CDUMDS. Capitolo 6 - Boom!

in ita •  7 years ago  (edited)

Tornare in Italia, significò tornare a scuola.
Qualcuno ci chiese come fosse andata, qualcun altro volle sapere tutti i dettagli, e qualcuno oltre non volerne sapere nulla, sembrava infastidito.

Ci chiesero come fosse andata: i professori di educazione fisica, chimica, lettere e religione.
Vollero sapere tutto: i compagni, della nostra classe e non.
Non ne vollero sapere nulla: la professoressa di Filosofia, il professore di Matematica e la professoressa di Francese.
Strano, vero?

  • La professoressa di Francese, aveva vissuto quello scambio come un’avventura extraconiugale, con una lingua antagonista. Possiamo affermare con relativa certezza che fosse invidiosa, aveva perciò tutto sommato un buon motivo per non volerne sapere nulla.

  • Il professore di Matematica, non battè ciglio al nostro rientro in classe. I nostri banchi, che fossero stati vuoti, o pieni, era ininfluente. Incrociò i nostri sguardi, ci disse “bentornati” e continuò a spiegare le sue formule, come se nulla fosse.

  • La professoressa di Filosofia, quando ci vide, indossò la sua espressione più bendisponente.
    Entrò in classe sorridente, rilassata. Si accorse che eravamo tornati, e divenne seria. Serissima.

Sarà la coda di paglia, ma io accusavo il suo sguardo pesante, ogni volta che si posava su di me.

Da buona Umanista, lei riusciva percepire i nostri stati d’animo ancora eccitati dall’esperienza, con il corpo in Italia e la mente in Grecia, perciò mise in chiaro le cose il prima possibile:

“Bentornati, spero possiate capire che la vostra esperienza non è contemplata nei programmi ministeriali ufficiali, pertanto non può essere di intralcio al normale svolgimento delle lezioni.
Non voglio infierire, perché so che siete ancora con la testa fra le nuvole, ma vi posso concedere al massimo quindici giorni per recuperare, poi dovrò interrogarvi in Filosofia, e faremo il compito di Storia”.

Primo del giorno, in Filosofia: Kant, la Critica della ragion pura.
Secondo del giorno, in Storia: la Prima Guerra Mondiale.

Mi approcciai a questo nuovo autore, Immanuel Kant.
Se neanche con gli Scienziati, dal pensiero comprensibile, ero riuscito a migliorare la mia situazione filosofica, non ci sarei riuscito certo con un Tedesco progressista di base Aristotelica, che rifletteva sull’universo, in piena Rivoluzione Industriale.
Lo sapevo bene, ma dovetti provarci ugualmente.

Aperto il libro di Filosofia, questo recitava pressappoco:
“per critica, si intende quell’atteggiamento filosofico che consiste nell’interrogarsi sistematicamente sulle proprie esperienze, al fine valutarne le possibilità, le fattibilità, e i limiti”.

Fin qui tutto chiaro.

“il Genere Umano, possiede indistintamente la capacità di conoscere, ovvero possiede le tre facoltà conoscitive di sensibilità, intelletto, e ragione.

“La sensibilità, intrinseca dell’individuo, selezionerà i fenomeni ritenuti interessanti per la conoscenza, e in modo immediato e intuitivo, analizzerà le percezioni dei sensi.”
L’intelletto, a partire dai dati forniti dalla sensibilità, è in grado di fornire dei giudizi componendo i concetti, utilizzando i dodici concetti puri: le categorie
“in ultimo interverrà la ragione, la quale pretende di conoscere andando oltre la sensibilità, spiegando la realtà tramite i tre concetti di Anima, Mondo e Dio

« La ragione umana, anche senza il pungolo della semplice vanità dell'onniscienza, è perpetuamente sospinta da un proprio bisogno verso quei problemi che non possono in nessun modo esser risolti da un uso empirico della ragione... e così in tutti gli uomini una qualche metafisica è sempre esistita e sempre esisterà, appena che la ragione s'innalzi alla speculazione». Immanuel Kant

Magari era il caso di cercare qualcosa di più essenziale, giusto per capire.

Il trafiletto del Bignami, mi venne in aiuto, sintetizzando Kant così:

L’intuizione sensibile: conoscenza immediata attraverso i sensi delle forme.
Intelletto: la facoltà di pensare i dati ricevuti dall'intuizione sensibile attraverso le categorie.
Ragione: tenta di spiegare in modo totale e definitivo la realtà - oltre l'esperienza - tramite le idee di anima, mondo e Dio.

Chiaro, dai.
Ma ovunque, nel pensiero cardine di questo Filosofo, erano riportate dodici categorie così schematizzate:

QuantitàQualitàRelazioneModalità
UnitàRealtàSostanza ed accidentePossibilità-impossibilità
PluralitàNegazioneCausa ed effettoEsistenza-inesistenza
TotalitàLimitazioneAzione reciproca tra agente e pazienteNecessità-contingenza

Rewind.

Eravamo alle solite. Avrei studiato, avrei ripetuto le cose così com’erano scritte, e la professoressa mi avrebbe messo un brutto voto. Non se ne usciva.

