Il tempo stringe
“So che non crederai a nulla di quello che c'è scritto qui e ce ne vorrà perché tu ci creda, ma alla fine lo farai... almeno lo spero”
Come incipit non era niente male, quel ragazzo (le piaceva chiamare così Oscar, anche se aveva appena superato i quaranta continuava ad avere la freschezza, la gioia e la curiosità di un quattordicenne, e questo le piaceva tantissimo) sapeva creare suspense e tenerti attaccato alle sue mail; o forse lei aveva voglia, e in qualche angolino della sua testa anche bisogno, di stargli vicino senza litigare in quel momento.
In ogni caso, Elena proseguì nella lettura.
“A dispetto di quel che potrebbe sembrare, questa mail non è stata scritta in fretta. Mi trovo nella condizione di avere tutto il tempo dell'universo (anche se non sappiamo quanto tempo abbia l'universo. Ok, prometto di non divagare più), ma TU non ce l'hai”
Cosa voleva dire? Questo modo di fare melodrammatico la faceva stare sulle spine e arrabbiare, ma il suo intuito le stava suggerendo che forse sarebbe stato meglio dargli credito e leggere tutto di un fiato senza perdere tempo; in qualche modo Oscar era riuscito a metterle fretta, in un modo che la metteva a disagio e la faceva stare in ansia.
“Ho necessità che tu creda a quel che ti sto dicendo e faccia come ti dico, non vorrei chiederti di farlo senza sapere nulla, e per questo ho diviso il messaggio in due sezioni: la prima è quella che ti dice cosa fare nell'immediato, la seconda ti spiega ampiamente il perché; anche se spero di poterlo fare io più tardi.
“Ti prego di leggere la prima parte della mail e di non perdere tempo, se riuscirai a trattenermi quando starò per partire per andare da mio fratello, anche solo per pochi minuti, non si verificheranno degli avvenimenti che è meglio non si verifichino... Mi sto incartando nelle divagazioni e digressioni, passo ai fatti.
“Abbiamo litigato da poco e se ho fatto i conti giusti, il messaggio ti dovrebbe essere consegnato con la data di oggi - 11 novembre 2010 - e l'orario delle 12:57 (ora di Gennarino)...”
Temperacazzi, quella era la parola giusta. Elena ogni tanto apostrofava Oscar con quell'epiteto quando lui si metteva a fare il pignolo inutilmente (non che non avesse ragione a fare il pignolo in certe situazioni, ma sono le stesse che richiedevano un minimo di elasticità) e questo era proprio il caso di questa mail; che bisogno c'era di mettere l'orario preciso?
E poi perché riferirsi al loro furgone (che avevano sempre chiamato “Gennaro” o “Gennarino”) per determinare l'orario?
“... e io sono uscito da circa ventitré minuti, o almeno era l'orologio del furgone a segnare le 12:32 quando ero davanti al cancello di casa; diciamo che è l'ora di Gennarino.
“So che stai pensando che io sia un temperacazzi e hai ragione, in una certa misura, ma stavolta non del tutto, ti prego continua a leggere... e continua a credermi.
“Spero che a questo punto tu riesca a credere di aver ricevuto una mail mentre io sono fuori di casa e non ho con me il computer. Potrei averla scritta col cellulare, essere entrato in un internet point e averla mandata collegandomi a “Big G”, ma non è così e non ho tempo (o meglio, tu non ne hai) di darti una spiegazione completa; ti prego fidati e vai avanti.
“Come ti dicevo, sono uscito di casa per andare a fare un giro (a te ho detto che andavo a fare dei servizi) e sono molto arrabbiato; tornerò ancora incazzato e me ne andrò dritto davanti al mio computer fisso, un po' per sbollire la rabbia e un po' per non starti vicino con il rischio di litigare. In questo preciso momento, diciamo alle 13:04, sto fumando una sigaretta fermo sulla piazzola di sosta di fronte all'aeroporto e sto guardando decollare un aereo della Ryan Air verso est; se ho fatto bene i calcoli, guardando fuori lo dovresti vedere anche tu.”
