Mia nonna: racconto di un'amore eterno

in ita •  7 years ago  (edited)

Voglio sfruttare il post di oggi per fare qualcosa di diverso: oggi parteciperò al contest proposto da @heidi71. Come mai ho deciso di raccontare una storia basandomi su una foto di una vecchina in penombra? Beh, perché l'età del soggetto non può che farmi pensare a mia nonna, l'unica persona al mondo capace di farmi viaggiare per circa 7-8mila km in un meno di un mese solo per poterla vedere, abbracciare, sentirla, salutarla per l'ultima volta e dirle quanto sia stata un pilastro della mia vita, e se sono oggi come sono lo devo in altissima percentuale alla sua influenza. La storia si basa su aneddoti ed intervalli temporali ampi, che hanno segnato il mio percorso di crescita.

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L'infanzia

"A TAVOLAAAAAAAA!!!" - E' a questo grido che uno scricciolo d'uomo, all'incirca un metro di vivacità e timidezza allo stesso tempo lascia le sue macchinine Lego con cui simulava improbabili gare di F1 per raggiungere i grandi al tavolo del pranzo. Il richiamo proveniva dalla cucina, dove una signora distinta, dai capelli corti e ricci, chiamava a raccolta la famiglia per il pranzo di un normalissimo giorno lavorativo; questa signora mi avevano insegnato a chiamarla nonna. Da piccolo ti insegnano che i genitori dei tuoi genitori si chiamano nonni, quindi tu dai per scontato che sia cosa buona e giusta e ti lasci toccare, accarezzare, sbaciucchiare, pizzicare le guanciotte anche da questi individui che non abitano con te, non ti vivono tutti i giorni, nottate comprese, ma senti di poterti fidare. Ma torniamo a noi: allo stesso tavolo siede un signore un po' burbero, ma dal cuore d'oro, gran lavoratore, un uomo vecchio stampo che tutti riconoscono come il capofamiglia; chiameremo anche lui con il nome che ho imparato all'epoca, prima ancora di conoscere il suo nome di battesimo: nonno. Mi siedo in mezzo a due persone che all'epoca sembravano adulti nella mia concezione di bambino, senza pensare che si trattava di un ragazzo di circa 24 anni e di un altro di quasi 30, che per comodità ho imparato a chiamare "zio". Quattro uomini al tavolo, sicuri di sé pur in fasi differenti della vita, eppure tutti dipendenti dall'unica donna della casa. Ci si siede, si fa la preghiera, si mangia, al termine tutti a ringraziare la donna di casa con un bacetto sulla guancia ed ognuno torna a fare le sue cose. Lei intanto finisce di prepararsi e va a fare il suo turno pomeridiano da infermiera.

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Io in braccio a mia nonna

Io restavo un altro po' a giocare con i miei zii con le macchinine, finché papà o mamma non venivano a prendermi.
Beh, sono passati circa una 30ina d'anni da allora, pensate che qualcosa sia cambiato? Beh, in effetti si: quella donna è diventata nel tempo una colonna portante della mia vita, ha avuto un'influenza su di me e sul mio carattere che non avrei mai immaginato potesse avere, alla pari, se non forse a tratti superiore, a quella dei miei genitori.
Essendo cresciuto a Foggia, città di circa 160mila abitanti, soffrivo di due svantaggi principali quando ero piccolo: i miei genitori, un po' apprensivi, non mi permettevano di uscire in centro, anche con gli amici di scuola (si parla di elementari), ed in più in estate la città si svuotava, gli oltre 40 gradi quasi quotidiani rappresentavano un problema. Ecco lì che nasce la soluzione: i miei nonni sono originari di Faeto, tranquillo paesino della provincia, che si fregia del titolo di "paese più alto della Puglia"; è lì che i miei nonni sul finire degli anni '80 comprano casa per passare le ferie e riavvicinarsi alle loro origini ed è lì, sotto il loro sguardo attento e vigile, che inizio ad aprirmi al mondo: i primi amichetti, la prima libertà, le prime disavventure tra sbucciature e litigi tra bambini, i cartoni animati guardati insieme a casa, con la nonna che non faceva mancare mai pane e nutella e succo di frutta. Inizio legarmi moltissimo ai miei nonni, ci passo interi weekend insieme, poi iniziano le estati, interi mesi con loro, a stretto contatto. Mi piace così tanto che faccio di tutto per guadagnarmi la loro fiducia, perché non dicano mai ai miei che "ho fatto il cattivo", perché la punizione sarebbe tornare a Foggia e rimanere in casa, lontano da loro. Non posso giudicare se sia vero il detto che i nonni amano i nipoti più dei figli, ma io in quegli anni ho iniziato ad amare i miei nonni davvero tanto, anche perché, purtroppo, erano gli unici due che avevo.

