Con un emendamento approvato alla Camera lo scorso 19 dicembre, viene introdotto il nuovo comma 1-ter che assoggetta ad IVA al 10% le cessioni di piatti pronti e di pasti che siano stati cotti, arrostiti, fritti o altrimenti preparati in vista del loro consumo immediato, della loro consegna a domicilio o dell’asporto.
Le novità della Legge di bilancio: la ragioni della modifica – La V Commissione Bilancio approva l’emendamento di cui all’articolo 8 della nuova Legge di Bilancio 2021 con cui, mediante una norma di interpretazione autentica, viene rimodulata l’aliquota IVA applicabile ai piatti di asporto e food delivery pronti per il consumo.
La modifica nasce come conseguenza all’evoluzione del mercato registrata in particolar modo durante il periodo di emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da Coronavirus. Seguendo quella che era già la tendenza degli ultimi anni, infatti, il settore della ristorazione, le cui attività sono state più volte limitate o sospese a causa delle restrizioni introdotte dai vari DPCM, ha dovuto implementare in modo significativo i servizi di asporto e delivery: molti ristoratori, anche i più tradizionali, si sono dovuti dotare di una struttura organizzativa che potesse consentire l’asporto o la consegna a domicilio dei propri prodotti, come strategia di “sopravvivenza”, in attesa dei ristori statali.
Come conseguenza, è emerso in modo più significativo il differente regime IVA applicabile:
- da un lato, al consumo di piatti al tavolo, configurabile come somministrazione di alimenti e bevande e quindi assoggettato l’aliquota IVA ridotta al 10% come da Tabella A, parte III, n. 121) allegata al D.p.r. 633/1972 – in cui rientrano non solo quelle effettuate nei pubblici esercizi “classici” (appunto, bar, ristoranti, pizzerie, etc…), ma anche ad esempio in uffici e scuole o anche per il tramite di distributori automatici;
- dall’altro, la preparazione di cibi da asporto o con consegna a domicilio, la cui attività, che consiste nella preparazione di cibi pronti per il consumo (riconducibile al codice ATECO 56.10.20), si configura come sola prestazione di dare e non di fare, dovendo scontare l’aliquota IVA differenziata sulla base dei singoli prodotti che compongono la “preparazione alimentare”.
Tra l’altro, come già evidenziato in precedenti contributi sul tema, nel secondo caso non è detto che l’aliquota complessivamente applicabile comporti un onere maggiore a carico del consumatore finale, posto che molti alimenti sono soggetti ad aliquota agevolata del 4%. Discorso differente – ma non di secondaria importanza – quello delle bevande, che se consumate al tavolo rientrano nell’aliquota al 10%, ma, se consegnate per l’asporto, sarebbero soggette ad IVA al 22%.
Le risposte del MEF e l’evoluzione normativa – Già con una precedente risposta del MEF all’interrogazione parlamentare n. 5-05007 del 18 novembre 2020, era stata anticipata la possibilità di applicare l’IVA al 10% anche alla vendita di piatti da asporto o mediante consegna a domicilio in quanto entrambe le modalità rappresenterebbero l’integrazione necessaria dei servizi resi ai clienti: come già sopra evidenziato, infatti, i ristoratori sono stati costretti dalle disposizioni vigenti a sostituire il servizio al tavolo con l’asporto/consegna.
L’apertura positiva del MEF portava con se alcune complessità: la prima, che riguardava la possibilità di applicare il più favorevole regime alla sola fase di emergenza sanitaria (proprio in ragione della natura “integrativa” del servizio reso); la seconda, che ne limitava l’ambito oggettivo alle sole consegne/asporto.
Con l’emendamento testé approvato, invece, viene introdotta la definizione di preparazioni alimentari (n. 80) della Tabella A, parte III del D.p.r. 633/1972), che include non solo i piatti pronti per la consegna o l’asporto ma anche tutti quei piatti “cotti, arrostiti, fritti o altrimenti preparati in vista del loro consumo immediato” (ossia anche con un intervento umano necessario ma non significativo per il consumo).
Inoltre, avendo carattere di interpretazione autentica, la norma dovrebbe applicarsi anche retroattivamente e non solo limitatamente alla fase di emergenza sanitaria, fissando così a regime l’aliquota IVA al 10% per la vendita dei predetti beni.