Guido era sempre stato un bambino intonato
Fin da piccolissimo, quando la mamma lo allattava, con le sue minuscole dita sembrava che segnasse il ritmo cadenzato e avviluppante della sua stessa suzione.
Guidino ebbe un’infanzia difficile. Soffriva di emicranie fortissime, probabilmente per una forma di sinusite dovuta a una deviazione del setto nasale.
E certo Ferrara non sembrava essere il luogo più adatto per un bambino piccolo di struttura e sofferente a causa di un’infiammazione permanente ai seni nasali aggravata dal catarro. A Ferrara, lo sapevano tutti, il periodo invernale era funestato da pioggia e nebbia, e da una coltre umida che ti si infilava sotto la pelle e andava a marcire nelle comode mucose del povero Guidino.
E fu così che, compiuti da poco i 10 anni, suo padre Severino, che di mestiere faceva l’amanuense, prese Guido con se e se lo portò nella vicina Arezzo, dove il clima più mite e soprattutto le fioriture estive di ginestra, si riteneva fossero un toccasana per i malanni da freddo.
Tutto andò bene, almeno per i primi tempi. Guido crebbe studiando la scrittura latina e la tecnica della miniatura.
Ma quello che davvero lo appassionava era il canto.
Finita la lezione con il maestro Boezio, che abitava nel corso principale di Arezzo, Guido si affacciava alla porta dell’Abazia dove 8 bambini guidati dall’abate in persona cantillavano le preghiere della Missa di Requiem e l’inno a San Giovanni Battista che aveva composto il vescovo Ambrogio di Milano.
Un pomeriggio, mentre sbirciava da dietro il banco, l’abate che guidava il coro, il vecchio Paolo, lo chiamò e lo invitò ad unirsi al gruppo. Guido si avvicinò con lo sguardo basso e tremando per l’emozione.
A quel punto uno dei ragazzini del coro, tal Stefano figlio di Albino di Volterra, che veniva tenuto in gran conto perché il padre era stato maestro di coro per tutta la vita, si rivolse all’abate, con il tono maligno che solo i bambini riescono ad avere.
“Maestro, ma questo forestiero non ha mai cantato, che cosa volete che possa fare qui insieme a noi!”
L’abate Paolo, guardò Guido e gli disse. “E tu, che dici? Ha ragione il nostro cantore? Sei capace di cantare?”
Guido tremava come una foglia, non poteva perdere quell’occasione, e al tempo stesso sapeva che se il padre l’avesse scovato a curiosare dentro il coro dell’Abazia di Arezzo invece di tornare di filato a casa ce le avrebbe prese.
Ma non ebbe nemmeno un attimo di esitazione. Prese un respiro, non troppo profondo, non troppo strappato: dolce, delicato come l’alito di un angelo che veglia sui giusti. E da quella sua piccola bocca uscì un suono fino, caldo, preciso e pieno di amore.
Ut queant laxis
Resonare fibris
Mira gestorum
Famuli tuorum
Solve polluti
Labii reatum
Sancte Iohannes
(Perché i tuoi servi possano cantare con voci libere le meraviglie delle tue azioni, cancella il peccato dal loro labbro contaminato, San Giovanni)
L’abate Paolo non poteva credere a quel miracolo. Il bambino forestiero di Ferrara, che aveva scorto furtivamente un paio di volte a curiosare dietro l’ultimo banco dell’abazia, era davvero un angelo in veste di bambino.
E fu così che il piccolo Guido dopo aver avuto accesso al coro dell’abazia, dove imparò gli inni, le lodi, i vespri e le sante messe di Requiem, decise che quel meraviglioso segreto di immortalità che la musica custodiva doveva essere tramandato per l’eternità.
E proprio dalle parole dell’inno a San Giovanni, che aveva cantato per la prima volta in Abazia davanti all’abate Paolo e a quel gruppo di ragazzini strafottenti, prese a prestito il linguaggio per parlare al mondo la lingua degli angeli.
Ut, diventò il DO; da REsonare prese il RE; MI prima sillaba di MIra; FA da FAmuli; SOL da SOLve; da LAbii prese LA e da Sancte Iohanne ricavò il SI.
E queste sette sillabe andarono a comporre il suo personale alfabeto, che il giovane Guido, diventato maestro di coro, insegnava ai bambini posizionandole su quattro righe per far capire ai piccolini se dovevano cantare più grave o più acuto.
Come ho scoperto questa storia? Sì, un po’ l’ho inventata, un po’ l’ho letta su internet, un po’ la conoscevo.
Un po’ me l’ha raccontata lui mentre correvo a Villa Borghese…
Tutte le immagini sono di mia proprietà, salvo ove diversamente specificato
Ma dai, ma vedi che sei un genio! hai una fantasia e una qualità spaventosa! leggerti è un piacere, non amo le storie lunghe, mentre i tuoi sono giusti, non annoiano, sono una passeggiata leggera di qualche minuti...
Un attimo di tregua, condita da un eccellente italiano. grazie di tutto, questa volta hai fatto un excursus d'alta scuola! Un saluto da un ammiratore ( salutami il diavoletto !)
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Lusingata è poco! Grazie
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Semplicemente meravigliosa.
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Grazie mia carissima 😘
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bellissima! :D
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grazie mille :)
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Ecco, avevo intuito a metà racconto.. ma è stato davvero piacevole arrivare fino in fondo. Come sempre Marta, ogni post è un viaggio che arrivato a conclusione ti lascia un bel ricordo.
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grazie miti
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Meraviglioso. Naturalmente questa perla ha il mio voto intero al 100%. E una dedica piccola piccola, che credo sarebbe piaciuta a Guido...
“DO, se do una cosa a te,
RE, è il re che c’era un dì,
MI, è il mi per dire a me,
FA, la nota dopo il Mi,
SOL, è il sole in fronte a me,
LA, se proprio non è qua,
SI, se non ti dico no,
e così ritorno al DO”
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Stupendo film di formazione. Grazie ❤️
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Un pò perchè mio omonimo ,un po perchè canto ,un pò perche questa storia mi prende dentro personalmente e mi ci riconosco , un pò perchè le belle storie si premiano ed un pò perchè mi serviva e mi ha ristorato. Quindi ti do volentieri il mio voto.
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Ed io il mio per il poco che vale. Grazie 😊
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Una storia davvero molto delicata ed intensa, piacevolissima da leggere e con un lieto fine che riscalda il cuore, ai giorni d'oggi si sente parecchio la necessità di sentimenti veri e genuini come quelli che hai meravigliosamente descritto tu, in questo tuo racconto che, come dici tu, è il frutto di diverse fonti d'ispirazione, mi ha riscaldato per un attimo il cuore incontrare questo tuo post, devo solo dirti brava e rinnovarti i complimenti
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Grazie mille 😊
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