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Africa
A mio padre che mi ha insegnato ad amare i popoli e il mare.

14 luglio 1981.
CotonouBenin ore 21.00
La telefonata di Armando dall’Italia arrivava sempre, una volta la settimana, era stata molto cordiale, come al solito, avevamo parlato delle giornate che trascorrevo, quasi nell’ozio, riempendomi di sensazioni positive, di letture e di sole. Ci salutammo allegramente.

Quel pomeriggio il caldo sembrava più sporco del solito, l’umidità era come colla sulla pelle, nel dormiveglia riecheggiavano onde lontane, nonostante fossi all’ombra di una palma, sentivo le gocce di sudore che si raffreddavano sulla fronte, niente vento, una rarità.

In quel tratto del golfo di Guinea il vento aveva due vite, cambiava temperatura e colore come il camaleonte, di giorno caldo e umido, pieno di sabbia del Sahara, la sera fresco, arrivava l’harmattan.
Dormivo, di nuovo, sentivo le onde, stavolta più vicine che sembravano chiamarmi, -“monsieur monsieur” lontanissime “che accidenti!- pensai, le onde parlano anche, avevo preso sicuramente una forma di indigestione, quel rice pilaf era tossico…forse la coca cola fredda, per un attimo apro un occhio, mi sveglio di colpo.
Davanti a me due ragazzi africani, di etnia Fon che mi guardavano con malcelata curiosità.
Non parlo, non so cosa dire, non conosco il francese, a Cotonou in Benin si parla solo francese o il Fon. Quasi per aiutarmi, parla lui, e con un sorriso gigantesco mi chiede una sigaretta, mimandolo con le due dita.
Beh! solo una sigaretta meno male! Prendo il pacchetto di Marlboro e glielo pongo, lui ne prende una e lei, la ragazza non accetta. Non fumava.
Con mia meraviglia, parlavano un inglese scolastico, proprio come me fresco di liceo, coetanei di 18 anni a parlare sotto una palma da dattero, di fronte all’oceano Atlantico, nel golfo di Guinea, senza anima viva per decine di chilometri.
Ci presentammo e parlammo per un paio d’ore, poi ci salutammo, e gli lasciai il mio pacchetto di sigarette, tanto alla Croix du Sud potevo comprarne quante ne volevo al mercato nero interno, tenuto dai camerieri.
Il mercato nero a Cotonou era sorprendente, nel 1981 lo trovavi anche dentro i 3 alberghi internazionali, Sheraton, Riz e Croix du Sud, potevi acquistare di tutto, anche kalashnikov, altri particolari fucili mitragliatori li trovavi senza dubbio al Dantokpa, 20 ettari di mercato, bastava pagare in CFA.

25 settembre 1981
Quella sera, mi recai controvoglia al solito appuntamento telefonico, dentro la hall dell’albergo, erano le 21.00, a quell’ora mi chiamava sempre Armando, dall’Italia, la telefonata programmata in accordo con la tua coscienza.
La telefonata non mi mise di buon umore, capii che era il preludio di grandi conflitti interiori. Mi chiese: “Sei pronto per tornare?” non risposi.

2 ottobre 1981
Il giorno dopo mi alzai presto, mio padre era al porto a sbrigare le pratiche di arrivo della merce, spesso dormiva sulla nave, o in un appartamento al porto, io in un bungalow dell’albergo, andai a correre e pranzai, solito riso con molti moscerini di condimento. Mi consolavo con le banane e la papaya.
Il pomeriggio, come da mesi, bussava alla porta l’omino dell’insetticida per i moustiques, la mancia era un obbligo ormai, come da mesi, mi incamminai a trovare il mio oceano, sempre al solito posto, sotto la solita palma, feci il bagno avendo l’accortezza a non nuotare troppo lontano, squali e correnti non erano il mio forte.
Tornai all’ombra e iniziai a leggere il mio libro, “Isole nella corrente” mi dava energia e stimoli. Dopo un ora circa mi accorsi della loro presenza, erano tornati.
Philippe e Jacqueline, i miei nuovi amici africani.
Provai profonda gioia nel rivederli, quasi ci speravo, ero sempre solo, da settimane, mesi, leggevo, sentivo l’acqua dell’oceano e dormivo, sotto la palma, non che mi dispiacesse, ma la novità dei due ragazzi portò in me una ventata di entusiasmo e curiosità.
I miei amici mi spiegarono che loro ogni tanto camminavano sulla spiaggia in cerca di conchiglie, e che la popolazione non andava al mare, non era usanza, non esisteva neanche una flotta peschereccia, e mi fecero notare che gli alberghi distanti qualche chilometro non avevano sdraio e ombrelloni, solo la piscina.
Li conobbi per le conchiglie, erano fratelli, lui 19, lei 17 anni.
Ci davamo appuntamento tutti i giorni in quel posto, e quando non li vedevo arrivare provavo un senso di profonda solitudine, mi ero affezionato, talvolta succedeva che nel pomeriggio, dopo la scuola andassero a comprare cibo al mercato di Dantokpa, il più grande dell’Africa occidentale, e il giorno dopo si scusavano in mille modi per non essere venuti, e mi mettevano in un certo imbarazzo.
Un giorno portai loro due birre, francesi, della Castel Group, per le loro tasche erano un patrimonio, e bevemmo insieme in allegria. Fui contraccambiato il giorno dopo, con una pianta di nigeriana, provai a fumare con il papiro che aveva lui, niente cartine in Benin!
Rimasi ustionato alla gola e sconvolto per 24 ore, il giorno dopo gli regalai la mia maglietta della Lacoste, una gioia inaudita per lui, al cambio costava quanto tre mesi di stipendio per un militare.

