Mi sento una vetrata
della chiesa di Nôtre-Dame e
voglio godere
fino all'ultimo fascio di luce
fino all'ultimo rivolo
di questo arcobaleno
che nasce da me,
per me.
Conosco i giorni uggiosi
il cielo pieno d'acqua
e le nuvole minacciose,
ma so che il mio architetto
ha fatto in modo che io potessi resistere
e accolgo l'acqua
scrosciante
sul mio corpo vetrato
perché anche questo è magico e
filtra all'interno della chiesa
con un fascino raro
che solo l'occhio attento
di un turista interessato
può scorgere
e contemplare.
Vorrei che tu fossi la vetrata policroma
che mi sta di fronte e
che entrambi ci guardassimo
nel nostro splendore,
nella nostra bellezza
che se non perfetta
è almeno unica;
vorrei che i nostri fasci di luce si scegliessero, come finora
nella moltitudine
delle altre persone-vetrate e
giocassero insieme,
abbracciandosi e intrecciandosi
come corde leggere e diafane
che accarezzano
ma non stringono mai;
vorrei che pur non giocando insieme
in entrambi il ricordo sia fortificante
e trasformi l'attesa
di ritornare a giocare
nel desiderio di continuare
a sceglierci
ancora.