Il popolo di Tlicalhua non aveva una grandissima fantasia.
Il deserto delle Ossa prendeva il nome dalle carcasse di uomini e animali che giacevano appena sotto la superficie della sabbia e che venivano spesso portati alla luce dal vento che soffiava incessantemente tra le dune. Il deserto era un luogo pericoloso: se si sopravviveva al sole cocente e ai coyote affamati, molto spesso erano gruppi di predoni ad assaltare i viaggiatori stremati e ad arricchire di sfumature avorio quella terra dimenticata dagli dei.
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Mentre erano intorno al fuoco, Ametl diede uno scappellotto a Xoku e poi lo prese per il bavero della tunica.
"Brutto idiota, ti è chiaro che la nostra missione è SEGRETA sì o no? Non sappiamo di chi possiamo fidarci e so per certo che Quez frequenta delle brutte amicizie. Dirgli dove siamo diretti è stata una stupidaggine".
"Io... mi dispiace. Non pensavo che..." balbettò Xoku.
"Lascialo stare, non l'ha fatto apposta" disse Nahua mordendo una striscia di carne secca.
Ametl mollò la presa e rivolse la sua attenzione alla ragazza.
"Questa sarebbe una giustificazione? Non averlo fatto apposta lo rende innocente? Sono proprio questi gli sbagli che nel deserto possono costare la vita."
"Ce la caveremo" rispose Nahua atona.
Ametl era senza parole: il suo sguardo basito si spostò sul gigantesco guerriero che stava osservando il cielo, contemplando il mistero di quella grande luna viola che illuminava le dune di una luce spettrale e malsana. "Tepe, ti prego, dì qualcosa a questa manica di imbecilli!"
Tepe disse senza distogliere lo sguardo dal cielo: "Quel che è fatto è fatto. Se manteniamo il passo fra tre giorni saremo a destinazione. Ci muoveremo dal tramonto all'alba e Ametl troverà un rifugio per passare al riparo le ore più calde della giornata. Finite di mangiare in fretta e rimettiamoci in viaggio".
Ametl borbottò qualcosa a voce bassa e bevve due lunghe sorsate da un otre che non conteneva acqua.
Le prime due notti di viaggio passarono tranquillamente: fu a metà della terza notte, durante una frugale cena attorno al fuoco, che Xoku si avvicinò a Nahua per parlarle.
"Nahua... come va? Non hai parlato molto da quando siamo partiti."
La ragazza non distolse lo sguardo dalla sabbia. "Sono fatta così, non mi piace parlare senza un motivo".
Xoku sembrava sorpreso. "Hai recuperato la memoria?"
"No" Rispose lei. "Ricordo quello che sono, ma non ho memoria di quello che ero. Ad esempio, mi avete detto che mi chiamo Nahua. Sento che è il mio nome, lo so. Ma non ricordo chi sono i miei genitori, chi mi chiamava con questo nome, chi sono i miei amici".
"Beh, noi siamo tuoi amici." Disse Xoku.
"Intendi il muscoloso seguace del Dragone e il misogino stupratore dell'altopiano?" Disse lei, sarcastica.
"Dai loro una chance... anche se non sembra, sono brave persone. Tepe darebbe la vita per i suoi compagni e Ametl... beh, sembra insensibile e beffardo, ma la sua è una maschera. Ti insulta perché vuole capire di che pasta sei fatta e se può fidarsi di te. Dimostraglielo e capirai cosa intendo."
Nahua si morse un labbro. "Cosa dovrei dimostrargli? Ai vostri occhi io non sono che una schiava: polvere di Tlicalhua. Voi siete soldati e sacerdoti mentre io, per le leggi di queste terre… non valgo niente. Eppure... sento di non essere solo una serva. Il tatuaggio che ho sulla spalla... non è più mio. Non è ME."
Xoku sospirò. "Il tatuaggio nella nostra società distingue lo schiavo dall'uomo libero. È una pratica brutale e disumana, ma cosa possiamo farci?"
