Il vecchio e l'alieno

in ita •  7 years ago  (edited)

In questi giorni non tutti, specialmente gli anziani, hanno la fortuna di avere vicino le persone amate. Il mio pensiero oggi va a loro.

sky-space-dark-galaxy.jpg
source


Il vecchio e l'alieno

Il signor D'Amico, classe 1921, abitava in un bilocale in una delle vie più trafficate di Roma, la via Appia. Nessuno nel palazzo conosceva il nome del signor D'amico. Non frequentava nessun condomino e se qualcuno suonava alla porta o al citofono non rispondeva.

Nessuno sapeva se avesse parenti, sicuramente non aveva amici. L'unica persona ad averlo conosciuto davvero era stata sua moglie, Maria, morta dopo pochi anni di matrimonio. Da quando se n'era andata il signor D'Amico (che cognome beffardo), aveva tagliato ogni rapporto col mondo.
I Misuraca, figli dell'inquilino del terzo piano, lo avevano soprannominato l'alieno e lo perseguitavano con scherzi terribili. Una volta gli fecero trovare un gatto morto sul tappetino.

Era l'estate la stagione migliore per il vecchio, specialmente agosto, quando un po' di gente si toglieva di torno e il condominio restava deserto. Era il settantesimo ferragosto senza Maria. Roma era come un deserto, silenziosa, neanche un po' di vento. Si crepava.

Il vecchio si lavò e si vestì, indossando come ogni mattina la cravatta che piaceva a sua moglie; ne aveva sette uguali, in modo da potersela cambiare tutti i giorni. Del resto Maria nei sette anni di matrimonio, da quando si era ammalata e la sua mente aveva iniziato a vacillare, gli aveva fatto sempre lo stesso regalo: una cravatta rossa. Sette, come i sette anni di matrimonio.

Il signor D'Amico aprì il frigorifero per prendere il pacchetto del caffè, restò a guardare all'interno, il viso bluastro sembrava quello di una creatura degli abissi in un acquario. L'immagine di quanto aveva visto era ancora fotografata sulla sua retina, capovolta e grottesca. Era uno strano individuo, poteva essere un bambino, una rana dagli occhi lunghi, un raro bipede, una farfalla dalle ali occhiute. Quando si arriva a novantasei anni poche cose stupiscono davvero. Al signor D'amico non restava che ripercorrere nella memoria tutta la sua vita per trovare traccia di qualcosa del genere. Ma non ci riusciva.

Il vecchio si voltò per distogliere lo sguardo un momento, credendo che voltandosi di nuovo tutto sarebbe tornato alla normalità. Mentre era girato l’orologio a cu cu suonò le quattro del pomeriggio. Si era svegliato da non più di venti minuti. Come era possibile? Una pozza d'acqua si allargava sotto il frigorifero spalancato. Il rivolo, a causa della leggera pendenza del pavimento, lambiva la punta della scarpa del vecchio, seduto su una sedia di fronte al frigorifero aperto.

"Chi sei?" Chiese.

"Questa è l'area 51?" Rispose la voce dentro al frigo.

Il vecchio era perplesso. "Che? Area... 51? No, qui è via Appia 219".

"Allora hanno sbagliato... è una bella fortuna."

Chi fosse entrato in quel momento in casa avrebbe visto la seguente scena: un vecchio di più di novant'anni seduto su una sedia a discutere con un frigorifero spalancato che emanava una luce blu.

Il vecchio era incredulo.

"Dovevo essere nel Nevada adesso". Disse la cosa che stava nel frigorifero. "Ma qui c'è un buon odore di caffè."

La sera scese sulla città deserta. Poi arrivò la mattina del sedici. La luce filtrava attraverso le stecche della persiana. Il vecchio si svegliò. Per un momento gli sembrò di essersi destato da un sogno. La porta del frigorifero era ancora aperta ma la luce blu era sparita.

"Che strano sogno." Disse. Si alzò dalla poltrona, doveva aveva passato la notte. Cercò con lo sguardo l'orologio a muro della sala, segnava le sette della mattina. "Ho dormito quasi un giorno."

Gli facevano male le gambe, gli doleva la schiena. Chiuse il frigorifero e si diresse verso il bagno. Solo allora si rese conto che tutto intorno il perimetro della stanza si accumulavano strati di carta da parati. Qualcuno l'aveva staccata dal muro.

"Ma che diavolo..."

Nascosta dietro ad una credenza una creatura bluastra leccava la colla secca di quella che per cinquant'anni era stata la carta da parati di casa D'Amico.

"La mia carta da parati!"

Il vecchio ora poteva vedere distintamente quella strana creatura blu. La liberò dai rotoli e dopo averla presa per mano la trascinò via.

Fuori di qui!

Poi ci ripensò. Quella strana creatura gli faceva pena e lui era da solo. Il vecchio pensò che avrebbero potuto farsi compagnia, almeno per un po’.

Riaprì la porta, fece rientrare lo strano essere e dopo averlo vestito con qualche indumento preso dal suo armadio, una canottiera, una coppola, e un paio di pantaloncini corti, il signor D'Amico e la creatura furono in strada.

