Cabo da Roca è il punto più ad ovest del continente europeo. Queste scogliere battute dal vento che si buttano a capofitto nell’immenso oceano Atlantico erano per il popolo europeo del 14esimo secolo i confini del mondo. È incredibile starsene li ad osservare il tramonto e pensare che una volta il mondo era molto diverso da come è oggi, tutti noi chiaramente lo sappiamo ma ci pensiamo troppo poco spesso. Una volta non si poteva prendere un aereo per arrivare in poche ore dall’altra parte del globo. I tempi erano molto più dilatati, i marinai stavano per mesi o anche per anni sulle navi; mi chiedo se la loro capacità di attendere fosse in qualche modo più sviluppata della nostra che ci irritiamo per il treno in ritardo di 5 minuti. Non sappiamo più aspettare, dobbiamo fare, fare, fare, e ancora fare. Senza una fine. Ogni giorno. E quasi ci insegnano che stare per un po’ a fare nulla è sbagliato. Perché?
A Cabo da roca si riscopre la dimensione della lentezza. Mentre il vento ci investe teniamo gli occhi puntati verso l’orizzonte e i pensieri che teniamo dentro, in fondo alla mente, perché siamo troppo occupati a fare mille altre cose, riemergono in noi. Ci sentiamo vivi. Piccoli in confronto all’immensità della natura. La connessione profonda e indissolubile che abbiamo con essa riemerge in noi. Noi siamo natura.
Sulla scogliera che più si è addentrata nelle fredde acque, l’uomo ha messo una lastra di marmo che porta incise le seguenti parole:
“ Aqui.. onde a terra se acaba e o mar comeca”
(Camoes)
Ovvero “ Qui.. dove la terra finisce e il mare comincia”. Trovo questa frase di una potenza comunicativa immensa. Si siamo qui e qui la terra finisce.