Suo malgrado, Luigi era diventato l’idolo dei marmocchi del campeggio che si appostavano nei luoghi più disparati e a ogni suo passaggio saltavano fuori strillando: “Sei una capra?”, “Sei un cane?”, “Sei un serpente?”, “Sei una lumaca?”, "Sei una giraffa?". (Vedi Tre porcellini e una zia.)
Il poveretto aveva la sindrome delle villeggianti della famiglia del Mascetti di Amici miei, ma la cugina era irremovibile: “Fino a che c’è il sole rimante lì”… Nel frattempo il marito, consapevole e orgoglioso di aver preso due piccioni con una fava, continuava a postare su Facebook foto di serate sempre più stravaganti e decisamente alcoliche.
Per tentare di spezzare il cerchio e terrorizzare le giovani menti degli amichetti del nipote, Luigi una sera - immerso nel buio delle roulotte fisse - raccontò loro una nuova storia.
C’era una volta un capretto che viveva con la sua mamma e suoi fratelli su una montagna molto isolata.
Il capretto era molto triste perché era l’unico marrone in un mondo di capre bianche e nere. La mamma gli ripeteva sempre che era fortunato perché anche suo zio era marrone ed era diventato un famoso attore di Hollywood che faceva girare la testa a milioni di capre di ogni età. Ma il mondo dorato dello zio era lontano dalla realtà di tutti i giorni del capretto: tutti lo prendevano in giro per il suo colore.
“Ciao cacca!” Era la frase più gentile che gli rivolgevano i compagni di scuola quando lo vedevano arrivare.
Un giorno mentre era seduto da solo su un masso a guardare tutti gli altri capretti che saltavano spensierati, gli si avvicinò un vecchio cane.
“Perché piangi capretto?” Gli chiese.
Proprio in quel momento arrivarono delle urla:
“AH! AH! Finalmente hai trovato un tuo simile”. “Vedi che non sei un capretto”. “No, è una cacca”. “Puzzi come una cacca?”. “Sei un cane! Sei un cane!!” “Bau! Bau!!”
Il capretto rivolse al cane uno sguardo di scuse: “Mi dispiace che ti stiano offendendo”.
“Ma figurati, capre che mi danno del puzzone non mi toccano molto. Tu piuttosto, perché li lasci fare?”
Il capretto gli raccontò tutte le sue angosce e il fatto che in famiglia - essendo tutti bianchi e neri - nessuno capiva le sue difficoltà.
Il cane ci pensò su e poi gli disse: “Avvicinati voglio parlarti di un’idea che mi è venuta.”
Il capretto aprì bene l’orecchio e il cane gli disse: “Pssss, psssss.”
“No!” Rispose il capretto.
“Sì, invece, ascolta bene: blau blau pss psss.”
“Veramente?” Disse sconcertato il capretto.
“Esatto e poi psssss pssssss beeee beeeeee.”
“Ah!” Si convinse il capretto “Mi pare una buona idea.”
“Ma la parte più importante è: pssss psssssss ppsssss.” Decretò il cane. “E questa, secondo me, è la notte giusta.”
Rincuorato dalle parole del nuovo amico, il capretto tornò a casa. Quella sera andò a letto presto e appena sorse la luna piena diede seguito al suo piano.
Infilò le scarpe con il tacco della mamma, mise due carote sulle corna, si appiccò sugli zoccoli le unghie finte della zia, mise le lenti a contatto rosse del cugino, arruffò il pelo, indossò i vestiti di suo fratello piccolo e infilò in bocca la dentiera da vampiro di Halloween.
Poi salì sul tetto e iniziò a ululare. “Bee” - fu il primo tentativo che gli uscì, ma per fortuna lo aveva detto piano - “Cioè: BeuuuUU” - no, non era ancora giusto - “uuuUUUUU” riprovò e poi finalmente: “AAAAUUUUUUU!!!!”
Felice di aver imbroccato il verso giusto, uscì di casa e iniziò a saltellare per il paese rumorosamente squarciando la notte con i suoi “belululati.”
Tutti i suoi compagni di classe si svegliarono, lo videro e iniziarono a tremare.
La mattina dopo, la mamma a colazione gli chiese: “Dormito bene questa notte?”
“Meravigliosamente.” Rispose il capretto sorridendo.
Quando arrivò a scuola tutti si zittirono, cominciarono a darsi di gomito e a bisbigliare. Lui tenne lo sguardo alto.
La maestra, che aveva mangiato la foglia, raccontò una storia di lupi mannari.
Da quel giorno nessuno lo prese più in giro e tutti fecero a gara per diventare sui amici, ma solo i più simpatici ci riuscirono.