Le stagioni-Poema

Ho imparato così tanto in ciascuna delle mie stagioni che a volte non riesco a decifrare l'inconoscibile che si cela dietro l'apparenza. È come se il seme, la radice e il frutto fossero qualcosa di diverso da ciò che vedo nella sua onnipotenza. Come se il mistero non potesse nascondere l'evidenza o se la chiarezza esplodesse in tutta la sua potenza.
Il seme si spezza, le radici camminano indefinitamente in universi intra-terrestri e la fiducia nell'affidabilità di ciò che è o può essere si dissolve in filamenti. Le parole non sono più certe. Se ciò che esprimo non ha nulla a che fare con ciò che viene interpretato, o almeno non ha importanza.
Il freddo richiama l'esterno delle emozioni nelle sue oasi o nei suoi inferni. Svela la paura più omogenea di tutte: nessuno vuole il dolore o la sofferenza. Assistere alla caduta delle ultime foglie è un bene necessario in questo frammento temporale che immancabilmente abitiamo.
Non voglio vedere il volto del dolore e del gelo sul campo nudo, mi si para davanti. È così sensibile lo stato tra l'acqua e il gelo. Ciò che vivo e ciò che sento, ciò che avrebbe potuto essere o ciò che è ancora incerto. Mi riparo per abbracciare ciò che vibra in modo effimero e incerto.

Riparo l'intempestività di ciò che non è più, di ciò che si annuncia in inverno. Riparo la possibilità dell'esistenza effimera e tra i singhiozzi qualcosa di nuovo sta fermentando, anche se non lo vedo, anche se lo ignoro, qualcosa sta cuocendo nelle viscere della natura domestica. Il silenzio fuori e nelle profondità sospira l'alba di ciò che accade nella pelle di uno pseudo selvaggio, che segue il battito della terra.