Qualcuno di voi urlerà "42!", citando "Guida Galattica per Autostoppisti".
Ma, come nel celebre libro di Douglas Adams, forse non è così importante conoscere la risposta quanto riflettere attentamente su quale sia la Domanda, con la "D" maiuscola.
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Sicuramente non è La Domanda, ma è una domanda che mi pongo spesso. Una domanda che penso almeno una volta nella vita tutti ci siamo posti... magari durante un periodo non proprio fortunato, dopo un furibondo litigio, mentre fissiamo annoiati il monitor del computer o mentre ci si lava i denti.
Cercare una risposta come questa non è facile. In un mondo pieno zeppo di esseri umani, un mondo dove il parere altrui è importante come (se non più) del nostro, ci ritroviamo a cercare un riferimento per esprimere il nostro personale giudizio sulla faccenda.
Cerchiamo un modo per paragonare la nostra vita a quella del prossimo. Proviamo ad essere oggettivi nel caos, come quando si cerca di arrivare dall'altro lato di un lago restando in equilibrio su un sottile strato di ghiaccio... alla ricerca di... cosa?
Sappiamo bene che i soldi non fanno la felicità.
Aiutano, forse: ma basta aprire il giornale per leggere di "figli di papà" persi nel tunnel della droga, imprenditori che si lamentano del loro stile di vita, ragazzi di famiglie benestanti che cercano il suicidio per i motivi più strani e inspiegabili. Dall'altro lato della scacchiera, ho visto ambulanti con il sorriso sulle labbra mentre venivano cacciati in malo modo, persone ottimiste verso un futuro che non portava da nessuna parte, bambini malnutriti che sognavano un futuro di successo per loro e per i loro cari.
Forse è semplicistico pensare che l’uomo esista sulla terra solo per “Essere felice”.
O meglio: funziona benissimo se ragioniamo come singoli. Egoisticamente parlando, cosa c’è di più importante della propria felicità? Forse per alcuni, la felicità dei propri cari è altrettanto importante… magari anche quella dei nostri migliori amici.
Ma fuori da questa cerchia, grande o piccola che sia, ci sarà sempre qualcuno la cui sorte ci sarà più o meno indifferente… a meno che non sia la domanda ad essere sbagliata.
L’uomo è un essere sociale.
Osservando la situazione ad alto livello, è logico pensare che per raggiungere la felicità come razza intera, ci sia bisogno di ragionare in grande. Quindi uscire fuori dal proprio orticello, rimboccarsi le maniche e lavorare affinché la Terra stessa diventi un posto migliore dove vivere per TUTTI.
Quante volte avete sentito lo slogan “…per rendere il mondo un posto migliore?”.
Il problema principale di questo approccio è che gli esseri umani sono in disaccordo anche su questo; non esiste un modo oggettivo per rendere il mondo un posto migliore. C’è chi pensa che “esportare la democrazia a suon di bombe” sia un buon modo. C’è chi pensa che lasciare a tutti la libertà di fare ciò che gli pare, che l'anarchia sia la felicità; al contrario, c’è chi pensa ci sia bisogno di vivere in un mondo fortemente regolamentato per renderlo un posto migliore.
Chi ha ragione? Chi ha torto?
Forse anche in questo caso è la domanda ad essere sbagliata.
La mia risposta a questa domanda tenderebbe ad un “No”.
No perché spesso non si riesce neanche ad essere d’accordo ed in armonia all'interno di un condominio di sei appartamenti; come possiamo far sì che lo sia l’umanità intera?
È anche vero che se ragionassimo tutti così, nessuno farebbe niente... e si tornerebbe a coltivare il proprio orticello: se ci pensate è un metodo perfetto per essere tutti felici, se non fosse che la libertà di un individuo finisce sempre quando inizia la libertà del prossimo, e ci sono persone che per essere felici hanno un impellente bisogno di prevaricare.
Che sia un cane che si morde la coda?
Spesso anche il tentativo di rendere felici sé stessi rende comunque infelice qualcun altro. Dovremmo circondarci di menefreghismo e pensare solo a noi stessi, è questa la risposta a tutto, il nostro personalissimo quarantadue?
Ma è davvero la felicità lo scopo della nostra esistenza? Non pensate che sia un obiettivo troppo effimero, troppo poco lungimirante per poter giustificare la permanenza dell’uomo nell'universo?
…before you can call him a man?
Verso la fine del romanzo “Guida galattica per autostoppisti”, uno degli antagonisti (cerco di essere il più possibile “Spoiler free”) prova ad indovinare la domanda dietro la risposta del cervellone: forse quel 42 indica il numero di strade che un uomo deve percorrere prima di poter essere definito “uomo”.
Bob Dylan aveva la domanda pronta da anni, ma nessuno gli aveva dato troppo peso!
Scherzi a parte, penso che la felicità non sia “Lo scopo”, quanto “Il mezzo”.
Essere felici e fare ciò che ci piace ci permette di raggiungere molto più facilmente gli scopi della nostra vita, qualunque essi siano. Possiamo raggiungere un obiettivo anche senza essere felici, ma ci richiederà sicuramente più tempo e forse ci lascerà con l’amaro in bocca, con la sensazione di aver sprecato il proprio (breve) tempo su questo mondo.
Percorrere quelle quarantadue strade con il sorriso sulle labbra può essere un modo, nel nostro piccolo, per creare un mondo migliore… per illuminare la vita del prossimo e donare un po’ della nostra felicità a chi fatica a trovarne.
Alla fine di un post pieno zeppo di qualunquismo spicciolo, il momento della verità, quello che tutti stavano aspettando con ansia (anche perché coincide con la fine di questo malloppone): ma tu, @gianluccio, autore del post, sei felice o no?
Sì, lo sono vostro onore!
Ma non al 100%... Facciamo al 55%, che per me è comunque un’ottima media.
Alla fine quel senso di irrequietezza, quel retrogusto dolce-amaro in bocca ed il mio perenne bagaglio di pessimismo contribuiscono attivamente a farmi sentire vivo, a spronarmi per raggiungere quel 100% che, con tutta probabilità, non raggiungerò mai.
Perché forse il nostro scopo non esiste; non possiamo fare altro che imboccare una strada qualsiasi con un imbambolato sorriso in faccia...
…e camminare.
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Belle riflessioni.
A mio parere, se come civiltà stiamo andando dritti dritti verso il baratro è perché ci hanno abituati fin da piccoli a ragionare al contrario. Non semplicemente in modo sbagliato, ma proprio al contrario in senso letterale.
Continuiamo a domandarci come creare lavoro, come aumentare i consumi e come essere più competitivi.
Per questa ragione nessuno trova la soluzione definitiva, perché qualunque soluzione possibile nasce da un proposito errato.
Le domande, al contrario, sarebbero: come creare tempo libero, come aumentare il risparmio (non solo economico, dico in generale) e come essere più collaborativi.
Chi ci ha abituati a ragionare così? Su questo argomento si possono scrivere intere collane di libri (come in effetti sta accadendo ultimamente), ma qualunque risposta non è che un mero esercizio di stile; non importa chi dirige il gioco, l'importante è rompergli il giocattolo prima che sia troppo tardi =)
Ciao!
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