Era il sedici di agosto e nelle strade non c'era nessuno. Il vecchio era fuori di sé, camminava con lo sguardo basso, obbligato dalla sua gobba. Ogni tanto alzava gli occhi, e fu solo dopo un po' che si rese conto che c'era qualcosa che non andava.

"Ma dove sono tutti?"

"È un pianeta disabitato il vostro?" Chiese la creatura.

"Scherza scherza. Adesso vedrai quello che ti succede. Non sarai mica del campo nomadi di Ciampino? O sei del centro sociale? Adesso faccio i miei giri e poi ti porto alla polizia."

Poi sembrò ricordarsi di qualcosa. "Vediamo se almeno Gino ha aperto."

"John Jeeenow? C'era un Jeenow nel 1947, direttore del progetto Have Blue/F-117. Aveva uno strano accento del Wisconsin."

"No, Gino il barbiere. È di Crotone."

Percorsero le strade deserte del quartiere. Arrivarono davanti ad una saracinesca abbassata, sulla quale con del nastro adesivo era attaccato un foglio di carta bianca: "Sono in ferie. Per sempre".

Il vecchio avvicinò il viso al cartello. Si lasciò sfuggire un mugugno di stizza.

"Va bene, andiamo prima alla posta, queste bollette sono scadute da una settimana."

Ma anche la serranda dell'ufficio postale era abbassata.

"Ma che succede? Ma dove sono andati tutti!" Gridò. La sua voce rimbombò tra i palazzi con un'eco spaventosa. La creatura emise un borbottio e disse che aveva fame.

Camminarono per quasi un chilometro, tutto chiuso, poi il vecchio sembrò improvvisamente riemergere da un sogno quando vide in lontananza l'insegna del supermercato. Arrivarono. Miracolo! era aperto.

Nel supermercato c'era solo una cassiera annoiata che smanettava col telefonino, il banconista dei salumi con le dita nel naso, appoggiato ad un prosciutto appeso, e un addetto agli scaffali che allineava, in modo maniacale, le etichette dei detersivi.

Il vecchio si avvicinò al ragazzo degli scaffali. "Avete colla per carta da parati?"

"Buongiorno a lei". Replicò l'inserviente guardando in cagnesco sia il vecchio sia il tipetto con cui si accompagnava.

La creatura emise il suo solito sibilo che la scuoteva e le faceva tremare la coppola sulla testa.

"È suo nipote?" chiese il ragazzo.

"Lui ?! si è mio nipote."

La creatura alzò lo sguardo sul ragazzo, che restò interdetto. Gli occhi di quella cosa erano profondi come la notte. L'inserviente sembrò spaventato e balbettando con un filo di voce indicò uno scaffale.
D'Amico scelse la colla e si diresse alla cassa. La cassiera passò la colla sul lettore ottico senza staccare gli occhi dallo schermo del telefono.

"Dieci e settanta".

Il vecchio estrasse il portamonete e lo aprì. C'erano solo monetine. Iniziò a contarle una ad una. Solo allora la ragazza alzò gli occhi per seguire quella lunga operazione meticolosa.

D'Amico poggiò monetine da dieci e cinque centesimi una sull'altra. La pila era così alta che sarebbe bastato uno sguardo di troppo a farla crollare.

"Ecco qua." Borbottò il vecchio, con lo stesso tono soddisfatto di chi ha staccato un assegno da mille euro.

La ragazza restò a fissare. "Aho, ma che davvero?".

L'alieno emise il suo solito sibilo e la pila crollò miseramente facendo rotolare monetine dappertutto. La ragazza scoppiò a ridere. Allora l'alieno si tolse la coppola e la risata della cassiera si trasformò in un urlo straziato di terrore. Accorsero il salumiere e l'inserviente per capire cosa stesse capitando. Il vecchio, che stava raccattando le monete dal pavimento, si rialzò ma ne aveva raccolte a mala pena una decina. I due uomini videro quella cosa bluastra che li fissava con occhi minacciosi.

"Chiama le guardie." Disse il salumiere all'inserviente.

La creatura si era rimessa il cappello ma ormai la cassiera era terrorizzata e continuava a urlare. Il vecchio spinse fuori dal supermercato l'alieno.

Rincasarono di corsa. Nella cassetta della posta il signor D'Amico trovò una cartolina. Era un avviso di sfratto. Stava ancora leggendo e rileggendo quel biglietto quando qualcuno glielo sfilò dalle mani. Erano i figli dell'inquilino del terzo piano, i Misuraca. I bulli del terzo.

"Non ci credo! Il vecchio ha un nipote!"

"Ammazza che brutto!". Risero.

D'Amico cercò di riappropriarsi del cartoncino ma i due ragazzi se lo passavano velocemente, facendo girare il vecchio come una trottola. Poi improvvisamente il più alto dei due strappò il cartoncino in minuscoli pezzettini e li lanciò in aria. Se ne stavano tornando a casa sghignazzando quando la strana creatura iniziò a emettere un suono sottilissimo. I due ragazzi si voltarono spaventati. Molte farfalline bianche svolazzavano sollevandosi dal pavimento: erano i pezzettini di carta che si libravano all'altezza del naso del vecchio, gli giravano intorno come un'aureola e lentamente atterrarono sul palmo della sua mano, ricomposte nella forma dell'avviso di sfratto.

