CONTEST - UNA STORIA ITALIANA

in hive-184714 •  9 months ago  (edited)

LA VENDITRICE DI FUMO E ALTRE DISCUTIBILI STORIE PSICHIATRICHE: storie dal trentesimo secolo (racconto per la partecipazione al contest una storia italiana)

Pre-scriptum d'autrice: se avevate pensato che Fiorina con il suo infernale carattere fosse quanto di peggio avete finora visto tra i personaggi (purtroppo spesso ricalcati da fatti e persone della vita reale) di questa distopia neorealistica, d'ora in poi potrete ricredervi, lol!

Il professor Heinz ce la metteva tutta per ritardare il più possibile le dimissioni dei pazienti Meis, Ferraro e Pollastri. Data la rettitudine del luminare della psichiatria che nel suo caso si accompagnava a uno spirito compassionevole, non avrebbe mai voluto rispedirli nell'inferno delle loro dimore e li teneva in reparto ben oltre le canoniche settimane standard, mediamente da due a quattro. Il giorno delle dimissioni non era mai un buon giorno, nè per i pazienti nè per il professor Heinz, che ultimamente si stava spremendo le meningi per cercare una sistemazione per i tre. Paolino Meis, il paziente peggio conciato, si trovava nel perenne rischio ricovero manicomiale, il che non era un grande affare. Proprio per niente. L'internamento in manicomio poteva paragonarsi al carcere, se non peggio. Il reparto di psichiatria dell'ospedale cittadino risultava al confronto un paradiso per i pazienti. Il professor Heinz viveva immerso nella ricerca per trovare una cura che quantomeno stabilizzasse i pazienti schizofrenici come il Meis, se proprio non si faceva possibile la guarigione definitiva. E per risolvere il maladaptive daydreaming di cui Nina Ferraro soffriva. Quanto ai disturbi di depersonalizzazione del paziente Pollastri, risultavano ben più gestibili, soprattutto se confrontati con quelli di uno schizofrenico. Ma l'ambiente domestico non l'aiutava, così come a casa di Paolino Meis e di Nina Ferraro si poteva solo peggiorare. Oltre all'aver cacciato dal reparto quasi a pedate il padre di Norino, nei giorni seguenti aveva cacciato quasi alla stessa energica maniera la madre di Nina, una donna che a sua volta soffriva di qualche disturbo mentale, per l'esattezza paranoide. La signora Rosa era solita accendersi come una torcia non appena la figlia minore osava contraddire la sua più che perfetta e infallibile visione della realtà e l'aveva presa a schiaffi senza ritegno, davanti ad altri pazienti. Noncurante del fatto di trovarsi in un luogo pubblico, il che per una ragazza di ventisei anni costituiva fatto oltremodo umiliante. Ma le umiliazioni, secondo la signora Rosa erano benefiche per assicurarsi una prole davvero disciplinata. Constantin, che per caso passava davanti alle salette visite, aveva avvisato immediatamente il primario. Inutile dire che il professor Heinz non aveva tardato se non pochi minuti a rilevare le paranoie della donna. Che a differenza della figlia, non intendeva minimamente riconoscere di avere bisogno di aiuto. Erano gli altri in torto marcio, compresi il medico di famiglia e gli specialisti che, unanimi sul punto, sollevavano la questione. Ma no, la signora Rosa godeva di perfetta salute: congiuravano tutti contro di lei per mero sadismo, invece, si capiva, al punto che la donna aveva cambiato ben tre medici di base per tal motivo. L'ansia che si respirava in casa di Nina si poteva tagliare col coltello. Fino a quando la ragazza non si era laureata alla LM, l'ambiente domestico era ancora mediocremente vivibile, anche perchè grazie al trascorrere cinque intere giornate a settimana più le mattine del sabato tra le lezioni e le biblioteche universitarie, Nina trascorreva pochissimo tempo in casa e quel poco tempo libero lo dedicava pressochè alla sorella maggiore, Francesca, affetta da sindrome di Down. Dato l'angusto bilocale che a suo tempo era stato assegnato ai suoi genitori poche settimane prima che Francesca nascesse, la promiscuità eccessiva non permetteva di studiare in tutta tranquillità materie universitarie, che richiedevano molto più impegno degli studi di un liceo. In ogni caso, Nina aveva studiato nelle biblioteche sin dal liceo di scienze umane. Se durante la primaria e le medie si respirava meglio in casa, lo si doveva principalmente alle allora migliori condizioni di salute di Francesca, di dieci anni più grande di sua sorella e al tempo che la madre trascorreva con la figlia maggiore in cucina, quando non la portava fuori a passeggio in qualche pubblico giardino, maltempo permettendo, mentre il padre lavorava e Nina svolgeva i compiti di scuola nella camera da letto dove la notte si dormiva in quattro. Le figlie in un letto a castello e ovviamente Nina di sopra, perchè Francesca nelle sue condizioni rischiava di cadere. Terminate le medie, Nina aveva frequentato il liceo di scienze umane al posto del liceo classico che la ragazzina avrebbe preferito, perchè il primo risultava molto meno impegnativo rispetto al secondo.
