Ciao, dice.
Mi volto e ovviamente non riconosco la persona che mi saluta.
Non ti ricordi di me? Chiede
Ovviamente non mi ricordo di lei. Inizia a dirmi perché dovrei ricordarla, e io continuo a non ricordarla, ma non ho coraggio di fare affermazioni definitive. Cigolo qualcosa che può essere preso come una conferma. Sì, ti conosco.
Penso che mia madre ha avuto il cancro al cervello e mio padre una demenza importante e comincio a riflettere vorticosamente sui miei sintomi.
Insiste dicendo che lei mi ricorda come un vero e proprio esempio per questo e quell’altro, durante un corso di formazione di Ferrovie dello Stato per il miglioramento della qualità del servizio
Io mi occupo di bambini. Dico. E aggiungo: ora. Non vorrei che mi prendesse per dissociata.
La metro non arriva e lei continua a lanciarmi contro aneddoti liberamente tratti da un corso di formazione al quale non ritengo assolutamente di avere partecipato.
E ora che fai? Chiedo, cercando di trascinarla verso l’attualità. Un campo neutro ma sul quale mi sento più tranquilla.
Sempre lo stesso, mi occupo di qualità dei servizi. E sai chi ho incontrato recentemente? Domanda, non senza una certa enfasi di condivisione…Ho capito che la tragedia sta per scatenarsi.
Sono in trappola, ora mi dirà un nome e io dovrò improvvisare. Provo anche ad aprire una pagina google sul cellulare per digitare rapidamente il nome della misteriosa conoscenza comune.
Effettivamente lei dice un nome. Lo digito freneticamente e lancio la ricerca. Ma non posso fare molto altro.
Naturalmente la linea internet è lenta. Lentissima
I muscoli mi fanno male perché il mio sorriso non ha smesso un instante di illuminare la conversazione. Credo che la tensione mi stia anche facendo bruxare i denti.
Guardo distrattamente il display della metro che indica implacabile due minuti di attesa.
Nulla per la metro di Roma. Un’eternità per la mia performance tontolona che ormai è andata talmente avanti che anche un onesto “credo tu stia sbagliando persona”, non avrebbe più senso.
Google ha aperto una finestra di link. Scorro rapidamente i titoli sperando di scorgere una traccia del campo d’azione di questo individuo, o almeno della città. C’è il solito link alla pagina linkedin e anche un profilo facebook. Troppo lungo.
Manca un minuto all’arrivo della metro.
Lei continua a raccontarmi di Angelo, il nostro comune amico, che ovviamente ora lavora in Telecom.
Io non conosco nessuno in Telecom, tranne due colleghi del coro in cui canto, che, secondo me, si vergognerebbero di sbandierare la loro appartenenza istituzionale perché stanno in mobilità a Santa Palomba. E poi una di loro è una donna e l’altro si chiama Alberto.
Mentre lei mi mette anche una mano sull’avambraccio in segno di ritrovata confidenza, ho una folgorazione. Posso fingere una telefonata.
Do seguito a questa brillante idea. Tiro il cellulare fuori dalla tasca guardo il display completamente muto e sollevo le sopracciglia al suo indirizzo come per dire “scusami ma è questione di importanza primaria, anche se non vedo l’ora di riprendere a parlare di Angelo”.
Mentre comincio una conversazione immaginaria, ma evidentemente vitale, vedo arrivare la metro.
Il sollievo mi gonfia le vene come un mantice infilato in un palloncino. Chiudo la comunicazione e mi accingo a salire nel vagone, che spero sia sufficientemente pieno da inibire la sua voglia di parlarmi di Angelo.
Invece il vagone è un inedito salotto. Ci sediamo vicine.
Provo a sviare chiedendole “dove scendi”?
Naturalmente scende a Termini, come me. Ma io, vulcanica come un nerd, improvviso che purtroppo devo scendere alla fermata prima.
Le indico un paio di stivali indossati da una signora abbigliata in modo impavido.
Assurdi gli stivali senza calze, le dico sottovoce, sognando una conversazione sulla moda discutibile del XXI secolo. Lei ridacchia concedendomi un consenso insperato.
L’altoparlante annuncia la mia (finta) fermata. Io comincio ad alzarmi e a profondermi in giuggiole su quanto mi abbia deliziato averla incontrata. Ormai mi fanno male anche le orecchie che non ce la fanno più a tenere il sorriso.
Lei si alza insieme a me, presumibilmente per abbracciarmi. E infatti lo fa, aggiungendo anche due baci sulle guance.
Mentre, ormai salva e già schierata sulla via dell’uscita, mi volto a 45 gradi per salutarla ancora con un sorriso, lei mi apostrofa “mi ha fatto davvero piacere rivederti Irma”.
Di questo sono certa, Irma non figura in nessuno dei 5 nomi che i miei genitori hanno avuto il sadismo di registrare all’anagrafe al momento della mia nascita.
ove non specificato si tratta di miei scatti
Bel racconto! E se...fosse un esperimento sociale? Chissà
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Sì potrebbe esserlo. Sliding identities 😊
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Bel racconto??!... @dambadjar, ...bel racconto??!... Ma è un racconto stupendo, ecco cos'è!!
È ufficiale: @martaorabasta è la Raymond Carver della comunità italiana su Steemit.
Fosse per me, avresti vinto anche oggi. Senza nemmeno leggere gli altri post!
Anche la scelta delle foto è ...sublime!
(Poi me spieghi quando lavori, però. Eh...!!)
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Lavoro in pausa pranzo 😂
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C'ho le lacrime.
P.S. Irma però è molto carino.
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👩⚕️
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LOL... magari ci stava provando
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Già 😣
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Questo è il classico post che si legge con avidità fino all'ultima parola e vorresti che non fosse finito. Davvero un bel stile , complimenti. (Meno male che la tizia non era una che ti voleva saccheggiare la borsetta, so che in metro a Roma è pratica piuttosto comune)
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😂😂 grazie @nicola71
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Ora però devi trovare la sosia di nome Irma...
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Esatto. Poverella 😂😂
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