Libro ennesimo episodio.

in ita •  7 years ago 

Era difficile prevedere futuro, ma erano imminenti dei cambiamenti e me lo sentivo, per cui scelsi dei cavalli docili e veloci per essere sicura di non essere raggiunti, ed intanto cercavo di pensare a un piano. Il mio piano era semplice: spremere i cavalli finché non sarebbero stati parecchio stanchi e poi avremmo proseguito a piedi verso l’ignoto, sperando in eventi favorevoli, ma affrontando le cose peggiori se si fossero presentate, comunque ora era tempo di preparare i nostri sosia. Li avevamo istruiti di tutto punto e li avevamo lasciati sulle rive del fiume, noi avevamo attraversato il fiume con i cavalli e loro avevano proseguito in direzione opposta.

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Stavamo puntando verso il futuro con la velocità con cui ci si libera delle cose ingombranti. Avevamo proceduto al galoppo per il maggior tempo possibile, era complicato perché spesso avevo i rami che rischiavano di colpirmi o ferirmi ma si doveva fare in fretta, era veramente imperativo. Alla fine della giornata mi sentivo il viso tutto graffiato ed ero distrutta, ma sapevo se avessi fatto la scelta giusta per me e per il mio amico, eravamo degli spiriti liberi, non ci piaceva regnare, dominare o essere dominati. La mattina avevamo liberato i cavalli, che si erano allontanati stancamente perché sembravano ancora sfiniti da tante corse e da tutta la nostra fretta. Avevo avuto un moto di compassione per queste povere creature e quindi prima di liberarli li avevo foraggiati, dato che potevamo disporre di parte delle nostre ricchezze, visto che eravamo stati regnanti anche se per un mese o poco più.
Dopo questa avventura eravamo di nuovo soli e procedevamo a piedi nella boscaglia che era piuttosto bassa e costituita da giovani piante di castagno, doveva essere autunno e c’erano foglie ovunque. Le foglie originavano un tappeto giallo-arancione su cui avanzavamo sprofondando con gli stivali, tutto sembrava ovattato ed il cielo era plumbeo e severo e dava a me un’impressione di perenne e imminente condanna, di spietato giudizio.

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Mi sentivo particolarmente preoccupata, senza averne motivo perché tutto era tranquillo, però a volte tremavo senza motivo, quindi ci dovevano essere delle spiegazioni: un calo di zuccheri, una crisi di panico oppure un inizio del morbo di Parkinson…pensando a queste eventualità quasi mi sentivo male e mi scompigliavo i capelli in testa, sperando che così non fosse…
Ero confusa e poi non sapevo cosa ci aspettava e finora avevamo avuto un guaio dopo l’altro intramezzato con un periodo dove addirittura eravamo diventati regnanti, una vita ad alti e bassi che poteva fare veramente impazzire.
Il problema era che tutto questo non era ancora finito, eravamo ancora in marcia e poteva ancora succedere di tutto, mi stavo pentendo di non aver continuato ad essere regina anche perché non mi dispiaceva baciare quel meraviglioso uomo biondo che era il mio compagno di avventure.
Purtroppo aveva deciso di partire ed io lo avevo seguito, perché fare finta di rimanere regnante e sola non mi appassionava quanto stare con lui in mille avventure, non mi dava quel senso di libertà che mi dava lo sfidare i nemici con lui a fianco, eravamo dei guerrieri, era nella nostra natura.
Intanto che ciondolavamo in giro confusi, mi chiedevo cosa avremmo incontrato alla fine di queste sterminate distese e boscaglie di castagni che, erano sterminate e si trovavano su un terreno impervio e montagnoso; la risposta a molte domande sembrava molto vicina e ne avrei fatto le spese. Oh se ne avrei fatto le spese! Quella sarebbe stata una delle cose più sanguinose che potessi vedere, una vera carneficina dei tempi più oscuri, eravamo capitati nel bel mezzo della seconda guerra mondiale, ed ora erano tutti affari nostri. Avevo capito che era la seconda guerra mondiale, avevo visto le svastiche ed avevo riconosciuto alcuni armamenti, così i miei dubbi iniziali erano stati chiariti.
La seconda guerra mondiale era stata combattuta da mio nonno e mi ero fatta raccontare i particolari da lui in prima persona, anche se ne parlava poco, non gli piaceva ricordarsene o almeno così avevo pensato io ai tempi, aveva sempre avuto un carattere difficile e come me era un lupo solitario. Per questo lato del nostro carattere eravamo veramente identici, non mi sentivo a mio agio con la gente e mi fidavo poco, finendo sempre per giudicare male la gente e dare fiducia a chi non se la meritava e come risultato mi chiudevo sempre più in me stessa, ero un riccio.
Il riccio in questione da piccola aveva preferito chiedere a sua nonna informazioni sulla seconda guerra mondiale, la nonna aveva un ben altro carattere rispetto al nonno, lei ci sapeva fare con l’umanità e solo le acide zitelle incartapecorite potevano criticarla. Lei era il sole che entrava dentro la stanza, era assolutamente perfetta e sorridente, in tutto il suo metro e cinquanta. Il sole mi aveva narrato di tempi oscuri, di tempi in cui non si poteva circolare di notte, dei temibili rastrellamenti nazisti, delle preghiere in cui chiedeva a Dio di aiutare il suo giovane amore a sopravvivere. Ora tutto questo era davanti a me ed era reale come le bombe e le raffiche di spari attorno a noi, avevo riconosciuto i partigiani, nascosti in buche che cercavano di attaccare con azioni di guerriglia. Stavo vedendo le facce di giovani che avevano visto quello che mai si dovrebbe lasciare ai giovani vedere, avevano visto troppo e gli occhi erano stanchi. Stavo diventando la testimone di un’epoca che avevo iniziato ad odiare da piccola, era paradossale e crudele ma ora era tutto davanti a me, forte e devastante come un ciclone da cui non ero certa di riprendermi, e come al solito mi dovevo fare forza ed affrontare tutto non sapendo come sarebbe finita.
Vedevo le bombe cadere e non erano troppo lontane, provocavano buche dove poi i partigiani si rifugiavano attaccando non appena avevano avuto occasione, ma era una battaglia disperata quindi avevo paura.