-Data la situazione che avete in famiglia,- avevano consigliato i prof. delle medie -impossibile per questa ragazzina affrontare una scuola così dura come il liceo classico o lo scientifico. E dato che le piace leggere e ha voti discreti in storia e geografia, il liceo delle scienze umane è perfetto per lei.
Terminato il liceo, i genitori di Nina avevano storto il naso quando la figlia aveva espresso l'intenzione di proseguire gli studi.
-Ma con la scuola che ho frequentato, non posso fare nemmeno più la cassiera o la collaboratrice domestica, anzi, oramai chiedono pure per questi lavori di aver seguito un corso professionale apposito come requisito!
-E non è meglio se ti iscrivi a uno di questi corsi, allora?- proponeva il padre.
-Ma io vorrei arrivare più in alto...
Complice l'ISEE bassissimo, che l'avrebbe esentata dalle tasse universitarie e la possibilità di studiare nella biblioteca dell'ateneo facendo uso dei libri messi a disposizione da parte di quest'ultima, senza necessità di acquistarne, complice anche il fatto che i manuali relativi alle materie umanistiche, filosofia nel caso di Nina, non variassero a ogni tre per due alla stregua dei mattonazzi di Giurisprudenza, notoriamente i peggiori per le tasche degli studenti e delle loro famiglie, caso mai si fosse rivelato indispensabile prenderne qualcuno, i genitori avevano ceduto. Le scarse spese erano state determinanti a convincere la signora Rosa e il signor Giacinto. L'unica spesa ricorrente sarebbe stato l'abbonamento ai trasporti pubblici per raggiungere l'ateneo. Meglio se annuale, per risparmiare, ma purtroppo i genitori di Nina non si potevano accollare una spesa di alcune centinaia da uscire tutta assieme e dunque avevano optato per comprarle il mensile. Se doveva fermarsi a pranzo fuori, bastava portarselo da casa. E girarsi costantemente dall'altra parte, dando le spalle alle vetrine di panetterie, pasticcerie e bar che erano solite circondare i quartieri universitari. E rifiutando gentilmente eventuali inviti al bar universitario da parte di colleghi con tutta evidenza più ricchi di lei, se potevano permettersi di entrarvi. Dopotutto, la figlia di un manovale di magazzino e una casalinga doveva sapersi accontentare, se intendeva studiare. Nina era diventata maestra nell'arte di accontentarsi, ma cinque anni di duri sacrifici non avevano condotto ai risultati sperati e ora i signori Giacinto e Rosa, che già si ritrovavano in casa una figlia ultratrentenne disabile che per forza di cose non lavorava, dovevano anche sopportare una filosofa perennemente disoccupata. L'indolenza di Giacinto aveva ben presto portato l'uomo a una rassegnazione rasente l'indifferenza sul fattaccio, anche se qualche volta buttava come per caso qualche breve frase di lamentela sulla penosa circostanza. Ma Rosa non si rassegnava e rinfacciava a Nina ogni boccone un giorno si e l'altro pure.
-Se solo avessi potuto prendere i 60 CFU, magari a ques'ora lavoravo pure io! Ovviamente, le informazioni giuste arrivano solo quando è troppo tardi perchè si usa così in questo paese. Nessuno si è premurato a informarmi che ben poche lauree in Italia sono abilitanti e titolo in mano, ci vogliono pure sessanta crediti formativi per insegnare!