Il rombo del jet invase fragorosamente la casa; sembrava che stesse decollando dal loro tetto ma Elena si rese conto che era solo il suo cervello che aveva in qualche modo “evidenziato” il rombo a cui era ormai abituata da cinque anni (cioè da quando viveva lì e Oscar era solo un nome tra i tanti che conosceva); decise che sarebbe andata a sbirciare (solo per curiosità, mica credeva a tutte le cazzate che gli raccontava Oscar), fece volare dalle sue gambe il gattone delle dimensioni dello stregatto di Alice, posò il computer sulla panchetta affianco al divano e uscì velocemente in giardino, giusto in tempo per vedere un pezzettino di coda tinta di blu con su la scritta gialla della compagnia aerea, che decollava verso est.
Oscar è furbo (nel senso di svelto di mente, non risiedeva malizia in quel ragazzo... in quell'uomo) e quindi poteva aver calcolato un colpo di scena per farsi credere, ma essere furbi è un conto, avere una mente che possa calcolare le necessarie probabilità per portare Elena a vedere l'aereo che decollava in quel preciso momento era al di là delle capacità di Oscar... almeno sperava.
“Mi auguro che ti sia alzata per controllare l'aereo, questo è il massimo che posso fare ora per dimostrarti che è tutto vero; adesso viene il bello.
“Io tornerò a casa fra un decina di minuti e me ne andrò nello studio imbronciato e arrabbiato; nel tempo che sono stato fuori ho avuto una discussione telefonica con mia madre sull'operazione che faranno domani a mio fratello.
“Quel che mi ha detto non è importante (lo è, ma non serve a nulla parlarne ora), ma mi ha fatto deprimere parecchio. Al momento sto pensando che se non ho affetto da mia madre e non ne ho da te sono solo al mondo e quando sarò a casa non avrò voglia di parlarti; ma tu devi farlo perché devi farmi fare ritardo nell'andare a trovare mio fratello.
“Ecco il succo: io partirò da casa alle 16:42 (ora di Gennarino), alle 17:11 mi troverò presso l'uscita dell'autostrada di Acquaviva delle Fonti in direzione di Taranto. Semplicemente non devo trovarmi lì a quell'ora; basta qualche minuto prima o dopo, non fa differenza, l'importante è che non sia in quel posto in quel momento.
“E qui viene la tua parte, devi sballare questa tabella di marcia, solo che hai un problema: me.
“Come immagini sono abbastanza svelto da capire se qualcosa non va per il verso giusto e quindi non puoi sabotare il furgone perché me ne accorgerei, non puoi trattenermi perché se ci provassi, arrabbiato come sono, potrei non ascoltarti affatto, e potresti non riuscire nel tuo intento. E soprattutto non puoi e non devi dirmi nulla di tutto questo.
“Ora, il tuo compito è di sfasare i tempi e non farmi trovare dove ti ho detto all'ora che ti ho detto; ritengo che trattenermi almeno fino alle 16:50 (ora di Gennarino) basti, oppure dovrò partire prima, ma penso che per la buona riuscita sia meglio ritardare che anticipare. Potrei prendermela comoda e rischiare di arrivare in perfetto orario; sì, è meglio che tu mi trattenga fino all'orario che ti ho detto.”
Lo stanco cervello di Elena fece brillare una spia rossa lampeggiante nella sua testa, sotto c'era un pannello luminoso a led (come quelli delle pubblicità scorrevoli) che diceva “Ok, basta leggere questa follia; credi a questa stronzata galattica e trova un modo per ritardarlo”.
Nonostante tutto Elena non ce la faceva a credergli, non gli sembrava possibile che quella strana combinazione di avvenimenti stesse accadendo a lei, e, per dirla tutta, non ci avrebbe creduto neanche se fosse successo a qualcun altro. Quella era roba per i film di fantascienza che piacciono tanto a lui e che l'avevano sempre lasciata freddina. Quelle storie non riuscivano ad emozionarla così tanto, era più “roba da Oscar” e forse per quello lui si stava gasando così tanto in quella situazione assurda.
E ancora, Elena credeva che fosse uno scherzo elaborato; Oscar era capace di quello e ben altro, i modi che riusciva a scovare per fare pace erano sempre nuovi e diversi e ogni volta lei si trovava a riflettere sulla natura e la profondità del loro rapporto.