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Nonostante l’estrema insicurezza avanzavo con il mio amico avanzavo e, trovando i corpi a brandelli dei morti, mi sentivo come dentro ad un macello nell’ora in cui si era deciso di uccidere gli animali. Erano giorni molto duri: tempi segnati da carneficine e notti di coprifuoco. Era veramente la fine del mondo per noi, speravo che succedesse qualcosa di eclatante e positivo, ma non sapevo se sarebbe finita come la seconda guerra Mondiale con il dittatore italiano impiccato al contrario.
Si doveva ancora, in ogni caso, vedere la fine di tutto quell’orrore. Il mio compagno di avventure disse che non aveva mai visto niente di tutto questo e che non conosceva le armi, era un uomo vissuto in una dimensione totalmente diversa ed era sconvolto da tutto quello che aveva visto, delle volte lo vedevo piangere ma facevo finta di nulla, per non fargli capire che lo avevo visto. Erano tempi bui e noi trovavamo poco cibo in giro, ed una volta finite le nostre vettovaglie che erano abbastanza abbondanti la fame sarebbe arrivata puntuale anche per noi. Per non rimanere senza cibo improvvisamente, avevo iniziato a cercare radici ed a rubare la poca lattuga che trovavo negli orti e qualche frutto di bosco. La carne non si trovava, noi per fortuna avevamo della carne secca, che odiavo ma mangiavo per sostenermi, ne avevo mangiata così tanta nell’ultimo anno che l’avevo veramente presa in odio.

Pian pianino avevamo capito come funzionava la tattica dei partigiani e io ero fortunata perché parlavo il loro idioma, erano latini come me ed il mio compagno di avventura ed io iniziavamo a conoscerci, lui poi nutriva una fiducia incondizionata verso di me, ed io ero sempre gentile con lui. Volevo mantenere la nostra strana coppia, la nostra amicizia unita e leale e facevo di tutto per renderlo felice. Gli avrei fatto capire tuttavia, che volevo aiutare i partigiani, lui si era dimostrato comprensivo e anzi mi aveva comunicato gesticolando che aveva immaginato che avessi voluto intervenire in loro aiuto. Questa sua intuizione nei miei confronti era stata fantasia e avremmo cercato di capire insieme quale era la strategia migliore per aiutarli.
Intanto che discutevamo potevamo sentire all'improvviso un aereo passarci vicino e spaventati ci eravamo nascosti in una grotta, dall’aereo erano cadute giù delle bombe che probabilmente avevano colpito quello che era il quartiere generale nazista nella località dove eravamo.

Fuori dalla grotta, uscendo dall'altro lato, ci eravamo trovati in una zona il cui sud era pianeggiante e coltivato mentre il nord era veramente impervio e montagnoso, eravamo nel nord Italia, una zona bella e maledetta dalla guerra.

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La guerra si combatteva anche in montagna i partigiani erano noti per essere i ribelli della montagna, e noi dovevamo aiutarli in qualche modo, ma gli aerei passando vicino alle montagne non bombardavano in genere ma lanciavano vettovaglie e viveri per i partigiani. In cuor mio quindi, avevo sperato che l'aereo in questione fosse venuto in loro aiuto e li benedivo per il loro supporto. Quest’ultimo velivolo stava passando e lanciando per i partigiani i pacchi, uno dei quali era caduto proprio vicino alla nostra grotta. Temendo una bomba, il mio compagno voleva scappare ma io gli spiegavo che non c’era motivo di temere cosa stesse succedendo e ancora una volta lui si era dovuto fidare di me.