-Se avessi fatto il corso per cassiera o come si dice...per i servizi di casa...come ti avevamo consigliato io e tuo padre...
-Collaboratrice domestica? Si, certo, ad averlo saputo prima, che dopo la laurea c'erano da sganciare quattromila che non abbiamo per i crediti abilitanti, ma me lo dovevano dire appunto prima!
-Ma secondo te, che si danno la zappa sui piedi? Se informano gli studenti, questi se ne vanno e loro perdono i lauti guadagni.
-Ma quali guadagni, che ho praticamente studiato gratis!
-E l'abbonamento agli autobus? Guarda che quello lo pagava tuo padre e profumatamente, quale gratis!
-Ma non entra in tasca ai professori universitari! Che c'entrano loro con le ditte dei trasporti?
-C'entrano, c'entrano, che qui sono tutti d'accordo per fregare quelli come noi che non abbiamo santi in paradiso, è tutto un mangia mangia per spillare come meglio possono gli ultimi quattrini della classe operaia che si fa gabbare. Gli studi superiori sono soltanto per i ricchi e i benestanti, non per quelli come noi! Noi siamo quelli al servizio dei ricchi e nobili. Dacchè mondo è mondo, così è stato e sempre sarà. Quelli come noi cercano lavoro dopo la terza media.
-Ma se lo sai anche tu che con la terza media non si lavora, oggi. In nero, se e quando va bene o se hai uno statale in famiglia. O sei una rara eccezione. Nemmeno papà avrebbe potuto lavorare nei magazzini senza diploma più corso di formazione, lo sai anche tu che a momenti richiederanno la laurea pure ai magazzinieri privi di patentino per il muletto.
-E va bene, per il lavoro di tuo padre non discuto, ma inutile dire che si sono fatti furbi con queste assurde richieste di titoli per i lavori manuali. Una volta bastava solo la pratica, per svolgere lavori manuali e potevi tranquillamente essere analfabeta! Ma lo capisci che i requisiti che oggi hanno l'ardire di pretendere sono tutte strategie per farci buttare soldi? Però tu potevi anche essere quella rara eccezione che lavora con la terza media senza essere figlia di uno statale.
-Si, certo, come no. Lo sai che i guai dell'essere umano spesso iniziano con il credere di essere un'eccezione?
-Ecco, ha parlato la filosofa. A questo ti è servita la laurea, a imparare a contraddire tua madre. Un diploma comunque lo avevi, no? Che bisogno c'era dell'università? Tua sorella ha solo la terza media e non se ne lamenta mai. Non lavora, sappiamo il perchè. Ma lei si che ci ha fatto risparmiare. Al contrario di te.
-Povera Francesca! Non l'avete mai iscritta a una secondaria, ma lo sapete che i ragazzi con la sindrome di Down vivono meglio e più a lungo, se sono impegnati nello studio? Sono meno soggetti a malattie organiche e disturbi secondari causati dalla loro condizione cronica e il loro intelletto si sviluppa a dispetto della trisomia. Possono lavorare, coltivare amicizie e vivere normalmente, mentre a Francesca che vita spetterà dopo di voi?
-Ecco che ora ricomincia con i paroloni astrusi!