16 ottobre 1981
Alle 21.00 ero dentro la cabina a parlare con Armando, i rapporti si erano incrinati, mi snervava la sua razionalità, tendente alla morale. Sempre lo stesso incipit: “Sono quattro mesi, devi tornare, hai l’Accademia da iniziare!” Lo mandavo al diavolo chiudendo la conversazione e sbattendo la cornetta sull’apparecchio, con il disappunto del portiere nella hall.
Con Philippe cominciai a uscire anche la sera, avevo la macchina, un Citroën Ds rosso, che uno dei leader dell’unico partito comunista del posto aveva prestato a mio padre il quale la sera non la usava, noi si. Mio padre mi aveva educato a girare la sera, a piedi o in auto, solo con la patente, senza passaporto, potevano sequestrarlo i militari ad un posto di blocco per la solita tangente. Potevano diventare grosse rogne, quindi passaporto sempre nella cassaforte dell’albergo.

30 ottobre 1981
Prima di uscire dovevo passare in cabina nella hall a ricevere sempre la solita telefonata dall’Italia, alle 21.00 in punto l’appuntamento telefonico.
La voce lontana, mi salutava sempre allo stesso modo: “Ciao sono Armando!” – ed io rispondevo sempre con tono seccato “dimmi cosa c’è?”.
Lui, cambiò strategia, tono calmo e conciliante. “Qui sta iniziando l’anno accademico, hai fatto l’esame di ammissione a fine giugno ricordi? Poi sei partito e tra due settimane cominciano i corsi.
Lo so! Risposi molto duramente, reprimendo quella voglia di mandarlo a quel paese.
Ci risentiamo la prossima settimana ok? Dissi per tagliare corto. Misi giù l’apparecchio. Non ero di buon umore.
Uscii dall’albergo infastidito, pensando che ogni settimana alle 21.00 dovevo subire questo calvario, parlare con Armando, e lo stress diventava sempre più intenso, un chiodo fisso nella mente.
Ma se qualche mese prima avevo anche piacere a sentirlo, ora no! Sto benissimo, ho i miei amici esco anche la sera, fumo erba buonissima e sto progettando un lavoro qui in Africa dell’Ovest, l’ albergo aveva bisogno di un istruttore di tennis, cosa torno a fare a Sabaudia?
Quella sera, come le altre, con Philippe andammo nell’unica discoteca di Cotonou, musica africana e reggae, Marley ogni tanto, veniva alternato a qualche pezzo francese melodico.
Fu in quell’occasione che conobbi Celine, aveva appena cantato live, due pezzi in Fon ed uno in francese, non avevo capito quasi nulla del testo, ma rimasi incantato dall’altezza della sua voce calda. Le offri da bere, parlava un inglese decente, e Philippe si crogiolava a vederci scherzare e sorridere, l’accompagnammo a casa, in un buon villaggio di legno e muratura, pochi chilometri dalla città, un dedalo di villaggi, senza targhe alle strade, senza cartelli di riferimento, neanche la pubblicità.
Pazzesco ritornarci da solo pensai.
Lei ci fece entrare, entusiasta nel volerci mostrare la sua collezione di scarpe, ne aveva almeno 20 paia, e ci spiegò che il padre era un ufficiale dell’esercito governativo e la mamma era morta di malattia, viveva con la nonna malata di alzheimer e i suoi due fratelli si erano arruolati nell’esercito.
Ci salutammo e le promisi, in accordo con Philippe, che la sera seguente la passassimo a prendere, per andare a bere qualcosa.

