Questo racconto è stato scritto per partecipare a Theneverendingcontest n° 25 S5-P5-I1 di @spi-storychain sulla base delle indicazioni dei vincitori precedenti @road2horizon
Tema: Rickshaw Run
Ambientazione: India
Photo by Peter Vasard CC by 2.0
Il regalo di zio Tito
Mio padre se n’era andato da così tanto tempo che nemmeno ricordavo la sua faccia. Mia madre faceva i doppi turni in un locale per crescermi, ma eravamo sempre senza un soldo. Era una donna dolce e forse un po’ ingenua, così molti si approfittavano di lei. Il suo compagno di allora l’aveva mollata poco dopo aver saputo che era rimasta incinta, così che lei, un po’ per il dispiacere, un po’ per la gravidanza, era caduta in depressione e trascorreva gran parte delle giornate a letto, inerte. Per fortuna che c’era la nonna: lei si prendeva sempre cura di noi, ed in particolare di me, comprendendo forse in modo particolarmente intenso quanto io soffrissi non solo per la nostra situazione traballante e per l’arrivo di una nuova bocca da sfamare anche lei orfana, ma anche per la mia condizione di adolescente tormentato.
Se l’adolescenza è sempre un periodo di tragedie ed impetuosi drammi, figurarsi come lo vivevo io nel disagio di una vita anomala in quella che era una piccola cittadina di provincia. La scuola faceva schifo, gli amici scarseggiavano sia di numero che di qualità, ragazze manco a parlarne: ero troppo alto ed allampanato, sembrava mi avessero stirato; parlavo poco ed avevo un carattere scontroso: insomma, non certo il tipo che piace alle adolescenti, anzi, esattamente il tipo che viene accuratamente evitato dal sesso femminile.
La scuola era finita da qualche giorno, e già mi annoiavo a morte. Per arrotondare, avevo lavorato come aiutante di un imbianchino fino a poco tempo prima, ma poi il lavoro aveva chiamato il mio capo al nord, dove si era dovuto trasferire. Sentivo il tormento della vita crescere dentro di me ad ogni ora che passava, e mi riempivo di rabbia e rancore verso un mondo ingiusto e crudele, verso un Dio cieco e sordo, verso una sorte che sembrava volersi accanire contro di me.
Ma poi, a metà giugno, venne inaspettatamente a trovarci zio Tito, il fratello scapestrato e girovago della mamma. Nessuno sapeva come vivesse, non lavorava ma non chiedeva mai soldi, girava il mondo non si sa con quali risorse ed ai miei occhi era la persona più figa che conoscessi.
Andava e veniva senza preavviso, dava notizie di se di tanto in tanto, ma ogni volta che veniva a trovarci la mamma si illuminava, perché adorava suo fratello Tito.
<<Ciao ma’>> Esordiva sempre, entrando senza bussare. Sapeva che avevamo la chiave di riserva sotto una mattonella del giardino, ed anche quell’estate aprì la porta illuminando la stanza col suo sorriso aperto e felice, i capelli dorati e la pelle abbronzata. La nonna gli buttò le braccia al collo <<Dove sei stato, stavolta, disgraziato?!>> gli diceva ridendo contenta. Lo accoglieva sempre così, era la sua frase di rito. Lo zio ci raccontava qualcosa dei suoi viaggi, a volte ci mostrava qualche foto che qualcuno gli regalava dopo aver condiviso con lui una parte del suo incessante cammino per il mondo. Disse che sarebbe ripartito a metà luglio, che si fermava con noi un mesetto. Fu l’unico che riuscì a fare ridere ed alzare dal letto mia madre, anche se per poco. <<E così avrò presto una nuova nipotina, eh Adri?!>> diceva alla mamma accarezzandole la testa e guardandola teneramente <<E’ fantastico, non vedo l’ora di conoscerla!>>. Mentre lo diceva, sollevò per caso lo sguardo e credo che fu proprio in quel momento che colse la smorfia di completa disapprovazione sul mio viso e probabilmente il mio sguardo cupo e semi-disperato. Per alcuni giorni lo sentii litigare sottovoce con mia nonna, finché finalmente mi fece una richiesta del tutto inaspettata: <<Senti Diego, ormai sei grande e non ti ho ancora fatto un regalo di compleanno. Vuoi partire con me per un po’? Ti riporterò indietro in tempo per la scuola. Niente di comodo, eh! Niente alberghi o turismo da divano, ma se ti accontenti e sai adattarti, ti prometto che ci divertiremo!>>. Io, che non vedevo l’ora di fuggire da quella gabbia opprimente che mi stava facendo ammattire, non credevo alle mie orecchie, e quasi d’impulso risposi <<Certo zio! Sono pronto a partire domani!>>. Dopo un secondo di riflessione, però, mi rabbuiai <<Ma i soldi…>>. <<Di quelli non preoccuparti,>>mi rassicurò zio Tito <<purché tu ti accontenti di dormire e mangiare come e quando capita e di fare qualche lavoretto ogni tanto, senza piagnucolare, stai certo che non ti serviranno. Andremo in India, comunque, per partecipare al Rickshaw Run>>.