E partiva la periodica litigata tra madre e figlia che finiva immancabilmente a grida e schiaffi, dato che la signora Rosa era usa alzare le mani facilmente per qualsiasi nonnulla, fuori e dentro casa, noncurante della maggiore età della figlia. Era cresciuta nella convinzione che un figlio deve sottomettersi ai genitori in tutto e per tutto, senza mai questionare nulla, quantomeno finchè vive sotto lo stesso tetto. A tali escandescenze, ultimamente seguiva il periodico ricovero psichiatrico di Nina. Che oramai si presentava volontariamente in pronto soccorso allo scopo. Il suo zaino con i pochi effetti personali era sempre pronto. Le prime due volte che era finita in psichiatria, lo doveva agli impiegati di un paio di centri per l'impiego, dove da oltre un anno si era recata senza successo per trovare un lavoro qualsiasi, che magari le permettesse pure di pagarsi i 60 CFU e sempre e quando il suo eventuale stipendio non se ne andasse tutto per emergenze in casa. La prima volta avevano chiamato la Municipale perchè all'ennesimo ostruzionismo, Nina era rimasta completamente immobile e mentalmente assente, come una statua di pietra, davanti al balcone della reception fino alla chiusura dei locali. Gli impiegati l'avevano ignorata per ore, comportandosi come fosse trasparente e seguitando imperterriti nella loro attività, ma al momento di chiudere l'agenzia, non gli era più possibile far finta che la ragazza che avevano davanti non esistesse. Non riuscendo la Municipale a riportarla all'ordinario stato di coscienza, nè con la persuasione, nè attraverso minacce di arrestarla, avevano riteniuto opportuno portarla in ospedale, dov'era stata ricoverata per la prima volta in psichiatria. La seconda volta, in un'altra agenzia per l'impiego dove non aveva ricevuto migliori attenzioni rispetto alla prima, non s'era ridotta a mo' di statua, ma in preda a un crollo di nervi forse peggiore del primo, Nina era rotolata a terra in preda a convulsioni. Scambiando la manifestazione per una crisi epilettica, ma quand'anche non lo fosse stato, impossibile ignorare una persona che si rotolava a terra fuori di sè, avevano inizialmente chiamato un'ambulanza, ma gli operatori al rispondere avevano subito chiesto all'impiegato di turno se intendevano pagare in contanti, con bancomat, carta di credito o debito per il trasporto della paziente. E non fidando se quest'ultima poi li rimborsasse, erano tornati a rivolgersi alla Municipale. Dalla terza volta in poi, Nina non attendeva troppo oltre i primi segnali di destabilizzazione mentale. Ovviamente non poteva contare sull'aiuto dei genitori per recarsi in ospedale, specie sulla madre che non faceva che lamentare la disgrazia dell'avere messo al mondo due figlie mentalmente labili. Ma nel caso della sua secondogenita, la riteneva colpevole di essere andata proprio a cercarsela. Nina prendeva allora il suo vecchio zaino scolastico riempito della poca biancheria, pigiami e camicie da notte che possedeva, qualche sparuto prodotto per l'igiene personale, acqua di rubinetto, caso mai le fosse venuta sete per strada, qualche tozzo di pane raffermo, caso mai le fosse venuta fame per strada e camminava per cinque ore ogni volta per raggiungere l'ospedale, dato che denari per il biglietto dell'autobus non ne aveva e non possedeva nemmeno una bicicletta. Inutile dire che non lavorando, dai genitori non vedeva mai nemmeno un centesimo. Non le mettevano mai nulla in mano per nessuna ragione. La signora Rosa era colei che solitamente si occupava di tutte le spese di casa e quando le figlie andavano al suo posto all'hard discount o in farmacia, al loro ritorno esigeva che le consegnassero fino all'ultimo centesimo avanzato. Francesca nel suo stato non doveva maneggiare denari e Nina non ne aveva diritto perchè non lavorava. Prima di incamminarsi verso l'ospedale, la ragazza solitamente lasciava un biglietto per avvisare i genitori dov'era andata, uscendo mentre sua madre era distratta in cucina con Francesca, mentre preparava i magri pasti per la famiglia, oppure occupata a mettere in ordina la spesa, appena tornata dall'hard discount di turno. Avvisare apertamente la signora Rosa era impensabile, se Nina intendeva evitare le grida della donna. Quella volta che l'aveva schiaffeggiata in reparto, stava incolpando come al solito la figlia di essersi ammalata di mente di sua volontà, il che la costringeva a spendere per i biglietti dell'autobus per recarsi in ospedale, che si trovava a una ventina di chilometri dal ghetto popolare, e unicamente per l'obbligo di portarsi via la biancheria sporca e riportargliela poi pulita. Nina aveva l'intenzione di chiedere per il successivo ricovero un permesso speciale per lavarsi la propria biancheria nel bagno della camera e poterla appendere ai supporti disponibili. Date le premesse e sapendo il primario e il coordinatore infermieristico del fattaccio, non aveva dubbi che il permesso non gliel'avrebbero negato. C'era solo da sperare che gli OSS non agissero in base