Matthew Barney
Matthew Barney
Negli Stati Uniti tra i molti, dei quali sono stati già citati, Matthew Barney è sicuramente tra queste “star”.
La sua biografia è una storia molto americana, di un umile ragazzo di provincia, dell’Idaho, che attraversa la sua adolescenza impegnandosi per poi arrivare a New York ed entrare quasi subito nell’acropolis della città, ammaliando quella che sarà la sua mentore, la gallerista Barbara Gladstone.
La quale diventerà anche la sua mecenate, sostenendo finanziariamente un’opera grandiosa come il suo ciclo di The Cremaster: cinque film realizzati in circa un decennio tra il 1994 e il 2002.
I film realizzati in un linguaggio surreale, tratto per lo più da una cultura popolare di stile fantasy, sono incentrati sulle sue sculture che riprendono delle forme ancestrali. Paradossalmente queste ultime sono riprese però dalla realtà quotidiana (e l’artista lo sottolinea visivamente nei film) ed evocano dei loghi pubblicitari; ad esempio quello della Good Year. Come se in qualche modo, per l’artista qualsiasi forma, anche quella commerciale, abbia una relazione inconscia con un archetipo universale e ancestrale.
Tutti e cinque i film sono maestosi.
Il primo è girato nello stadio della città di Boise nell’Idaho, città di infanzia dell’artista. Il film è amplificato da una ricca scenografia composta da un corpo di ballo che ricorda i musical holliwoodiani.
Il secondo è ricco di paesaggi americani, un pastiche di icone della cultura popolare americana: cow boys a cavallo su una chiatta di ghiaccio che galleggia sul mare, o su un lago al tramonto. Il ghiaccio è l’elemento protagonista.
Nel terzo compaiono le grandiose scogliere di basalto irlandesi, le Giant’s Causeway, che sorgono direttamente dall’oceano svettando nel cielo con colonne geometriche a forma di pentagono regolare, e il film ha anche numerose riprese subacquee. Senza nessuna consequenzialità di trama, con dei simboli massonici, l’artista poi introduce il museo Guggheneim, animato con dei personaggi fantasy, totalmente frutto del proprio immaginario, mescolandoli con altri brutalmente reali, collocati ognuno a un diverso piano del museo
Il quarto è girato nell’isola di Man in Florida, con due sidecar realizzati con i colori del logo Good Year, che percorrono in velocità tutta l’isola.
E infine il quinto ha come protagonista Ursula Andress, vestita come una regina futuribile di guerre stellari. Insieme all’autore, che compare in quasi tutti i film, la regina “governa” l’intero film con la sua maestosità, e le scene sono per la maggior parte girate nelle terme Gellert di Budapest.
Conclusioni
Conclusioni
Il ciclo offre il senso del viaggio della vita, facendo un ampio affresco dei lacerti di culture anglosassoni e mitteleuropee, un’interpretazione di come è oggi la realtà statunitense. Dove spezzoni di culture diverse sopravvivono come icone, galleggiando in una superficie comune, per poi ibridarsi senza nessuna reale necessità, per pura casualità e in questo caso per affinità estetica.