
Era mattina presto, le otto, giù di lì.
Erano tutti quasi immobili.
La truppa dei barboni.
Dormivano ancora. Oppure non volevano emergere dal loro tepore guadagnato a fatica nella notte in quell’ottobre già fresco dell’autunno milanese.
Camminavo accanto a loro come in un film di Kusturica (tipo Gatto bianco, gatto nero) e, come in un film di Kusturica, mi sono sentito afferrare la caviglia.
Una mano bianca e magra.
“Ehi! La sai la mia storia?”
Non sapevo se rispondere o allontanarmi con discrezione.
“Te l’ho già raccontata?”
Decisi di rimanere: “No. Dimmi.”
“Io ho scelto di essere un poveraccio. Mi si addice.”
“Perché?”
“Ero un dirigente di banca. Avevo scalato tutti i gradini. Proprio nella banca che vedi alle mie spalle.”
“Ma dai!? E dormi qua?”
“Si. Espio il mio peccato. Mi sono punito. Ogni tanto faccio a botte coi miei vicini per un goccio di barbera o per un sacchetto di plastica. Ma poi, finite le botte, facciamo pace e beviamo insieme. Quello là, vedi quello con i cartoni del detersivo, quello mi ha aiutato a cavarmi un dente. Prima la banca mi pagava tutto. Era una bellezza. Ora sono qua, pacifico, nel mio stato di borderline. Senza cinque denti. E altri li seguiranno.”
“Bene. A questo punto mi viene istintivo chiederti: sei matto? Lo sai che sei matto? Oppure quale gorgo mentale ti ha portato quaggiù?”
“Non è un gorgo. E’ una lucida scelta. Io ho dato lo schiaffo, un solo schiaffo, quello schiaffo, quel maledetto schiaffo, forse puoi chiamarla sberla o manrovescio.”
La sua voce si incrinò, un breve singhiozzo e gli occhi perduti nella memoria.
“Era un periodo che tornavo a casa tardi, tanto lavoro, una birra o un whisky con i colleghi. Brillo, ero sempre un po' brillo, a volte ubriaco…mia moglie, Ada, mi guardava con sguardo triste.
Quella sera mi guardò con occhi di fuoco.
Il nostro è stato un grande amore.
Ma io sono diventato piatto, cioè una lavagna spenta, che so, un essere amorfo, apatico totale. Tutto era scomparso nel mio cervello.
Procedevo nella vita come se fossi una grande ciabatta usata. Strisciavo insensibile.

Lei gridò, non aveva mai gridato: Sei lontano! Sei scomparso! Dove sei! Mi fai morire! Non puoi!
Fu un attimo.
Le diedi lo schiaffo.
Lei fu sbalzata a terra. Aveva perso l’equilibrio più per lo stupore che per la forza del mio schiaffo.
Si rialzò e non disse niente.
I suoi occhi, quegli occhi che ancora amavo senza più rendermene conto, i suoi occhi brillavano di lacrime che non scesero.
Furono frecce nei miei occhi, furono lame nel mio stomaco, furono punte di spillo nelle mie guance.
Il giorno dopo andai dal notaio.
Firmai un totale lascito a lei di tutti i miei averi.
Addio banca, addio whisky coi colleghi.
Le lasciai una lettera in cui spiegavo che dovevo iniziare una vita senza niente, per farmi perdonare
E ora eccomi qua.”
“E lei?”
“Mi ha cercato tante volte. Mi porta qualcosa da mangiare, qualcosa da bere, qualche soldo, vorrebbe che tornassi, mi dice che mi ha perdonato. Lo so che è vero. Ma sono io che non mi sono ancora perdonato.”
“Quando ti perdonerai?”
“Non lo so…aspetto di essere di nuovo vivo. Per ora sono ancora piano, una lastra piatta. Però qualche increspatura appare qua e là. Quando diventerò un mare mosso, allora ritornerò se ancora mi vorrà”
“Grazie di avermi raccontato la tua storia. Ma perché proprio a me?”
“Ti ho guardato. La tua camminata, il tuo sguardo. E’ stato breve, ma ho visto qualcosa di quella lastra piatta anche in te. Cerca il tuo mare mosso, caro amico.”
“Si. Grazie di avermi chiamato amico. Ora devo andare.”
“No. Tu non devi andare, tu devi iniziare.”
POVERO.jpg

*Con questo racconto partecipo a theneverendingcontest n° 131 S1-P7-I3 *

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