Un breve racconto di nebbia.
Col coltello non è un modo di dire di queste parti, non è un modo che mi ricorda le persone fra cui sono nato, vissuto.
Troppo duro è dire col coltello.
E' una punta che entra taglia buca senza ambiguità, senza riflessione.
Intontititi ci si aggira per le strade in meditazioni che dovrebbero farci saltare al di là del fiume per incontrare l'aquila reale.
Ci si aggira nella nebbia.
Appunto.
C'è una sola cosa che si adatta al coltello: la nebbia.
La nebbia, che qui si taglia col coltello.
Il coltello serve ad altre cose più belle da altre parti.
Un lancio esatto e una noce spaccata in due.
Un taglio veloce e la gola squarciata senza un grido.
Una lama affilata e sono in groppa all'aquila.
Da noi il coltello si scopre quando scende la nebbia.
Quando scende la nebbia compaiono coltelli affilatissimi, intarsiati, di Toledo, lame che luccicano.
Con la nebbia si sguainano.
Si fanno dei bei lavoretti ma, per lo più, l'autore è sconosciuto.
E così, dopo averla vista dalla finestra, quel mattino, molto presto, sono andato fuori ad incontrarla, la nebbia.
Abito in un quartiere periferico.
Appena fuori, ho sguainato il mio kriss malese: due colpi precisi e sono uscito dal cancello.
Il cancello l'ho visto grazie al kriss malese.
Una buona lama.
"La profondità dell'acqua nel momento dell'ebollizione durante l'era glaciale variava attorno..."
Uno scienziato nel mio quartiere...ne intravedevo la sagoma.
Mi precedeva verso il viale.
Mai saputo che ci fosse uno scienziato lì vicino....magari un premio Nobel.
"Seppure l'era glaciale sia considerata..."
Abitava a due passi da me probabilmente.
E chi era?
Due figure sfuocate abbracciate, contro il muro di una vecchia casa con giardino.
"Poeta, volentieri parlerei a quei due che insieme vanno, e paion sì al vento esser leggeri..."
Dante.
Con i toni sommessi e scanzonati di chi cerca di non dire cose solite e dice le cose insolite senza retorica.
Ed era lei che gli accarezzava le gambe cercarlo di guardarlo in fondo.
La nebbia.
Tutto era di contorni incerti.
I sussurri, le parole che incontravo crescevano e crescevano certi rapidi fruscii.
Ad ogni fruscio il contorno di una persona assorta in qualcosa.
Nel viale, alle sei e trenta del mattino, questa era l'ora, c'erano forse cento persone.
Chi?
Un panettiere a cavallo, ma non a cavallo normalmente, no: in equilibrio su una mano, con i piedi teneva la cesta del pane mentre con l'altra mano menava fendenti con una scimitarra.
Un operatore ecologico giocava come un matto con gattino rotolandosi per terra insieme alla sua ramazza e alla sua katana.
Una figura di vecchio leggeva qualcosa. Un breve fruscio e ho letto il titolo del libro: "Elogio della follia" di Erasmo da Rotterdam...un libro come un altro.
C'era...un elenco lungo di presenze da non finire mai...ho intravisto di tutto e tutti a fare qualcosa di eccezionale.
Nella nebbia.
Ho risalito il cavalcavia attraversando i fruscii e i sibili.
Chi cantava il Barbiere di Siviglia, chi con un sax suonava Miles Davis, un violinista vestito da impiegato di banca in equilibrio su un filo rendeva omaggio a Mozart e un ferroviere leggeva l'epistolario di Einstein.
Un sottufficiale si arrampicava su un palo della luce ridendo sguaiatamente e una signora correva spingendo un carrello del supermercato e facendo brrumm brrumm con la bocca.
Tutti avevano questi sibili e fruscii.
Erano i loro coltelli.
Li usavano bene.
In piazza Garibaldi la nebbia stava scomparendo.
Si alzava.
Sibili e fruscii si facevano più radi.
In via Cavour, il silenzio.
Poco più avanti e poco più tardi, solo qualche minuto, in piazza della Libertà il sole era già spuntato.
Qualche occhiaia o qualche borsa sotto gli occhi.
Ma di coltelli nessuna traccia.
Le foto sono dell'autore
I tuoi racconti hanno sempre un stile unico, complimenti!
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