Arrivò quel giorno, e si manifestò con un semplice:

“Dai, vieni alla lavagna”.

Mi alzai dal banco, mi diressi alla lavagna, pronto ad affrontare il mio destino. Avrei ripetuto quel poco che avevo capito, senza alcuna spiegazione da parte sua, e mi avrebbe messo tre, quattro, cinque. Poco cambiava.

“Allora, parlami di Kant”.

Quasi balbettando, con la voce tremolante, iniziai.
“Kant, ehm, è stato un filosofo Tedesco, ehm, vissuto nella seconda metà del settecento”

Lei mi guardava con un sorriso beffardo. Un sorriso che sembrava dire:
“povero idiota, ti boccio, e ti umilio davanti a tutta la classe”.


Avete visto Ritorno al Futuro? Immagino di si. Se non l'avete visto, vedetevelo.
Marty McFly è buono e caro, basta che nessuno gli dica codardo, in quel caso non risponde di sè, mettendosi anche nei guai.
A quel sorriso, mi successe la stessa cosa, e con voce più sicura e strafottente continuai:


“Che ha preso idee vecchie di duemila anni, e aggiungendo duemila anni di conoscenza, ci ha scritto un libro, fingendosi progressista. Anzi, non solo un libro, più di uno”.

La professoressa, mutò il sogghigno in shock, e prima che mi ponesse altre domande, partii come un fiume in piena:

“La teoria principale di Kant, è quella di osservare le cose, toccarle, guardarle e studiarle. Ma ci troviamo in piena rivoluzione industriale, si è passati dall’ordire un tappeto all’uncinetto a produrne centinaia al giorno grazie all’avvento delle macchine. L’osservazione è alla base della civiltà di quest’epoca, perché se non si fossero osservati gli oggetti, non se ne sarebbero capite le origini e la possibile meccanizzazione.
Tutti, dagli operai ai dirigenti degli stabilimenti delle catene di montaggio, sono tenuti ad osservare. Osservare il proprio lavoro su carta, immaginarlo realizzato, produrlo e poi alla fine guardarlo ancora, e valutare se sia soddisfacente, migliorabile oppure innovativo.
A chi spettava prendere le decisioni? Democraticamente, e lavorativamente parlando, anche al di sopra della politica, a uno strato sociale basato su uno schema piramidale, con mansioni diverse e responsabilità di diverso peso, ma ugualmente distribuite. Pertanto l’intelligenza, o l’intelletto come lo chiama Kant, non era una prerogativa di una classe sociale o di un determinato gruppo di persone, ma solamente di coloro che riuscivano ad instradarla, anche grazie alle proprie possibilità e mansioni.
Certo, Kant non pone l’attenzione sull’istruzione e la cultura, poiché è vero che l’intelletto è parte dell’essere umano, ma è pur vero che all’intelletto andrebbero dati giusti strumenti e materiale, per essere educato ad affrontare i problemi in una determinata maniera, piuttosto che in un’altra.
Sono dell’opinione, che il primo telaio tessile sia nato dall’esperienza di un sarto, che si era stufato di ordire a mano le proprie trame, e abbia cercato un modo per stancarsi meno. Ecco, probabilmente una persona pigra ha un intelletto molto più sviluppato, poiché è abituato a trovare soluzioni semplici a problemi complessi, per stancarsi meno.
Ma questa è una mia opinione, non di Kant, il quale non pose minimamente l'attenzione su cultura/istruzione, ma aveva dato ad ognuno di noi, la possibilità di agire secondo degli schemi prefissati, dando al cervello un’immagine di un grande scaffale pieno di miliardi di piccole scatole, dentro ognuna delle quali era possibile inserire anche un solo oggetto specifico.
Più sappiamo di quell’oggetto, e più riusciamo a posizionarlo nella scatola più appropriata. Ma, di base, se non ci vogliamo stancare troppo, abbiamo nella nostra testa dodici scatoloni, e per quanto cretini possiamo essere, in quelle dodici scatole riusciamo a infilarci qualsiasi cosa riusciamo ad osservare.
Vale per ogni cosa? Certo, vale per ogni cosa. Ma, se dovesse esserci un tilt in qualche passaggio, o se fossimo troppo svogliati da cercare una scatola più piccola in cui poter mettere qualche cosa che non ci è chiara, ci sono gli scatoloni di scorta, su uno scaffale apposito, che si chiamano Anima, Mondo o Dio. Li dentro le cose possono anche essere buttate a caso, poiché nessuno potrà mai dimostrare che debbano stare da qualche altra parte.”

BOOM.

Ero stato chiaro? Non ero stato chiaro? Era vero? Non era vero? Che importa.
Quella fu una mia interpretazione di Kant.
Probabilmente, se domani dovessi rispiegarlo a qualcuno, ne darei un'altra, differente. Fu una risposta, senza senso, apparentemente, una chiacchierata quasi informale con un matto che non spiegava Kant, ma giudicava, criticava Kant.