Soltanto cinque anni prima Elena aveva appena iniziato ad abitare in quella casa, Oscar viveva in un'altra città e si conoscevano in maniera “virtuale”; in effetti non si erano mai incontrati di persona all'epoca, avevano conosciuto le reciproche personalità attraverso i messaggi che si scambiavano in una area pubblica chiamata “newsgroup” e si riferivano l'uno all'altra usando i rispettivi nickname.
E a quel tempo Elena non aveva ben chiaro da dove venisse la parola “nickname”, tutto quel che sapeva era che indicava un nomignolo autoassegnato (almeno su internet) e che sostituiva il nome vero; fu poi Oscar, con la sua logorrea che a volte sfociava in una involontaria saccenza, a spiegarle che era una abitudine mutuata dalla lingua inglese: di solito gli inglesi (e anche gli americani) quando vogliono attirare l'attenzione di una persona sono soliti rivolgersi con la frase “Ehy! Nick!” assegnando quel nome al loro interlocutore; e così il nomignolo usato su internet era stato denominato “nickname”.
Il ricordo di Oscar che si lanciava nelle sue interminabili spiegazioni farcite di “tecno bla-bla” fece commuovere nuovamente Elena, che si ritrovò a lacrimare come fosse una fontanella, ma servì anche a farle rimettere a fuoco la mente sulla situazione in cui si trovava suo malgrado, non sapeva davvero se credere o no a quel che leggeva: se avesse deciso di compiere un atto di fiducia nei confronti di Oscar avrebbe fatto meglio a mettere in moto la materia cerebrale e a pensare qualcosa di valido per raggiungere l'obiettivo che le era stato assegnato dal suo uomo. Oppure avrebbe anche potuto spazzare via tutte quelle sciocchezze e prepararsi ad un pomeriggio di litigi e musi lunghi, sofferenze e mal di pancia, contando anche che Oscar doveva partire per Taranto e che quindi il “chiarimento” sarebbe stato rimandato alla sera tardi.
Per la prima volta nella sua vita Elena decise di fidarsi completamente di qualcuno che non fosse lei stessa, e poi... non aveva forse visto l'aereo partire così come aveva scritto Oscar nella mail?
Per la verità in quel momento Elena non si era ancora resa conto che una parte recondita della sua mente era già arrivata ad alcune conclusioni che non le erano ancora lampanti, però decise di dare ascolto al cartello luminoso e trovare una soluzione per quel pasticcio; il suo stupido cervellino avrebbe fatto meglio a suggerirle una soluzione anziché illuminarsi come un albero di natale dentro la sua testa; certe volte si sentiva di dare ragione a Homer, quando bistrattava il proprio cervello.
I cani si risvegliarono dal torpore in cui si calavano quando fuori c'era brutto tempo (e in casa era acceso il riscaldamento), Elena alzò gli occhi e l'orologio a cucù, regalo della mamma di Oscar, kitchissimo ma carino, segnava circa l'una e quindici; non aveva nessuna voglia di impelagarsi con le definizioni pignole di Oscar: l'una e quindici andava più che bene come orario per lei, ancora meglio, più approssimativo avrebbe detto lei, pensare all'orario come “l'una e un quarto”.
In ogni caso, l'orario e i cani che smaniavano per uscire volevano dire solo una cosa: c'era qualcuno al cancello ed Elena era in qualche modo sicura che fosse Oscar... e lei non aveva pensato a nulla!
“Cazzo, cazzo, cazzo, cazzissimo! Oscar ha sempre ragione, maledetto, anche quando mi scrive mail stralunate provenienti da chissà dove” fu il primo pensiero di Elena; ora lui era qui e lei non sapeva che fare, posto che ci avesse capito qualcosa o si ricordasse cosa fare; le tornò alla mente la gag di Homer quando gli chiedono di concentrarsi, e appare l'immagine in sovrimpressione sulla sua fronte di una scimmia da circo che suona i piatti: perfetto esempio di vuoto mentale; solo che lei non si sentiva la testa vuota, più che altro sentiva come se la scatola cranica fosse piena di melassa che si andava solidificando, insieme tenendo in sospensione e schiacciando il suo cervello che non riusciva ad articolare nessun pensiero valido. L'unica cosa che le rimase da fare fu di pensare alla scimmia da circo che suonava i piatti, magari funzionava anche per lei oltre che per Homer.