I due ragazzi scapparono di corsa e sparirono nei piani superiori. Si sentì sbattere una porta. Il vecchio restò inebetito a guardare il biglietto per qualche secondo.

"Chi sei?" Il vecchio, seduto a tavola, guardava la creatura, che aveva occhi languidi e scuri.

"Vieni da quell'area 51?"

"Sì."

"Come hai fatto a fare quella cosa, prima?"

"E tu come fai a respirare?"

Il vecchio annuì.

"Hai un male qui." Disse l'alieno, toccandosi il petto. "Lo sai che stai per morire?"

Il vecchio restò in silenzio. Come quando qualcuno dice una cosa che tutti sanno ma che nessuno ha mai avuto il coraggio di ammettere ad alta voce. Si asciugò gli occhi.

"Ti manca la tua Area 51?" Domandò il signor D'Amico.

"No, l'Area 51 è la mia prigione. Mi hanno catturato nel 1947. Mi manca il mio pianeta".

"Come si chiama?"

"Il suono tradotto nella tua lingua è un numero composto di centonovantanove cifre."

"Mi piacerebbe tanto vederlo".

"Non è così diverso da qui."

"Davvero?"

"C'è ogni cosa, per questo non ci sono campi rom. Capisci?"

"Io non riesco a capirlo, ma solo perché ho l'arteriosclerosi. Mi sembra bello però."

"Prendi me per esempio. Io sono anche tutti gli altri abitanti dell'universo. Di ogni tempo. Sono tutti dentro di me. E ti stiamo guardando."

Il vecchio guardò gli occhi scuri ed enigmatici dell'alieno e sentì un brivido.

"Ci mancano solo due cose, che qui avete."

"Davvero? Quali?"

"Il tempo e l'ossigeno. Ma la verità è che non ne abbiamo bisogno".

Il vecchio era perplesso. "Se venissi con me capiresti."

"Ma tu come sei arrivato qui?"

"Con il teletrasporto."

"Come in Star Trek!"

L'alieno sorrise. "Star Trek è molto meglio di Guerre Stellari. È da veri intenditori."

I due risero.

"Allora perché non torni a casa, se ti manca?" Chiese il vecchio.

"Perché funzioni il teletrasporto bisogna essere in due. Da solo non posso farcela. Non qui sulla Terra"

"Dovrebbero tornare a prenderti?"

"Sì, ma dubito sappiano dove mi trovo."

Il vecchio annuì.

"Sei capitato nel posto peggiore. Sono vecchio, povero e con i giorni contati. Non ho neanche l'automobile."

"Tu potresti aiutarmi."

"E come?"

"Te l'ho detto. Bisogna essere in due perché funzioni."

"Ma io non ho mai teletrasportato. Non ho neanche la TV".

"Mi aiuterai?"

"Va bene. Dimmi cosa devo fare."

"Se lo fai verrai con me e non potrai più tornare qui."

Il vecchio capiva quello che voleva dire. Si guardò intorno. Vide le pareti senza carta da parati, il frigorifero spalancato e le mosche che entravano e uscivano. C'era un odore cattivo in casa, come l'odore dei suoi giorni di solitudine.

"Non è poi un granché la vita da queste parti. E poi anche qui manca l'ossigeno"

L'alieno emise un sibilo. Quella era la sua risata. Anche il signor D'Amico rise.

"Sono pronto. Però prima vorrei andare a prendere una cosa."

L'alieno guardò il vecchio negli occhi. Erano completamente neri, ma espressivi. Il vecchio era come ipnotizzato da quello sguardo che gli ricordava quello degli orientali.

"Non avrai bisogno delle tue cravatte rosse. Stai benissimo così."

"Come fai a sapere delle mie...?"

Il vecchio ebbe un fremito. Si lasciò cadere sulla sedia. Si coprì il volto con le mani. Poi si asciugò gli occhi. Non aveva il coraggio di guardare l'essere che, seduto su una sedia, continuava a fissarlo con uno sguardo enigmatico e suadente allo stesso momento.

"Non si finisce mai del tutto, Mario."

Il vecchio annuì piangendo. "Sono sicuro che non avrò bisogno di cravatte rosse."

L'alieno guardò il signor D'Amico. La stanza si riempì di una luce bluastra. Come quella dell'universo in ogni tempo.

Authors get paid when people like you upvote their post.
If you enjoyed what you read here, create your account today and start earning FREE STEEM!
Sort Order:  

Bellissimo racconto, molto coinvolgente! Complimenti

Grazie

Davvero un bel racconto. Originale e toccante

Grazie

Congratulations @steemotion! You have completed some achievement on Steemit and have been rewarded with new badge(s) :

Award for the number of upvotes

Click on any badge to view your own Board of Honor on SteemitBoard.
For more information about SteemitBoard, click here

If you no longer want to receive notifications, reply to this comment with the word STOP

By upvoting this notification, you can help all Steemit users. Learn how here!