alla regola che prevedeva il divieto di lavarsi la biancheria da sè e soprattutto di appenderla ai supporti del bagno, magari ignorando il permesso speciale da parte del coordinatore infermieristico. E temeva pure il consumarsi più in fretta dell'unica saponetta che in casa le spettava e doveva far durare per l'intero mese. Comunque, a tanto avrebbe pensato al ricovero successivo. Che sperava avvenisse quanto prima perchè in reparto psichiatrico si stava dieci volte meglio che a casa. Soltanto le piangeva il cuore per Francesca, che doveva lasciare in quella triste dimora, sola con i genitori. Ma non aveva scelta. Nina in casa non reggeva più di tanto, senza che si manifestassero i disturbi di cui soffriva. Francesca comunque sembrava non patire eccessivamente, sembrava non volere mai nulla, non desiderare mai nulla. Era una ragazza tranquilla, perfino troppo. Contrariamente alla maggior parte dei ragazzi affetti dalla sindrome di Down, spesso iperattivi, Francesca trascorreva ore e ore di immobilità, spesso nella cuccetta inferiore del letto a castello nella quale dormiva. Forse il grigiore di un tale ambiente domestico, ubicato nell'enorme ghetto popolare cittadino, forse la mancanza di stimoli intellettuali, la rendevano così apatica. Anche se spesso chiedeva della sorella, quando Nina non si vedeva in giro per giorni. Per settimane. Ma Francesca, pur nell'apatia che spesso la caratterizzava, era usa rifugiarsi nel suo più grande passatempo, specie quando la routine quotidiana si spezzava. Francesca sognava a occhi aperti un palcoscenico, dove un misterioso presentatore, nascosto dietro le quinte e mostrando al pubblico soltanto un microfono che teneva in mano, la chiamava per esibirsi.

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Era un'immagine che le era rimasta impressa sin dalla terza media, la prima e unica volta in cui aveva potuto assistere a un'opera teatrale grazie a un'escursione scolastica a tal proposito. Non fosse stato che l'insegnante di inglese, mosso a compassione dallo stato di povertà in cui versava la famiglia e dalla disabilità della ragazza, Francesca sarebbe rimasta a casa come al solito quando c'erano in programma gite scolastiche, sia pure appena fuori porta, ritrovi in pizzeria ed eventi culturali. I signori Giacinto e Rosa non erano infatti mai in grado di pagare alcun importo che servisse oltre allo stretto necessario per la sopravvivenza della famiglia. Per tal motivo a suo tempo erano riusciti a ottenere l'alloggio popolare, ancor prima che nascesse la figlia maggiore. Protestati ovunque, bollette di luce e gas non pagate, pletore di cause in tribunale per debiti, si erano ridotti a vivere in un appartamento divenuto inospitale per mancanza di qualsiasi utenza. Giacinto era allora una new entry nel magazzino di una sparuta ditta, ma dato il suo stato di apprendista appena arrivato, guadagnava una miseria. Dopo aver pagato l'affitto, il condominio, la TARI e l'abbonamento ai mezzi pubblici per recarsi al lavoro, complici i prezzi degli affitti fuori controllo da almeno un millennio, non rimaneva alla coppia che scegliere tra pagare le bollette e portare a casa la spesa. Già si vestivano grazie alla Croce Rossa, che gli assicurava pure una certa autonomia di vitto per alcuni giorni, altrimenti sarebbero stati ridotti ancor più a mal partito. Ma dato lo stipendio iniziale di un manovale di magazzino che era quello che era, senza alcun immobile di proprietà, nè la possibilità di accendere un mutuo nè una seconda entrata perchè Rosa con la sola terza media non trovava lavoro nemmeno per fare le pulizie, quando la signora si era ritrovata incinta di Francesca, la coppia era quantomeno risultata tra i candidati ai primi posti per l'edilizia popolare. A maggior ragione, quando una volta nata, era risultata affetta dalla sindrome di Down. Entrambe le figlie non avevano conosciuto altro se non l'enorme ghetto popolare in cui erano nate e cresciute, ma quantomeno si pagavano prezzi accessibili per l'affitto e dato l'ISEE bassissimo della famiglia, s'erano potuti ottenere anche i bonus utenze. Riuscivano allora a tirare a campare da monostipendiati, ma senza mai oltrepassare i limiti della mera sopravvivenza. L'unica attività extrascolastica alla quale aveva potuto partecipare Francesca in otto anni di scuola dell'obbligo si doveva alla generosità del prof. di inglese. Quel giorno di primavera inoltrata, poichè si trattava di una bella giornata di maggio, la più bella della vita di Francesca, gli studenti di terza media della sua scuola erano stati portati a vedere la rappresentazione teatrale di Orgoglio e pregiudizio* in lingua originale. La letteratura preferita del prof. Francesca Ferraro aveva amato svisceratamente l'evento e da allora sognava palcoscenici di teatro. Anche senza avere bene in mente cosa avrebbe recitato, l'atmosfera e le luci del palcoscenico la entusiasmavano. Francesca condivideva i suoi sogni soltanto con sua sorella, senza mai farne cenno ai genitori.
