Premetto subito che in questo racconto ci saranno molte inesattezze storiche e licenze poetiche. Non sono esperta di storia della Grecia antica quindi perdonate i miei eventuali errori.
Mi chiamavano Atena, come la divinità, mia madre disse perchè la Dea l' aveva protetta durante il parto mentre invocava il suo nome, lei da donna instancabile e laboriosa gridava il nome della Dea perchè la proteggesse.
E io nacqui sana e forte come di augurio, pronta per il lavoro, lo studio e un bel matrimonio. Il mio corpo crebbe atletico e sinuoso e nessuno in città osava diminuire il mio nome.
Mi chiamavano Atena a gran voce e io da quei toni alti mai mi lasciavo intimidire.
Quando venni scelta per la sfida ne fui onorata, solo sedici di noi vennero scelte per i giochi dedicati ad Era.
Alcuni ci dissero che era per favorire la pace tra due paesi, altri per celebrare il matrimonio di Ippodamia con Pelope.
Noi non sapevamo con certezza per cosa concorrevamo però io seppi con certezza contro chi concorrevo.
Pirene. Io e lei eravamo sempre state nemiche seppur non ci odiassimo.
Il nostro era un conflitto supremo, volto a migliorarci, ci confrontavamo e combattevamo di continuo su ogni campo, non per affermare l'una la supremazia sull' altra come fanno le bestie ma per conoscerci e scoprire dove l' una poteva sopperire alle mancanze dell' altra.
Sondavamo i nostri punti deboli fino a farne delle forme vuote da riempire con nuova linfa.
I miei genitori non erano stati felici di vedermi scegliere per i giochi,fino a poco fa nessuna donna sarebbe stata ammessa a certi tipi di gara, inoltre con certi tipi di abiti.
Per rendere più agile la corsa ci avevano dato leggere tuniche che scoprivano le spalle fin quasi al seno.
Alcune di noi speravano con tale sfida di farsi notare da qualche aitante giovanotto e contrarre un buon matrimonio . Volevano farsi vedere sane, forti e agili in grado di partorire un figlio robusto.
Io lo facevo solo per vedere il volto di Pirene sforzarsi di battermi, tutti sapevano che nella corsa ero un portento.
Sin da bambina le mie scorrerie erano note e mi costavano dure punizioni.
Quando la gara cominciò vidi Pirene fissarmi e sorridere.
Non aveva paura, io neppure.
Una brezza leggera ci solleticava il volto e le spalle nude. Ci scambiammo un tacito cenno e quando la sfida cominciò io corsi a perdifiato.
Le gambe mi duolevano dopo un po ma non mi fermai, ormai volavo sull' aria e non importava il dolore.
Io e Pirene eravamo in testa, le più brave, le più argute, le più belle, dai riccioli più soffici e le braccia più tornite.
Pirene voleva vincere per trovare un marito o forse per portare ai suoi un pezzo di carne e dell'olio pregiato.
Io volevo vincere per me.
Con un balzo stavo per superarla, eravamo quasi al limite, quando caddi.
Forse un sasso, un ramo, uno scherzo del destino e mi trovai con il viso a terra e con Pirene che tagliava il traguardo baldanzosa.
Neppure si girò per notare la mia rovinosa caduta e il lieve rivolo di sangue che mi usciva dal naso.
Potei vederla felice ed esultante e quando finalmente si voltò verso di me sorrise con dolcezza.
Mi alzai e pulendomi la veste mi complimentai con lei.
Non l' avevo mai vista così raggiante e sotto il sole mi parve bellissima.
Pensai ad Atena e desiderai che lei avesse quel nome.
Perchè le calzava a pennello.
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