Mastro Aldelmo, il fabbro.
Vecchie e stanche mura, spifferi di paglia e roccia, ceri sparsi nella piccola navata; quattro banchi ed un enorme croce di vecchio legno ammuffito, l’unico arredo.
Nessun rumore all’esterno, niente vuole disturbare la confessione di mastro Aldelmo; una voce bassa, quasi un sussurro, le grosse mani intrecciate e strette, le nocche bianche, la pelle ingiallita e macchiata dal tempo e dagli eccessi.
-Sorella, mi perdoni! Ho bisogno del perdono di Nostro Signore, è per volere di Dio che oggi sono passato da questa strada per andare in città, lui vuole che io sia perdonato per i miei peccati e lei deve ascoltarmi e perdonarmi-.
La sorella in questione era una giovane ragazza, magra e pallida; un vecchio vestito nero di lana ruvida e grossa, le appesantivano le fragili spalle; un velo, un tempo bianco, le incorniciava il viso affilato e tratteneva i capelli appassiti.
Con gli occhi bassi, seduta sullo stesso banco di mastro Aldelmo, strinse le mani intorno alla lunga gonna del vestito, con un leggero tremore fece un cenno di assenso con la testa.
-Deve capire, ero giovane, nel paese non c’era molto lavoro, Mastro Gregorio era il proprietario dell’unica fucina; mio padre, un vecchio pastore, aveva lasciato il suo misero terreno ai miei due fratelli più grandi e mi aveva cacciato di casa, “Sei abbastanza grande per cercarti il cibo da solo” mi aveva detto, un calcio e un sacchetto con dei vestiti erano l’ultima cosa che mi diede. Il mastro fabbro fù gentile, aveva già due assistenti, che come me volevano imparare un lavoro, metter su famiglia, vivere tranquilli. Andavamo in chiesa ogni domenica, eravamo tutti dei timorati di Dio; fù davvero buono, ci insegnò tutto, come accendere i fuochi, lavorare il ferro, forgiare armi, armature e non solo; io ero bravo, il migliore!-
La ragazza, impassibile, si strinse un pò di più verso il poggiolo del banco, l’olezzo dell’uomo la disturbava.
– Mastro Gregorio diceva sempre che era lui il più bravo, noi eravamo solo randagi che lui aveva accolto per pietà e che dovevamo essergli grati di quello che ci insegnava; non ci pagava, ci dava un pò di pane e ci faceva fare tutto il lavor; Il nostro guadagno era l’esperienza, il sudore, il dolore e la stanchezza. Noi crescevamo e non aveva più niente da insegnarci, lo sapeva, glielo lessi negli occhi che voleva mandarci via. Mandare via me? L’unico veramente capace? Sarei tornato per strada senza neanche quel poco di cibo che ci dava la sera. Per fare cosa? Per andare dove? Conoscevo un mestiere ma là c’era già lui, non servivo; non volevo andar via, meritavo di prendere il suo posto, ero più giovane e bravo di lui-.
L’uomo alzò leggermente la testa ad osservare la donna che lo ascoltava silenziosamente.
Era immobile come una statua, quasi irreale; ad un suo accenno con la testa lui guardò per un attimo il grosso crocifisso e continuò.
-Quella notte, tornò barcollante nella fucina, puzzava di vino; “nessuno di voi è degno del mio fuoco, della mia incudine, non mi servite”, biascicò, lanciando pinze e metallo per terra con rabbia; sapeva che ormai non poteva più trattenerci e farci fare il lavoro al suo posto per niente; gli altri ragazzi lo avevano guardato con tristezza ed erano andati via, io non potevo, ero migliore di lui, migliore di tutti!
Quella fucina era mia!
Me la meritavo!
Non ero uno stupido, mi ero preparato; avevo fatto qualche lavoretto dallo speziale e, di nascosto, avevo rubato una delle boccette col teschio disegnato; presi un bicchiere e lo riempii per metà di vino, poi, senza farmi vedere lo colmai col veleno.
Sapevo che sarebbe accorso spostandomi con violenza, per prendermi il bicchiere di mano, e lo fece.
Ci vollero pochi secondi, iniziò a tenersi la gola soffocando, io indietreggia di poco e lo fissai negli occhi mentre con lo sguardo cercava il mio aiuto; in quel momento sapevo di aver vinto, ero felice, sorrisi e continuai a fissarlo mentre lui si accasciava morente al suolo.
La mattina dopo lo trovarono morto, ero l’unico fabbro ed il villaggio aveva bisogno di me!-
Osservò di nuovo il crocifisso e la donna.
Ora Dio mi ha perdonato, posso riprendere la mia strada, non ho più questo peso sulla mia coscienza, il signore perdona chi si pente e io ora sono pentito, ero solo un ragazzo-.
Si alzò, la silenziosa figura si mosse con lui, prima che uscisse dalla vecchia porta lei gli porse una piccola borraccia, le loro dita si sfiorarono, l’uomo sentì un piccolo brivido.
Si sentiva libero, i demoni lontani del suo passato non gli mordevano più lo stomaco.
Risalì sul suo carretto, il cavallo riprese il suo andare ciondolante.
La ragazza continuò a fissarlo fino a quando non sparì tra le fronde degli alberi, sorrise, poi rientrò nella vecchia chiesetta sicura che non avrebbe più incontrato Mastro Aldelmo…