Una leggenda racconta che un re indù, di nome Iadava, vinse una grande battaglia per difendere il suo regno, ma per vincere dovette compiere un'azione strategica in cui suo figlio perse la vita. Da quel giorno il re non si era più dato pace, perché si sentiva colpevole per la morte del figlio, e ragionava continuamente sul modo in cui avrebbe potuto vincere senza sacrificare la vita del figlio: tutti i giorni rivedeva lo schema della battaglia, ma senza trovare una soluzione. Tutti cercavano di rallegrare il re, ma nessuno vi riusciva. Un giorno si presentò al palazzo un brahmano, Lahur Sessa, che, per rallegrare il re, gli propose un gioco che aveva inventato: il gioco degli scacchi.
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Alfiere in E2
Il primo re fece la sua mossa. Si voltò quindi verso il primogenito, in piedi accanto alla poltrona e intuì il suo nervosismo.
Il figlio aveva compiuto da poche ore l'età che gli concedeva il diritto di poter assistere alla partita. A mezzanotte e un minuto venne accompagnato nella sala grande, dove vide il padre seduto ad un tavolo in marmo di fronte al secondo re e suo figlio. Sul tavolo era disegnata la scacchiera e i pezzi brillavano alla luce delle candele. Tanto vasta era la stanza che intorno ai due vi era un buio impenetrabile. Si posizionò accanto al padre e iniziò a scrutare la scacchiera in silenzio, respirando lentamente l’aria addolcita dal profumo di tabacco tostato e the.
“Non sono infastidito, padre, solo che rifletto. Per la prima volta non sulla mossa che mi aspetto che logicamente voi possiate fare, ma sul perché fare proprio quella mossa e non un’altra”
Il padre attese qualche minuto e disse “puoi fare tutte le mosse che vuoi, c’è libertà all’interno di poche regole”
“Non dubito della mia libertà, mi chiedo perché questo gioco preveda un certo numero di vittime. Il pedone, una volta fuori dalla scacchiera, cosa diventa? Fuori dal gioco che significato hanno quei pezzi?”
Il padre prese a guardarlo incuriosito e rispose: “Noi cosa siamo al di fuori del gioco?”
Cavallo in C3
Il secondo re, dall'altra parte del tavolo, si accarezzava i baffi e sorrideva. Guardò suo figlio maggiore, al suo fianco, totalmente immerso nel calcolo delle mosse.
Il figlio del primo re invece continuò con aria interrogativa:
“Non comprendo quello che dite, padre, non mi è del tutto chiaro nemmeno quel che io ho appena chiesto”
“Poni le tue domande adesso, figlio mio, anche se non le comprendi, anche se non ci sarà mai abbastanza tempo per rispondere perchè i nostri avversari saranno sempre lì ad attendere la nostra mossa”
“Chi ha deciso che i pedoni possono solo mangiare in diagonale davanti a loro?”
Il secondo re sorrise ancora e intervenì improvvisamente: “chi ha deciso il momento in cui dobbiamo morire?” Fece una lunga pausa, guardò il giovane figlio dell’avversario e continuò. “Le regole si perdono nella notte dei tempi, impariamo dai nostri padri senza chiedere mai le motivazioni dei loro gesti, riti che si trasmettono nel silenzio di questa stanza da sempre. Comunicando unicamente con le nostre azioni mentre il tempo dilata le nostre anime”
Pedone in G5
Il primogenito non si scompose, controllò il suo cuore improvvisamente pieno di rabbia e si rivolse al padre.
“Fossi nato pedone, vivrei col rimorso di non aver mai visto cosa mi accadeva alle spalle, quali misteriosi intrecci di corte hanno portato la regina a corrermi davanti verso una morte certa. Una battaglia che non potrei comprendere, compagni decimati. Il nemico di fronte a me penserebbe che se ci avvicinassimo troppo rimarremo eternamente bloccati in una situazione drammaticamente illogica, senza più nemici al nostro fianco a cui rubare spazio e speranze. Vedere svanire per sempre l’unica possibilità di essere promosso e di poter guardare dietro di me, alla fine del mio corridoio di guerra. Fossi nato pedone, preferirei morire piuttosto che trovarmi in una posizione simile”
Regina in G4
Il primo re fece una pausa e un lungo respiro, poi come rassegnato disse: “ricordo che mio padre non pronunziò mai una sola parola durante la sua partita. Conobbi la sua voce un momento prima che morisse; mi disse che la scelta della mossa non è mai né giusta né sbagliata, è solo una scelta. Non capii mai cosa volesse dire, fino a quando dovetti prendere la scelta se sacrificare o meno il pezzo più importante del mio gioco. Dopo aver riflettuto per molti giorni, all’improvviso sentii il dolore di una scelta che non sarebbe stata giusta né sbagliata ma necessaria. Mio padre aveva previsto quel momento, probabilmente aveva passato tutta la sua vita nel tentativo di evitarlo, senza riuscirci. Noi ereditiamo solo le scelte dei nostri padri e a nostra volta con le nostre scelte costruiamo la partita dei nostri figli”.
Alfiere in G4
Il primogenito era confuso, ma una consapevolezza improvvisa lo invase e capì che in ogni caso quella partita sarebbe stata persa.
“Posso accettarlo, padre, ma non lo comprendo”