-Non lo dire a papà e mamma-, concludeva sempre il discorso, quando rendeva partecipe Nina dei suoi sogni.
Anche se le sue facoltà mentali risultavano compromesse dalla sindrome di Down, sembrava intuire di chi in casa era meglio fidarsi. A Nina si stringeva il cuore, al pensiero della vita che era toccata a Francesca. Aveva voluto studiare sia pure a fronte di mille sacrifici e salti mortali anche a beneficio di sua sorella. Raggiungere una posizione socialmente superiore a quella di una cassiera o una cameriera avrebbe beneficiato anche Francesca. Ok, sebbene fosse vero che il cittadino medio dal naso all'insù alle soglie del quarto millennio considerava falliti gli insegnanti a causa del modestissimo stipendio, i maggiori benefici di cui godevano rispetto ai lavoratori di basso profilo, come li si definiva allora, erano innegabili. Da insegnante intendeva fare accedere sua sorella a programmi gratuiti speciali per disabili, ma a fine LM si era ritrovata davanti alla brutta sorpresa dell'obbligo dei CFU per l'accesso all'insegnamento. Via MAD non chiamavano mai i filosofi, ma al massimo e quando andava bene, chiamavano qualche laureato in Storia. Per la verità, non che oramai alle soglie del quarto millennio fosse poi chissà quale mistero, tale obbligo dei 60 CFU, ma chiunque vivesse nel ghetto popolare era pressochè tagliato fuori non soltanto da un convivio sociale caratterizzato quantomeno dalla parvenza di normalità, ma pure dall'accesso alle informazioni. I ragazzi che crescevano nelle case popolari, raramente contavano su una rete wifi domestica che gli permettesse di connettersi con il mondo e quel che vi accadeva. Non avevano alcun notebook nè PC in casa. Le famiglie monostipendiate come quella di Giacinto e Rosa non avevano nemmeno la televisione, per risparmiare sul canone RAI, nè una radio, per risparmiare sulle pile o sulla corrente elettrica. Gran parte degli abitanti dell'edilizia popolare non potevano solitamente spendere oltre il minimo indispensabile per sopravvivere. E per assicurarsi di non perdere il posto di lavoro, quindi ogni soldo bucato che avanzava se ne andava per i mezzi di trasporto e stop. Per scrivere le tesi di laurea, sia della triennale che della magistrale, Nina s'era dovuta arrangiare a salti mortali con i PC delle biblioteche universitarie. Attendendo che se ne liberasse uno, qualora fossero tutti occupati da altri studenti. Nemmeno sulle applicazioni produttività per cellulare poteva contare per scrivere. In famiglia avevano soltanto due cellulari in quattro: un telefono antidiluviano dalle funzioni meramente basiche, che serviva appena a effettuare chiamate e scrivere sms, che il signor Giacinto si portava al lavoro, non sia mai fosse costretto a comunicare alla famiglia qualche imprevisto. E uno smartphone dalle scarsissime risorse, che la signora Rosa condivideva con entrambe le figlie. Va da sè che Nina non poteva utilizzareci nemmeno il suo indirizzo e-mail, che poteva aprire soltanto da luoghi pubblici, vale a dire le postazioni universitarie. Sua sorella, infatti, poveretta, che utilizzava il telefono più che altro per giocare e leggere storie per bambini, le avrebbe squinternato l'account, non rendendosi conto dei danni che poteva combinare nelle sue condizioni, mai migliorate, purtroppo, a causa di una vita nell'ombra, fatta di limitazioni e divieti. In casa non c'erano quasi nemmeno libri, eccettuati i manuali della primaria e pochi testi delle scuole medie, dato che nelle condizioni della famiglia, avevano usufruito del prestito d'uso quando oltre la primaria, i manuali scolastici non risultavano più gratuiti. E ciliegina sulla torta, alla povertà economica si aggiungeva