La mattina mi alzai, come al solito misi le scarpe da running e andai a correre. Correvo e pensavo con eccitazione a Celine, non vedevo l’ora che arrivasse la sera, per uscire con lei e Philippe.
Philippe era simpatico e gioviale, mi spiegava con enfasi le diverse dinamiche del posto, le loro tradizioni cristiane e il Vodun, mi parlava con orgoglio del Grand Marché du Benin il più grande dell’Africa Occidentale, mi disse che il padre era un insegnante, e non era favorevole a quel regime militare.
Mi raccontò della tratta degli schiavi di cui il Dahomey (Benin) fu il più grande serbatoio del pianeta.
Sua sorella Jacqueline, non poteva uscire la sera, e si aggregava al fratello solo di giorno, la madre cuciva tessuti di cotone fino a tarda notte.


fonte

30 ottobre 1981
Feci la doccia, mangiai patate e gamberi, con il solito riso, e andai a mare.
Portai con me il libro e uno svuotino, nel pacchetto, non sopportavo il papiro, mi bruciava le labbra e la gola, feci subito il bagno, quel giorno l’acqua era più fredda del solito, evitai di starci troppo e andai sotto la palma. Accesi, lessi, mi addormentai.
Il risveglio fu il più dolce e bello della mia vita, Philippe e Celine in piedi davanti a me che guardavano. Tre baci e abbracci fortissimi, strinsi Celine, lei aveva una muscolatura soda, e il colore della pelle ebano, luccicava come uno specchio al sole, profumava di una dolce essenza. Era bellissima, dall’alto della sua etnia Yoruba, la stessa di Fela Anikulapo Kuti, mi ricordava l’eleganza regale di atlete americane. Non l’ avevo ancora vista in pieno giorno, solo quella sera nel locale, indossava un Kaftan giallo senape che le stringeva i fianchi una meraviglia.
Philippe ci lasciò soli, la spiaggia era deserta come sempre, i bianchi come me non la frequentavano, erano solo una minoranza e si godevano le piscine degli alberghi.
Ci baciammo e facemmo l’amore, non l’ho avevo mai fatto prima.
Dopo il tramonto tornò Philippe a prenderla, rientravano a piedi, quella sera non uscivano, come previsto, lei doveva badare alla nonna e il mio amico aspettava il rientro del padre dalla base di Porto-Novo.

Alle 21.00 ero pronto a combattere con l’appuntamento telefonico della settimana, mi chiama quel dannato Armando dall’Italia.
La conversazione aveva sempre lo stesso tenore: con fermezza disse: “Voglio ricordarti i tuoi impegni” Lasciami in pace! risposi urlando di rabbia, ormai ero determinato a tornare dopo Natale.

15 novembre 1981
La nostra storia continuava felice, il pomeriggio con Philippe e la sorella al mare, la sera uscivamo io e lui con Celine, il mio amico, con accortezza, come sempre verso le 23. andava via, lasciandoci soli.
Avevamo preso l’abitudine a passare il sabato notte nel mio bungalow, e la mattina facevamo colazione insieme al bar dell’albergo. Ogni sabato notte e la mattina, prima di far passare Celine nella hall, dovevo ungere lautamente il portiere di notte.
Mi ero innamorato.

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6 dicembre 1981
Mi svegliai improvvisamente, quella sera alle 21.00 l’appuntamento telefonico prese una piega diversa, Armando mi disse con fermezza che eravamo ai primi di dicembre e stavo superando le assenze consentite in accademia delle Belle arti. Gli dissi che avevo ancora soldi, avevo iniziato a lavorare come istruttore di tennis, non volevo più tornare, passavo il Natale in Africa e di non chiamarmi più, avevo trovato un compromesso con la mia coscienza.
Mio padre era già rientrato in Italia, da due settimane, lasciandomi i contatti con i suoi clienti ed un rifornimento economico. La Citroën la riconsegnò al suo cliente, il carico di bauxite e quello di tek erano partiti su una nave mercantile per l’Europa.
Lui rimase sempre nei miei pensieri, con la sua capacità innata nell’affrontare le partenze. Mi aveva prolungato il biglietto di ritorno al 2 febbraio dell’anno seguente. Sul comodino del mio bungalow trovai due stecche di Marlboro e “Babylon By bus” con un biglietto: “so che lo apprezzerai” firmato “papà”.