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Io e mio nonno nella casa di Faeto da poco ristrutturata

Nasce in questo modo la mia prima idea di rispetto, il mio primo ideale di famiglia, la mia prima visione di come vorrei essere da grande: una persona con tanti amici (c'era un viavai continuo di persone in visita quasi quotidianamente, sia in città che al paese), rispettosa e rispettata, aperta, con cui si possa parlare apertamente di qualunque problema e cercare una soluzione insieme.
Il tempo passa, arriva per loro il momento della pensione, ma adesso inizia il periodo più intenso: fare i nonni a tempo pieno non è facile. Eppure sono così felice che tra scuole medie e superiori , anche a causa degli orari dei miei, io possa pranzare tutti i giorni dai miei nonni. Ormai il rapporto è diventato speciale, non mancano ad una sola tappa della mia vita, compleanni, onomastici, feste e ricorrenze varie, loro ci sono sempre: sono lontani i tempi in cui nonna mi chiamava "principino mio", eppure nel mio cuore la gioia è sempre la stessa, ogni giorno che passa. Le estati, tra vacanze al mare e in montagna, sono le più belle che possa ricordare, e la "panzerottata" con gli amici di fine estate diventa un classico a cui nessuno rinuncia.

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Il compleanno di mio cugino (2 0 3 anni, non ricordo di preciso): nella foto anche i miei nonni, mio fratello ed io

La maturità

Finisce la scuola, inizia l'università: i primi anni resto a Foggia, ho la macchina adesso e questo mi basta per allungarmi dall'altro lato della città non solo a pranzo (quando posso, gli orari universitari tendono a sballare un po' i ritmi), ma anche in momenti diversi della giornata: non posso fare a meno dei miei nonni, ma soprattutto di mia nonna, sempre piena di attenzioni, preoccupata, come una classica nonna del sud, essenzialmente del fatto di aver mangiato abbastanza, il resto viene dopo. Sono gli ultimi anni della pasta fatta in casa (che io mangiavo anche cruda, andandola a rubare sotto lo strofinaccio usato per coprirla), delle torte decorate, delle cotolette sempre pronte all'uso, del "mangia senza pane", frase buttata lì ogni volta nel momento esatto in cui mi allungava una pagnotta sotto il naso e che nel corso degli anni era frase d'obbligo ogni qualvolta mangiavamo, non ci stancavamo mai di ripeterla e ne ridevamo insieme. Ogni volta era una festa, una gioia, non era solo il vedersi, ma era il sentimento che ogni volta prevaleva su tutto.
Finché, un caldo giorno di fine settembre 2010, mi trasferisco fuori per studiare. Niente di impossibile, sono 200 km da Foggia, ma il contatto quotidiano svanisce. Non nascondo di aver sofferto più la lontananza dai miei nonni che dai miei genitori, si sa che noi ragazzi a 22-23 anni siamo ribelli, vogliamo la nostra libertà e i nostri spazi. Io con loro ce li ho sempre avuti, e se da una parte imparavo ad autogestirmi lontano da casa, dall'altro mi mancava non poter fare quei 10 minuti di macchina che mi separavano da loro. Per fortuna, tra telefono e messenger (che tempi...), era facile tenere i contatti, così anche questi 2 anni volarono via.

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*Nozze d'oro (dicembre 2008): 3 generazioni in una foto

La Germania

Siamo ormai ai giorni nostri, quando non avendo trovato sbocchi lavorativi torno a casa per due anni, dopodiché prendo la decisione definitiva: stavolta sarà Germania, 1.200 km di distanza tutti da vivere. Tralasciando i dettagli dell'esperienza tedesca, qui non rilevanti, mi adatto bene, così bene che non sento assolutamente la necessità di tornare a casa, il primo anno addirittura lascio passare il tempo da un Natale all'altro prima di tornare alla base.
Nonostante le chiamate si susseguano al ritmo di 2-3 a settimana, perdo un po' il polso della situazione e devo lottare diversi mesi per sentirmi dire quello che, a fatica, iniziavo ad intuire al telefono o via skype: il tumore che si era presentato una decina di anni prima, combattuto e momentaneamente sconfitto a più riprese, ripiomba come un macigno, ancora più cattivo e aggressivo, con la voglia di distruggere. Si cercano di prendere provvedimenti, ma questa volta la battaglia sembra più dura, anche per una donna forte e di carattere come nonna. Eppure non si lascia intimorire, continua ad uscire, a preparare il pranzo, ad essere la stessa donna di sempre, anche se la fatica inizia a farsi notare.
Il 2017 è l'anno in cui provo a tornare a casa ogni 2-3 mesi, solo per vedere lei, per stare un po' insieme, specialmente dal momento in cui i dottori asseriscono all'unanimità che il tempo a noi concesso per godere della sua compagnia è ormai limitato. Eppure continua a non arrendersi, settimana dopo settimana, mese dopo mese, raccoglie le forze e va avanti, continua ad esserci per noi. Ed in tutta questa situazione, non potevamo che chiedere un finale così.

