Nicolai Lilin, pseudonimo di Nicolaj Veržbickij, è uno scrittore russo naturalizzato italiano che proviene da una famiglia con tradizioni e origini siberiane. La peculiarità di questo autore è che tutti i suoi libri sono stati scritti da lui direttamente in lingua italiana, nonostante la sua lingua madre sia il russo. Nicolai venne per la prima volta in Italia nel 2003 per fare visita alla madre che si trovava già qui, e che si fingeva malata per attirare il figlio a sé. Una volta giunto in Italia, decise di rimanervi avendo trovato qui un posto da poter chiamare veramente casa. Come già detto prima, ha sempre scritto nella nostra lingua, imparata leggendo Dante, ascoltando musica e parlando con la gente. Ragazzi tra i 18 e 25 anni venivano reclutati per combattere, strappati alle loro case, allontanati dalle loro famiglie e catapultati in una vita di guerra e sofferenza in cui sopravvivere era la cosa più importante, e in questo nuovo mondo di sangue si ritrova anche il giovane Kolima (così viene soprannominato il protagonista). I ragazzi, prima di essere spinti definitivamente nella realtà della guerra, vengono addestrati presso campi militari situati poco lontano dai veri e propri campi di battaglia; ognuno di loro viene indirizzato verso il reparto per il quale è più propenso: cecchini, paracadutisti, fanteria e altri reparti speciali. Una volta pronti e mandati ai relativi reparti, uno dei primi compiti che viene loro affidato è occuparsi dei cadaveri al termine della battaglia per familiarizzare con la morte prima di essere costretti a dover uccidere. Ciò che viene descritto in questo libro è anche la crudeltà della guerra e i sentimenti che essa suscitava in chi era coinvolto. I soldati erano costretti a sottostare agli ordini che venivano loro impartiti e non potevano far nulla per tutte quelle persone, gente semplice la cui vita ormai era stata ridotta in frantumi dalla guerra, che girovagavano per le città e i paesi in rovina con gli occhi vuoti e i vestiti stracciati, l’unico consiglio che potevano dare era di allontanarsi da lì il più in fretta possibile.
Ciao Steemit! Oggi vorrei raccontarvi di un libro che ho trovato molto interessante, suggestivo e anche impressionante, dato il modo “crudo” in cui scrive l’autore. Si tratta del romanzo Caduta libera di Nicolai Lilin.
Caduta libera (pubblicato nell’aprile 2010) è il suo secondo romanzo, preceduto da Educazione siberiana, e racconta l'esperienza del protagonista nella guerra in Cecenia. Lilin ha fatto il cecchino per due anni di servizio militare in un gruppo d’assalto dell’esercito russo durante la Seconda campagna cecena e descrive in questo libro il suo personale punto di vista di questa guerra.
Una delle frasi che mi ha colpito particolarmente del libro è stata “Ogni uomo porta dentro di sé dio e il diavolo. In certe situazioni è giusto che uno prenda il sopravvento sull’altro: solo così l’uomo può sopravvivere”. Ed ecco quindi cosa contava veramente per un soldato in guerra: la sopravvivenza. Per poter riuscire a superare quell’orrore e tutti gli orrori che erano costretti a compiere, l’unica cosa a cui pensavano e con cui cercavano di giustificarsi era il sopravvivere, sperando che tutto finisse il più presto possibile.
Il libro termina, infine, con il ritorno a casa di Kolima dopo aver scontato i due anni di servizio obbligatorio. Tra gli edifici famigliari e la tranquillità della gente, però, il protagonista trova difficoltà a riadattarsi alla vita quotidiana e decide così di andare in Siberia dal nonno a ritrovare la pace perduta. Sapeva di stare per tornare alla sua vera casa e ciò provocava in lui un risveglio alla vita, “come buttarsi dall’aereo in volo e godersi la caduta libera, prima di aprire il paracadute”.
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