“ciao”, era detto con la minuscola e giusto per educazione: il saluto di Oscar era tirato e svogliato; Elena era ancora presa a cazziare il suo cervello e non pensò di rispondere ad Oscar, restando concentrata (così era sembrata ad Oscar) sul suo portatile e l'immagine della home page del social network che il browser le rimandava, ma in quel momento sentiva la melassa nel suo cervello che si solidificava sempre più, un esercito di scimmie suonava in maniera forsennata i piatti da orchestra, mentre un miliardo di api ronzava loro intorno, forse attirate dalla melassa; il saluto di Oscar le giunse come da un altro universo.
Improvvisamente si svegliò da questa sorta di torpore, le scimmie, le api e la melassa sparirono d'incanto, e le sembrò di sentire il suo cervello rombare su di giri pronto ad affrontare qualsiasi sfida il destino le avesse proposto.
“ok, allora trova qualcosa di serio, idiota di un cervello inutile” pensò lei appena le si furono snebbiate le idee, ma il primo pensiero fu rivolto al fatto che Oscar era tornato, e dopo averla salutata di sfuggita, si era andato a piazzare nell'altra stanza a rollarsi una sigaretta davanti al computer fisso; esattamente com'era scritto nella... LA MAIL!
Ecco cosa doveva ricordarle il suo stupido e inutile cervello (ok, la smetto, sai che sono epiteti affettuosi, come farei senza di te, cervellone mio adorato?), altro che api, scimmie e melassa.
Ok, ora che si era ricordata cosa dovesse fare, sarebbe stato giusto capire anche il come; era già l'una e mezza e il tempo stringeva, intanto avrebbe fatto meglio a “sincronizzare gli orologi”, come dicevano nei film d'azione, e controllare che ora segnasse Gennarino: se Oscar aveva usato quel riferimento diverse volte era evidente che dovesse avere un significato preciso (e importante) in tutto quel guazzabuglio di cui non aveva ancora capito granché.
Uscì in giardino e andò a controllare l'“ora di Gennarino”: le 13:27. Aveva circa tre ore per inventarsi qualcosa, ritardare Oscar e “sfasare” tutto questo macello che le era piombato in testa.
Come giustamente le era stato fatto notare nella mail, non poteva sabotare il furgone, perché lui se ne sarebbe accorto subito e probabilmente sarebbe stato capace di rimetterlo a posto in breve tempo, e la conseguente incazzatura sarebbe servita a mettergli fretta, facendolo correre di più per recuperare i minuti, con il rischio di arrivare esattamente puntuale dove non doveva arrivare... qualsiasi cosa tutto ciò stesse a significare.
Di farlo bere non era il caso, sarebbe potuto partire in stato alterato con tutti i conseguenti rischi. Per quanto si sforzasse non le veniva in mente nulla, cosa diceva sempre Oscar?
“Se hai fretta, rallenta. La fretta può portarti solo a sbagliare, e se rallenti magari vedi le cose nella giusta prospettiva”
Stronzate!
Se avesse rallentato, avrebbe potuto non avere mai la giusta idea e non sapeva (non aveva idea di) quali sarebbero state le conseguenze...
Cazzo come passa veloce il tempo quando ti serve, aveva sincronizzato l'orologio del suo telefono su quello di Gennarino, e le impietose cifre grigie su un fichissimo fondo nero glamour con delle linee di riflesso che lo facevano sembrare tanto fashion dicevano (gridando) TREDICI DUEPUNTI TRENTASETTE.
Restava una sola cosa da fare, sapeva che Oscar, per quanto innamorato e sensibile al fascino femminile, non avrebbe risposto al richiamo cui rispondono tutti i maschi che lei conosceva: non sarebbe bastato mostrargli le tette.
E quindi?
Si sentiva ad un punto morto, non le veniva in mente una sola idea valida, non sapeva come uscire da un casino che non capiva e che non comprendeva, essendo costretta a fare qualcosa che non sapeva cosa fosse per sfasare una tabella di marcia del cazzo, dando credito ad una mail che, non si sapeva come, s'era piantata nell'hard disk del suo portatile.
Ripensò a ciò che aveva appena pensato e si rese conto di quanto assurda fosse la situazione; assurdo per assurdo, decise di fare qualcosa di assurdo.