Nahua si voltò, fissandolo negli occhi. "Possiamo rompere le catene, Xoku! Possiamo combattere per distruggere i cardini di questo regno: niente più sangue e morte, ma vita e libertà! Possiamo abolire la schiavitù e..."
Per un attimo davanti agli occhi della fanciulla comparvero gli occhi neri di un ragazzo, più o meno della sua età. Muoveva le labbra senza emettere suoni. Sembrava parlasse di... libertà, di catene. Combattere per... qualcosa che non capiva. Il suo ricordo le faceva battere il cuore. Stava pronunciando il suo nome: Nahua! Lo capiva dal labiale. Nahua! Nahua!
Xoku la fece uscire dal suo sogno a occhi aperti: "Nahua! Nahua!” La scuoteva gentilmente tenendola per le spalle.
“Sì… ci sono” rispose la ragazza con un tono distratto.
Xoku era preoccupato. “Sei rimasta imbambolata a fissare il vuoto per un minuto buono… stai bene?”
Nahua annuì lievemente. “Scusami Xoku per averti disturbato… ho bisogno di stare un po’ da sola.”
Xoku seguì con gli occhi la ragazza che si allontanava pensierosa dal falò… fino a quando la sua figura non divenne un alone viola nel buio di una notte senza stelle.
Il gruppo arrivò a destinazione alle prime luci dell’alba; la caverna dell’eremita era posta sul fianco di una grande roccia calcarea alta una decina di metri, sul lato ovest della quale era presente una cavità del diametro di circa un metro e mezzo. Quando arrivarono in vista dell’imboccatura, a circa una ventina di metri dall’ingresso, Ametl fece segno ai suoi compagni di fermarsi.
“C’è qualcosa che non mi torna…” disse, scendendo dalla sua cavalcatura e annusando l’aria. “Sento odore di sterco di cammello”.
Poi osservò con occhio critico le rocce e la sabbia. “Questa mi sembra… l’orma di uno stivale. Ma è isolata, non ha senso che sia qui” abbassò la voce rivolto a Tepe “…a meno che qualcuno non si sia adoperato per nascondere le sue tracce.”
Il gruppo si guardò attorno circospetto mentre il predone fissava insistentemente una piccola duna. Senza dire una parola, estrasse da una sacca una piccola balestra, prese la mira e lanciò un dardo verso la sabbia; contro ogni pronostico, il cumulo urlò dal dolore.
Improvvisamente da sotto la sabbia si alzarono una decina di figure vestite di nero e armate di sciabole, lance e pugnali che senza dire una parola, si scagliarono contro il gruppo di avventurieri.
Tutto avvenne nel giro di un minuto.
Tepeyotll scese dal cammello sfoderando la sua enorme ascia bipenne. Il primo assalitore che affrontò non ebbe neanche il tempo di urlare dal dolore: la scure lo colse sul torace, dividendolo in due come un ramoscello spezzato.
Xoku restò sul cammello e alzò al cielo il talismano sacerdotale: una luce accecante esplose tra sue mani, costringendo i tre assalitori che aveva intorno a ripararsi gli occhi con un braccio. Nahua colse al volo l’opportunità: nel tempo di un respiro lanciò un coltello al collo di uno dei guerrieri vestiti di nero e, con una giravolta in aria, scese dal cammello trapassando la coscia di un omone armato di scimitarra con uno dei suoi coltelli ricurvi.
Ametl era quello che se la stava vedendo peggio: l’uomo che aveva ferito con la balestra imbracciava un arco corto teso e pronto a colpire. La freccia scoccò e colpì il predone di striscio sul braccio. Altri due guerrieri armati di scimitarra lo fiancheggiarono: Ametl fece appena in tempo a sfoderare la sua sciabola per deviare un colpo mortifero alla gola, ma lo sforzo e la sorpresa lo fecero ruzzolare nella sabbia.