pure la povertà intellettuale e culturale dei genitori. Che non prendevano nemmeno mai in prestito un libro da una biblioteca per allietare la figliola disabile con letture che andassero al di là di quei quattro libri della primaria e delle medie, per l'immenso terrore che Francesca li distruggesse a causa delle ridotte funzioni cognitive, anche se per la verità, la ragazza aveva sempre trattato con riguardo i suoi libri scolastici, senza mai tentare di romperli o strappargli le pagine. Con la conseguenza di finire multati e dovere risarcire i danni alla biblioteca di turno con denari che non possedevano e allora ecco ripresentarsi lo spauracchio del giro di cause in tribunali per debiti. In teoria, quelle in cui erano convenuti quando s'erano sposati da poco, avrebbero ancora dovuto essere in piedi e vedere il loro continuo andirivieni da casa al tribunale, ma gli avvocati degli attori si erano rivalsi sul proprietario dell'appartamento, che da decenni Giacinto faceva di tutto per non incontrare mai perchè lo aveva minacciato di morte proprio a causa di tale rivalsa dei legali.
A causa di una vita infelice sempre vissuta in bilico, fatta di insicurezze per ogni dove, costanti rinunce, cocenti delusioni, sentimentali comprese, Nina non aveva retto. Perfino ai colleghi filosofi, che storicamente e secondo il comune sentire avrebbero dovuto rappresentare di quegli individui non soltanto meno attaccati ai beni materiali di chiunque altro, ma perfino noncuranti della povertà, Nina e le sue circostanze facevano paura. La ragazza aveva provato un affetto speciale per alcuni di loro, nel corso dei cinque anni di studi. Sperava quantomeno di trovare un fidanzato che le volesse bene e ricambiasse i suoi sentimenti. In due, oltre tutto, una volta laureati entrambi, le difficoltà lavorative si superavano meglio. Un ragazzo che trovasse un barlume di sistemazione da laureato, poteva aiutare la fidanzata a inserirsi. Ma tutti l'avevano respinta. Tutti cercavano sempre qualcosa di meglio di lei. Una ragazza messa meglio, molto meglio sia finanziariamente che socialmente. Qualcuno la voleva pure più bella e più alta di lei. Ora, anzichè essere di aiuto a Francesca come aveva sperato, Nina trascorreva i suoi giorni tra il reparto psichiatrico ospedaliero a causa di personalità dissociata e maladaptive daydreaming e l'inferno di casa sua. E la prima opzione era di gran lunga la migliore delle due. Se solo avesse potuto portare con sè sua sorella, sarebbe stato perfetto. Ma la sindrome di Down di per sè sola non richiedeva ricoveri psichiatrici. Comunque Nina in reparto riusciva a stringere amicizie, di gran lunga più autentiche rispetto a qualsiasi altro ambiente che conosceva: il suo ghetto popolare, la scuola e l'università. C'era ora una coppia ricoverata, fratello e sorella, che a dispetto dei poco comprensibili discorsi che portavano avanti, l'avevano presa in simpatia. Elena e Fiorenzo non facevano che lamentare la perdita di un paio di tanto preziose quanto fantomatiche prove documentali e gettavano guardi attenti a ogni angolo del reparto psichiatrico raggiungibile alla loro vista e portata per vedere se fosse possibile scovarle. Ma la trattavano con gentilezza e simpatia, il che contava più di tutto. In loro assenza e in assenza di Norino Pollastri, che sembrava a volte avere un debole per lei, quanto più confortava Nina era vendere fumo.

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https://pixabay.com/es/vectors/mujer-triste-folklore-fantasma-158669/ (autore OpenClipart-Vectors, Pixabay free)

La lugubre storia continua.

*Ovviamente il capolavoro della cara zietta Jane.

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