Luca mi conquistò con una poesia scritta da lui. Entrambi universitari, lui di biologia, io di lettere, frequentavamo un corso di scrittura creativa. Lui era molto bravo, estroso, capace di usare le parole in modi assolutamente originali.
Mi sembrava strano che frequentasse una facoltà scientifica, ma, conoscendolo meglio, mi resi conto che era davvero poliedrico, una personalità complessa, piena di curiosità che cercava di appagare.
Mi piacque subito, ma, data la sua bellezza ed il fascino dell'intelligenza, era circondato da ragazze che spasimavano per lui. Così, per prudenza, decisi di tenermi lontana. Forse fu proprio questo a suscitare il suo interesse, ero la sola a non morirgli dietro. Iniziò così un corteggiamento serrato, io che sfuggivo e lui dietro.
Dire bello è riduttivo. Luca era un giovane di aspetto eccezionalmente armonioso. Alto e proporzionato, con capelli castani e ondulati che portava lunghi. Gli occhi azzurri rilucevano. E, come se non bastasse, aveva un eloquio dolce e una proprietà di linguaggio non comune. Mi chiamava "la regina delle nevi", per la freddezza che dimostravo (quanto mai lontana dalla realtà) e per il mio aspetto nordico. Infatti, pur essendo nata nella Toscana del sud, sembravo una svedese, bionda e pallida, con lineamenti delicati e fisico slanciato. "Amanda, glaciale e irresistibile", diceva.
Gli avevo ispirato addirittura una poesia, dal titolo "Luci dal Polo"
Algide mattine
ormai sospiro.
Luci estasiate,
languide di baci,
inalterate stelle
incantatrici. >
Così, com'è, come non è, cedetti alle sue advances e, in poco tempo, mi trovai avvolta e coinvolta dal più passionale degli amori.
Lui si stava per laureare, a me mancava ancora un anno.
Ma la storia con Luca era diventata subito totalizzante, tanto che avevo cominciato a rimandare gli esami.
Nel luglio dell' '88, il mio innamorato si laureò e il suo relatore gli propose un contratto di lavoro.
Bene, dirà qualcuno.
Sì, certo. Bene fino ad un certo punto, dato che l'incarico di biologo ambientale, della durata di due anni, avrebbe dovuto svolgersi al Polo Nord.
Ero disperata. Sicuramente una trasferta così lunga e impegnativa avrebbe minato il nostro rapporto.
Ma Luca ebbe un'idea. Avrei potuto seguirlo, sospendendo per un po' i miei studi, così non ci saremmo lasciati.
Contro il parere dei miei genitori ( e anche dei suoi a cui la spedizione polare pareva una pazzia), partimmo per un viaggio quanto meno insolito.
Al villaggio (che poi non era tale, piuttosto una sorta di accampamento con casette estremamente protette, ma spartane) trovammo altri ricercatori.
Ma io non avevo un ruolo, se non quello della fidanzata di Luca.
Lui si dedicava a studi sul clima, molto importanti ai fini della comprensione di quello che avrebbe potuto significare un riscaldamento globale, con conseguente scioglimento dei ghiacci. La questione era molto più complessa, ma il punto non è questo. Non è sugli studi di Luca che verte il mio racconto, quanto sulla solitudine di quei mesi.
Rinchiusa in un ambiente ristretto ed estraneo, avvertivo le giornate come infinite. Mi mancava tutto. L'università, la mia famiglia, il sole della Toscana, i fiori, l'erba, il canto degli uccellini...
Dopo tre mesi ero l'ombra di me stessa e non sapevo neppure se davvero amavo Luca e se la sua perfezione psicofisica fosse davvero ciò che volevo.
Passatempi non ce n'erano. Mi ero portata dei libri, ma li avevo finiti rapidamente. Cercavo di scrivere, ma ero troppo depressa per riuscire a creare qualcosa di gradevole.
L'unica possibilità era fare solitari col mazzo di carte toscane che mio fratello mi aveva messo in valigia dicendo : "Ti servirà, sorella, quando sarai lassù tra i ghiacci".
In quel momento mi era sembrata una battuta, invece poi avevo dovuto riconoscere che, pur modesto, era comunque un passatempo.
Trascorrevo le giornate da sola, finchè il collega di Luca, Lucio, non si procurò una seria distorsione alla caviglia e fu pertanto costretto a rimanere fermo nella casetta che dividevamo.
Lucio era praticamente il contrario del mio fidanzato. Calabrese, di statura piuttosto bassa, moro e dalla pelle scura. Certo non si poteva definire bello e non aveva neppure il savoir fair di Luca.
Sempre un po' brusco nei modi, avevamo scambiato pochissime parole fino al momento del suo infortunio.
Dopo che fu costretto al riposo, iniziammo a conversare, dapprima timidamente, poi con piacere.
Scoprii che anche lui era una persona di cultura, ma non era solito sbandierare la cosa. Appassionato di letteratura, recitava a memoria moltissime poesie e anche brani di prosa.
Avevamo dunque molti argomenti di conversazione.
Prendemmo anche l'abitudine di giocare a carte. Giocavamo a briscola, rubamazzo e perfino all'uomo nero.
Io lo prendevo in giro, dicendo che lui era l'uomo nero e Luca il fante di cuori.
Ma il bello è che, in breve tempo, cominciò a piacermi in modo preoccupante.
E fu proprio sul finire di una partita all'uomo nero, che Lucio buttò le carte da una parte e mi baciò appassionatamente.
Mi sentivo tanto Francesca da Rimini, in quel momento.
Quando leggemmo il disiato riso
esser baciato da cotanto amante,
questi che mai da me non fia diviso
la bocca mi baciò tutto tremante >
L'epilogo, per fortuna, non fu tragico come quello degli amanti danteschi.
Diciamo che da cosa nasce cosa e dal bacio in poi le cose andarono velocemente.
Luca non sospettò mai niente, convinto com'era del suo fascino irresistibile.
La caviglia di Lucio peggiorò e il medico del campo disse che probabilmente c'era una frattura e che erano necessarie cure migliori di quelle che avrebbe potuto ricevere lì.
Così lui tornò in Italia e anch'io colsi l'occasione, con la scusa di riprendere gli studi, cosa che feci realmente.
Luca fu un po' contrariato della mia partenza, ma poi neanche tanto, perchè il soggiorno tra i ghiacci aveva raffreddato i miei, ma anche i suoi sentimenti.
Tornammo così a casa, io a Siena e Lucio a Firenze, ma la storia continuò e, a distanza di trent'anni, stiamo ancora insieme e abbiamo due figli già adulti.
Certo, le circostanze della nostra conoscenza sono state un po' insolite, ma ne è valsa la pena.
L'amore e la tenerezza sono rimasti vivi tra di noi, a volte mi sembra di essere ancora lì, in quel gelo, tra colori irreali, e allora, immancabilmente, lo chiamo di nuovo "il mio uomo nero".
FINE
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