16 dicembre 1981
Noleggiai un’auto a lungo termine, quella sera Celine cantava in un ristorante africano, frequentato anche dai bianchi. C’erano, cinesi, russi, e molti francesi, gli americani e inglesi non frequentavano i locali di Cotonou nel 1981. La dittatura militare del colonnello Kerekou si appoggiava ai cinesi e russi ed un gemellaggio con Taipei, i pochi anglosassoni erano tutti dentro lo Sheraton e il Ritz.

Furono quasi tutte canzoni francesi, accompagnate da chitarra e pianoforte.
Adoravo la sua maniera di cantare, di muovere le mani con armonia, i suoi vestiti lunghi, coperti di macchie di colori, nei quali era perfettamente a suo agio.
Non era sabato, facemmo l’amore in macchina, meno comoda, ma fu fantastico lo stesso, la riaccompagnai.


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17 dicembre del 1981.
La mattina fui svegliato bruscamente, battevano alla porta, porca puttana di nuovo quelli che devono spruzzare l’insetticida per le zanzare, anche di mattina per avere la mancia, pensai.
Ma era l’alba accidenti, “chi è?” chiesi, signor Sodano una telefonata per lei! Risposero dietro la porta.
Mi misi un bermuda e maglietta, andai di corsa alla cabina.
Era Armando! la voce ferma e decisa, ma dall’altra parte sentivo anche il pianto di mia madre, a dirotto.
Armando mi disse: “Papà ha avuto un infarto, è ricoverato in rianimazione al San Giovanni a Roma”.
Raggelai, le tempie cominciarono a battermi, sentivo le vene rigonfie dalla pressione del sangue, le dita delle mani irrigidirsi. “Parto subito!” gli dissi, non volli parlare con mia madre, sentii che stava singhiozzando.
Corsi al bungalow, nel comodino trovai il contatto del cliente di mio padre, feci fare il numero alla reception, non ci fu bisogno di spiegargli quello che era successo, sapeva già tutto. Dall’ospedale qualcuno aveva parlato con lui, avvertendolo, lui prontamente aveva annullato il volo del 2 febbraio, prenotato un posto su Air Afrique delle 21.00 per Lagos, con cambio per Londra, British Airways.
“A Londra devi fare da solo” mi disse.
Mi spiegò che non c’erano voli diretti a Parigi in giornata,Air France a quell’epoca faceva un volo al giorno, la mattina.
“Imbarco all’aeroporto Cardinal Bernardin Gantin ore 16.00!” mi disse “appuntamento alle 15.00 nella hall della Croix du Sud”.
Avevo poche ore di tempo, dovevo assolutamente salutare Celine, Philippe, Jacqueline, non potevo andare via così.
L’angoscia montava veloce come una marea nera, lo stomaco si apriva a dismisura e improvvisamente mi causava dei vuoti d’aria, forse erano attacchi di panico.
Non riuscivo a pensare, la testa annebbiata e ovattata, la nausea mi opprimeva, ma dovevo fare qualcosa. Decisi di scrivere due lettere, in italiano, persi più di due ore di tempo per tentare di spiegare loro quali fossero i motivi della mia partenza, che mi mancavano, che mi mancava lei, che non sapevo come avvertirli, di mio padre che Philippe aveva conosciuto, della mia incapacità organizzativa.
Lasciai le due lettere con il mio indirizzo e il numero di telefono, alla hall dell’albergo pregando il portiere, di darle a Philippe, nel caso fosse passato.


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Mio padre si riprese, smise di fumare e morì nel 2003 per un tumore ai polmoni.

Philippe mi telefonò due mesi più tardi, mi disse che Celine aveva vinto un concorso canoro e si era trasferita in Ghana e di lei aveva perso i contatti.

Quell’anno venni bocciato in Accademia.

Il mal d’Africa mi segno per mesi, la notte era insopportabile.

Armando mi disse che avevo sempre la possibilità di tornare a Cotonou, un giorno, gli risposi che avevo voglia di dipingere.



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Bellissimo. Molto emozionante. Hai raccontato davvero in modo ineccepibile e molto coinvolgente.

Posted using Partiko Android

Non è stato facile, non avevo mai fatto il resoconto di quella parte della vita. Devo ringraziare Fulvia per l'aggancio. Grazie anche a te @pawpawpaw

Davvero molto bello, leggerlo è stato come esserci, grazie.
"gli risposi che avevo voglia di dipingere." brividi

Grazie a te per averci dedicato una parte del tuo tempo.

Quel genere di post che mi commuove, a prescindere da tante cose.
Grazie per aver condiviso questa parte della tua vita attraverso le tue emozioni.
Sei un grande.

Fabio

Grazie Fabio dovevo farlo prima o poi.