Le feste e la gioia di stare insieme.

8 dicembre 2017, il giorno dell'anniversario di matrimonio dei miei nonni: sono 60 anni insieme, un numero che pare infinito se paragonato ai tempi attuali. La festa è bellissima, dopo tanto tempo si riunisce l’intera famiglia al completo, figli e nipoti da tutta Italia, qualcuno anche da oltre confine (il sottoscritto). Per un giorno è tutto dimenticato, il male, le sofferenze, la lotta. Oggi si fa festa, oggi siamo tutti uniti, oggi nonna ci chiama a raccolta al tavolo, come 30 anni fa, e come prima ancora che io nascessi. Oggi è uno dei giorni più felici degli ultimi anni e, su idea di Tati, decido di celebrarlo regalando ai miei nonni un album fotografico che ripercorre i 60 anni della loro storia. Non si possono ulteriormente descrivere la gioia e la commozione di quella giornata.

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Nonni e nipoti: nozze di diamante (60 anni di matrimonio)

25 dicembre 2017, è Natale, contro i pronostici dei dottori siamo ancora una volta riuniti al tavolo tutti insieme, ma non più tutta la famiglia al completo: c’è chi non ha potuto fare di nuovo così tanta strada a poco tempo di distanza. Ma non importa, per me è come tornare indietro di 15-20 anni. Io, mio fratello e i miei nonni al tavolo, i Simpson in tv ed ancora una volta quell’esortazione, sempre uguale nel tempo, un po’ per abitudine, un po’ per sfottere noi e, in fondo, anche se stessa: mangiate senza pane. Mai nella vita conoscerò un tormentone più duraturo di questo.
Sono momenti di felicità, nessuno pensa al domani, io in particolare mi godo questa breve gita natalizia a Foggia e cerco di trascorrere più tempo possibile con i miei nonni.

Il saluto

2 gennaio 2018, decido che è il giorno giusto per iniziare una nuova vita, cambiare le mie abitudini, provare a diventare una persona migliore. Ho dormito poche ore di ritorno da Madrid per il capodanno, mi sveglio, svolgo le mie attività mattutine per la prima volta, accendo il telefono soddisfatto di me stesso e la mia espressione s’incupisce subito. Vengo invitato da mio padre, qualora lo volessi, a tornare a Foggia il prima possibile.
Sono 20 ore di viaggio sfiancante, in cui non faccio domande e non ricevo nessuna informazione, ma tanto mi basta. La luce si è spenta, il mondo non è più lo stesso, la vita assume un altro significato. Sono giorni di dolore, di sofferenza, di nostalgia, di rimpianti. Eppure il cielo ci sorride, mostrandoci limpidi raggi di sole in quegli insolitamente tiepidi giorni di inizio gennaio.

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Immagine priva di copyright

Il pilastro

Ho parlato all’inizio di pilastro della mia vita, della mia famiglia, e mai esempio fu più calzante: i pilastri sorreggono intere costruzioni, talvolta da secoli, a volte in bella mostra, altre volte nascosti dietro muri secondari; così la nostra famiglia sta trovando la forza di andare avanti, sorretta da un pilastro che adesso non possiamo più vedere. Non tutto è finito, non tutto è perduto: se una cosa non la puoi toccare, non vuol dire che non esista...
Quella mano è sempre lì accanto a me ad accompagnarmi lungo il cammino della mia vita.

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Immagine priva di copyright


A volte ci sono cose che ci teniamo dentro, che non sappiamo esprimere o abbiamo paura di farlo. Lo spunto del contest di @heidi71 mi ha dato lo spunto per questo piccolo sfogo sotto forma di racconto, che a un mese esatto di distanza mi da la forza di affrontare il viaggio per andare a trovare la mia amata nonna nella sua nuova dimora. A volte bisogna solo far scattare la molla e lasciarsi andare ai sentimenti, e questa mi è sembrata l'occasione adatta. Grazie a tutti coloro che avranno speso 10 minuti della loro vita a leggere un racconto molto ristretto su una persona davvero speciale, di quelle come al mondo ne nascono poche.


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Grazie di avere partecipato :)

Grazie a te per avermi dato, anche se involontariamente, lo spunto :)

Molto commovente. Bravo.