La professoressa ammutolì. Rimase senza parole, ma le si stampò un sorriso luminoso in faccia. Dopo qualche altro minuto di chiacchierata, in cui mi chiedeva cose, e io rispondevo a caso, secondo me e non secondo Kant, mi rimandò al mio posto.
NOVE.

Tutti mi guardarono malissimo. Non ci aveva capito niente nessuno, ad iniziare da me.
Avevo trovato una soluzione? Forse.

Qualche giorno dopo, era in programma il compito di Storia. La professoressa, ormai, ogni volta che entrava in classe mi faceva un profondo e sincero sorriso.
Mah.

Traccia di Storia: La prima guerra mondiale. Tre ore a disposizione.
Facile.

“Ma aspetta, se le racconto la prima guerra mondiale, Francisco Ferdinando, bla bla bla, mi rimetto sotto scacco come gli anni precedenti.”
Provai quindi una mossa fuori dagli schemi. Tanto non avevo niente da perdere.

Passai due delle tre ore a pensare, immaginare, e realizzare questo disegno (è una copia, ma fedele all'originale)
IMG_20180329_182110.jpg
immagine dell'autore, copia conforme all'originale.

Giornale datato 1917, martedi 13 Novembre. Il giorno successivo la sconfitta degli Italiani a Caporetto. Immaginai di non fare un compito in classe, ma di sfogliare un giornale dell’epoca, ironico e un po’ provocatorio, verso il lettore, dunque verso la professoressa.
La pubblicità a piè di pagina era del maggior produttore all’epoca di cannoni e armi pesanti.
Due pugili al centro, uno tedesco dai tratti marcati e l’elmetto, e uno austro-ungarico con il berretto tipico, ghignavano soddisfatti su un povero soldato italiano con le stelline che gli ruotavano sulla testa, e gli occhi gonfi dalle botte prese.
Il titolo, “Caporetto, che disfatta!”, e un sottotitolo figlio della cronaca sportiva.
Nella pagina posteriore, raccontai l’ultima notte della battaglia, fingendo un’intervista a un soldato Italiano sopravvissuto.

“Eravamo accerchiati, io ero a terra cercando un riparo, mentre il loro esercito marciava sui corpi dei nostri compagni. […] Mi finsi morto, sperando che non se ne accorgessero, e sono stato fortunato, perché ad ogni Italiano a terra, sparavano un colpo di grazia fra fragorose risate. […]”

Conclusi la mia intervista con:
“Cosa ci può dire dell’operato di Cadorna? Secondo lei è stata più sfortuna o errore di valutazione e tattica”?
Il mio sopravvissuto rispose:
“Guardi, non voglio parlare di Cadorna. Abbiamo fatto del nostro meglio, ora starà alle decisioni di Diaz riuscire a fare di più”.

Consegnai il compito così. Con lo sguardo incredulo del mio compagno di banco, che stava scrivendo pagine e pagine di trattazione, e che mi lanciò un’occhiataccia come a dire:
“Ma dove cavolo vai con quel coso? Ti vuoi suicidare?”

La professoressa riportò i compiti qualche giorno dopo. Li mise tutti insieme sulla cattedra, li voltò e iniziò dal primo.
Per ogni compito, chiamava il nome, diceva il voto, e brevemente cosa andava bene e cosa no.
Li chiamò tutti, prima del mio. Il mio era l’ultimo, non a caso, chiaramente.
Disse il mio nome, mi guardò con il nuovo sguardo illuminato, e con un sorriso mai indossato prima disse, ad alta voce: “DIECI”

Dieci? Stava scherzando. Non era possibile.
Mi diede il compito, e c’era scritto sul serio dieci. Così: 10.

Nel frattempo decantava quanto fosse stato innovativo, geniale, e travolgente leggere di quella storia e pensare di trovarsi li, insieme a quel soldato.

BOOM

I miei compagni di classe, solidali con me negli anni precedenti, vista la stessa barca di voti pessimi su cui navigavamo, non la presero benissimo, diciamolo.

Volete sapere la cosa realmente sconvolgente in tutta questa storia quale fu? Anzi le cose, due.

  • La prima, era che quest’impennata di voti a Storia e Filosofia, trovò una sua eco anche in Disegno. Già, perché il professore, aveva un debole per quella professoressa, e viaggiavano di pari passo, anche nei voti. Pensava che l’arte e la Filosofia fossero profondamente legati. Diceva.
    A me, comunque, su un progetto di una possibile abitazione del futuro, mise DIECI. Anche lui.

  • La seconda, che capìì col passare delle settimane, fu la conquista dell’immunità.
    Non mi interrogò mai più, né a Storia, né a Filosofia. E il prof. di Disegno fece lo stesso.
    Fui presentato all’esame di maturità con NOVE a Filosofia, DIECI a Storia e DIECI a disegno.

BOOM.

FASE ASCENDENTE DELLA PARABOLA

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Ora, dovevo riuscire a fare assolutamente qualcosa per Matematica. Li non avrei potuto inventarmi niente.


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Cavoli, devi averla spiazzata veramente quella prof! Mitico 😄... mo' vojo capì che te sei inventato co matematica

Vediamo... Stiamo facendo un giro largo 😉