Nemmeno un mese dopo mi ritrovai dall’altra parte del mondo, a Shillong, nel nord-est dell’India. Non avevo idea di cosa fosse questo Rickshaw Run, ma lo scoprii ben presto. Mio zio, a quanto pare, aveva buone doti meccaniche ma ancora più buone capacità di farsi voler bene. Durante un periodo in Canada aveva conosciuto un team di ragazzi che cercavano un meccanico per partecipare al Rickshaw Run, erano diventati amici e lo avevano assorbito nella squadra. Loro pagavano tutto, ed erano stati disposti a pagare anche per me quando zio Tito aveva detto che mi avrebbe portato con se. <<Meglio così, sdoppieremo la squadra e raddoppieremo il divertimento!>> Avevano commentato. Probabilmente erano più suonati di mio zio. Io, invece, non avevo mai sentito parlare di questa corsa prima di allora. Lo zio mi aveva spiegato che si trattava di una sorta di maratona da nord a sud della penisola correndo sui tuk-tuk, ma questo non rendeva minimamente l’idea di quello che succedeva durante la corsa.
Capii subito che sarebbe stata tanto dura quando divertente. In effetti quello che ricordo meglio sono le risate: quasi quattro lunghe settimane di risate ed allegria. Non credo di aver mai riso tanto in vita mia, nonostante gli imprevisti, gli stenti, i problemi e la fatica. Mi svegliavo, per la prima volta in sedici anni, indolenzito e stanco ma entusiasta e felice del giorno che iniziava, perché sapevo che sarebbe stato denso, imprevedibile e meraviglioso.
Da Shillong siamo partiti in sei persone compresi me e lo zio, su due tuk-tuk meravigliosi, uno rosso e l’altro verde metallizzato, soprannominato “la cetonia”. Ci siamo persi una quantità infinita di volte, abbiamo bucato 7 volte, fuso un motore, dormito in una specie di giungla e visto due tigri. Mi sono sentito il protagonista di un libro di avventure di Salgari, solo che quei luoghi di cui avevo solo letto li stavo attraversando davvero! Lo zio mi insegnò le basi della meccanica, facendomi appassionare ai motori. Il suo amico Caleb, invece, che viaggiava sulla cetonia, un giorno mi volle accanto a se, e mi fece trascorrere una giornata insieme a lui sull’altro tuk-tuk. <<Tu, non hai una ragazza.>> esordì in maniera del tutto improvvisa con un tono che non aspettava alcuna risposta. <<E questo va bene, sai? Le ragazze creano tanti problemi! Però sono belle, e quando puoi stringerne una ti senti in paradiso.>>. Io lo ascoltavo stranito, e non capivo dove volesse andare a parare. <<Il problema è quando non sei tu a decidere se avere una ragazza o no. E tu credo proprio che non hai deciso un bel nulla: ho ragione?>> chiese guardandomi di sottecchi. Arrossii come una femminuccia fino alla punta dei capelli. <<Ma certo che ho ragione! Lo zio Caleb ha sempre ragione quando si tratta di donne!>> Ridacchiò soddisfatto di se stesso. <<Vedi, Diego, se vuoi conquistare una donna devi innanzi tutto farla ridere! Se una donna ride diventa più serena e si sente al sicuro con te, come se facendola rilassare ridendo tu la proteggessi. E poi credimi, il sorriso è l’arma più potente al mondo per creare momenti felici, e nei momenti felici saresti capace di fare le cose più impensabili.>>. <<Ben detto, Caleb!>> Si intromise Peter, il terzo passeggero della cetonia. <<Prendi questa corsa: avresti mai creduto di poterti divertire così tanto anche mentre il motore andava a puttane? Eppure non abbiamo smesso quasi un attimo di ridere, siamo stati accolti in quel villaggio e ci siamo fatti capire a stento a gesti, ma ce l’abbiamo fatta a riparare il nostro rottame e nel giro di due giorni siamo potuti ripartire con una storia in più da raccontare. Ti dico, però, che devi scegliere bene le persone attorno a te, perché sono quelle che fanno la differenza fra una vita triste e pesante ed una vita altrettanto pesante ma alleggerita dalla felicità e dal sorriso.>>. Era un gran filosofo Peter, ogni giorno se ne usciva con qualche massima sulla vita e sull’amicizia. Caleb era invece il latin lover del gruppo e per tutto il tempo che trascorsi sulla cetonia mi diede lezione su come conquistare una ragazza.
Ricordo appena il traguardo e la festa che ne seguì, e poi il viaggio di ritorno. Mi sentivo ubriaco di felicità, era quasi come camminare sulle nuvole. La cosa più bella fu rendermi conto, a distanza di anni, di quanto quel viaggio mi avesse cambiato profondamente, tirando fuori da me una parte atrofizzata dotata di umorismo e carisma che mi permise di affrontare con meno pesantezza ed anzi con un discreto successo gli anni a venire.
A volte sogno di rifare il Rickshaw Run con zio Tito. Chissà, forse un giorno potremo partire davvero di nuovo, magari verrà con noi anche il mio giovane figlio tormentato dalle tragedie dell’adolescenza, di cui si dimenticherà rapidamente per strada, come feci io durante quella pazza, entusiasmante avventura.
Esperienze che cambiano dentro e l'hai trasmesso alla grande.
Brava brava.
Posted using Partiko Android
Downvoting a post can decrease pending rewards and make it less visible. Common reasons:
Submit
Grazie mille! Hai ragione, ci sono cose, a volte, che ti cambiano inaspettatamente.
Downvoting a post can decrease pending rewards and make it less visible. Common reasons:
Submit