Gli avevo fatto capire che volevo prendere il pacco, nasconderlo in modo tale che non sarebbe caduto in mano dei tedeschi e poi lo avrei dato ai partigiani che tanto ne avevano bisogno perché l’inverno sarebbe stato duro, lungo ed intensamente freddo.
Quando il pacco era stato lanciato era atterrato poi pesantemente al suolo e si era parzialmente aperto, permettendomi di vedere il contenuto, dai lati potevamo intravvedere il contenuto.
Era un pacco formato da sacchi di soldi e di vettovaglie cibo ed armi da montare, mi ricordo che mia nonna aveva detto che le armi partigiane erano molto scadenti a confronto dei micidiali mitra dei nemici, quindi dovevamo portare tutto nella grotta, nasconderlo sotto le foglie che erano ovunque e poi chiamare i partigiani da noi. Sembrava come il solito tutto molto facile, ma ero terrorizzata dalla possibilità di essere vista dai tedeschi e di essere giustiziata. Avevamo aspettato così la notte e le forti braccia di Sepani mi avevano aiutato molto nel trascinare i pesanti sacchi ed a nasconderli; avevamo fatto sparire tutto, qualunque traccia ed avevamo coperto persino le nostre orme sul terreno laddove si potevano vedere.

Il mattino successivo, avendo fatto finta di niente e perlustrando i campi, avremo messo in pratica il piano. Secondo il nostro accordo sarei andata a rubare degli indumenti che la gente usava al tempo per me e per il mio amico. Andandoli a rubare da un gruppo di vestiti stesi in un prato, avevo avuto anche un brutto incontro con un cane che mi aveva morsa due volte prima di distrarsi a causa di un ape e di lasciarmi scappare. Ero giunta quindi con i vestiti rubati e gli avevo detto di vestirsi anche lui così e di nascondere armature e spada, che non gli sarebbero mai serviti in questo mondo, lui riluttante mi aveva obbedita ed anche con i vestiti degli anni quaranta era sempre bellissimo, un fiore nordico, bello e slavato come un bucaneve.

Adesso non rimaneva che introdursi nella società e capire dove stavano i partigiani, ne avevamo avuto prova con i combattimenti trovati nelle imboscate, dovevamo aspettare di capire dove ci sarebbe stata un’altra imboscata, oppure trovarli per caso e riconoscerli tra quelli che avevano visto combattere nell’imboscata precedente. Era complicato, ma loro ufficialmente erano cittadini, quindi prima o poi, andando in giro nella piccola città li avremmo trovati, il problema era che io potevo andare in giro ma Sepani no, perché era bianco era biondo poteva sembrare tedesco. Avevo paura che gli avrebbero sparato, così avrei dovuto fare tutto da sola e intanto io mi fingevo forestiera veneta giunta in Piemonte per lavoro. Mi avevano creduto, ero più alta della media e parlavo poco e in quel poco cercavo di fingere l’accento veneto, così avevo iniziato a lavorare in fabbrica e nel silenzio mi stavo guardando intorno. Cercavo di capire se ero stata fortunata, se potevo incontrare qualcuno, ma il tempo passava, io continuavo a lavorare e non trovavo nessuno, finché avevo notato una somiglianza tra un partigiano che avevo visto combattere e una mia giovane compagna di lavoro. Avevano dei lineamenti simili ed un neo che era uguale nella stessa posizione del viso, dovevano essere o cugini primi o fratelli. Dovevo cercare di farmela amica, e mi ero impegnata in tal senso, ma non dovevo tradirmi perché tutti sapevano che ero l’ultima veneta entrata in ditta, che era un po’ timida e che scompariva la sera per andare a dormire chissà dove e ricompariva al mattino.
Stavo pensando di uscire con lei a fare una passeggiata nel fine settimana, ma dovevamo rientrare subito e per mia fortuna lei era particolarmente ciarliera, mi aveva confidato che aveva un fratello e che non sapeva dove era perché era uno dei ribelli della montagna, ma sapeva che si ritrovavano spesso in una baita abbandonata vicino al fiume. Nonostante la descrizione approssimativa dovevo provare a perlustrare le montagne per capire dove poteva essere.

Le immagini sono di mia proprietà o scaricate da pixabay.com o pexels.com. Le immagini possono arrivare anche da google, ma si tratterà di immagini libere da copyright



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Decisamente brava, ottime descrizioni, narrazione e successione dei fatti semplicemente perfetta, complimenti davvero ed un grosso in bocca al lupo per i tuoi progetti!!

Grazie :D

Ecco un altro aspetto di te che mi ha lasciato di stucco.
Bellissimo scritto, perchè racconta anche un periodo difficile in maniera diversa.

Grazie :D

woh... mamma mia che racconto, sei riuscita a passare da un sogno ad un incubo attraverso un ponte reale!!! bellissimo

Grazie ... ci si prova :D :D è il mio libro un progetto lunghissimo :D

Molto bello ma lo vorresti pubblicare? Immagino che ci sia un lavoro non indifferente dietro!

si l´obiettivo sarebbe quello :D