“AMETL!” Gridò Tepeyotll, ingaggiato da altri due guerrieri che non gli lasciavano modo di avvicinarsi.
L’attempato combattente si mise in piedi con una capriola, sputando sabbia e stropicciandosi gli occhi. Cercò a tentoni la sciabola senza trovarla, poi si voltò e vide lo scintillare di una lama affilata che stava calando sulla sua testa.
D’istinto alzò un braccio, ben sapendo che non sarebbe bastato a salvargli la vita; chiuse gli occhi e bestemmiò sonoramente quando udì il rumore del metallo contro le ossa ed un fiotto di sangue caldo gli calò sul volto.
Quando riaprì gli occhi senza smettere d’imprecare, si accorse che il sangue non era il suo: Nahua era giunta al suo fianco e aveva tranciato di netto il polso del guerriero che lo stava assalendo. La lama dell’uomo, che stava urlando dal dolore, era piantata a terra accanto a lui con ancora la mano attaccata.
La reazione di Ametl non si fece aspettare: prese l’arma da terra e cominciò a combattere schiena a schiena con la giovane donna, parando e distribuendo colpi di sciabola con la furia cieca di chi stava combattendo per la vita.
Dopo un minuto la battaglia terminò: a terra giacevano i cadaveri di sei uomini vestiti di nero mentre altri quattro stavano battendo in ritirata verso nord seguendo un uomo in groppa ad un cammello.
Xoku e Tepe raggiunsero Ametl e Nahua ed il chierico disse affannosamente “Quell’uomo sul cammello… è uscito fuori dalla grotta!”
I quattro corsero a perdifiato all’interno della cavità nella roccia e al loro interno videro uno spettacolo raccapricciante: a terra giaceva un uomo vecchissimo, con una lunga barba bianca e la pelle increspata come le dune del deserto. Tutte le unghie gli erano state estratte ed aveva lividi su tutto il corpo: inoltre stava perdendo copiosamente sangue da quattro o cinque coltellate inferte sull’addome. Nonostante questo era ancora vivo.
Xoku e Nahua si avvicinarono al suo capezzale, mentre Tepe e Ametl restarono di guardia all’imboccatura della caverna. Il giovane chierico osservò le ferite dell’anziano e scambiò uno sguardo con Nahua scuotendo il capo. Il vecchio riacquisì un minimo di lucidità quando vide la giovane donna in volto: il suo sguardo si illuminò per un attimo, come se l’avesse riconosciuta.
“P… p… erg… ena…” sussurrò con le sue ultime forze, allungando il braccio verso un rotolo di papiro macchiato di sangue che giaceva a terra.
Nahua raccolse la pergamena e, senza dire nulla, l’avvicinò all’uomo morente: lui si sporse sul foglio vuoto con la bocca aperta.
Ora Nahua e Xoku potevano vedere che sulla sua lingua, miste al sangue, c’erano delle parole scritte in piccolo: parole che, quando aprì la bocca, vorticarono nell’aria e andarono a posarsi come piume sulla pergamena di Nahua, insieme agli ultimi rantoli d’agonia dell’Eremita del deserto.
“Si tratta di un messaggio?” Chiese Xoku.
“Non lo so” rispose Nahua. “Sembra che manchino delle parole”.
Tepe si avvicinò a loro. “L’eremita era famoso per non aver mai parlato in tutta la sua vita… probabilmente è rimasto in silenzio fino all'ultimo respiro. Le sue ultime parole e quella pergamena sono il motivo per cui siamo stati mandati qui.”
Xoku chiuse le palpebre della salma con il palmo della mano e sussurrò una veloce preghiera. Poi si alzò lentamente. “…ed ora? Che dobbiamo fare?”
Ametl, scrutando la nuvola di polvere alzata dai fuggitivi, sputò a terra e disse perentorio: “Ora si va a caccia.”
Selenya: Le sei Ombre della Luna
Le Sei ombre della Luna - immagine di @armandosodano
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racconto particolare che induce a sbizzarrire la fantasia
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