Parto e ri-parto da me: orientamento e empowerment

in ita •  7 years ago  (edited)

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Orientarsi significa cercare dei punti di riferimento nello spazio avendo definito un punto di partenza e un punto d’arrivo.
Immaginiamo che ci siamo persi e che abbiamo in mano una cartina geografica: ammesso che sappiamo già qual è la nostra meta, è fondamentale capire prima dove siamo per trovare la strada che ci porterà all’obiettivo.
Questo vale nella realtà di un luogo fisico ma anche e soprattutto nella più complessa e affascinante idea del viaggio come metafora della vita: il punto di partenza da cui cominciare il viaggio siamo noi stessi, e la nostra valigia di effetti personali.


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Sapersi orientare significa possedere e saper usare gli strumenti cognitivi, emotivi e relazionali più idonei per fronteggiare le più svariate situazioni derivate dalla attuale società che si caratterizza per essere mutevole, diversificata e dinamica, e chiede a noi di essere flessibili per rispondere alle sue continue trasformazioni.

A partire dunque dalla nostra realtà quotidiana, che gira vorticosamente e spesso ci lascia smarriti e in preda a spiacevoli sensazioni di solitudine e fallimento, orientarsi ci permette di affrontare in modo consapevole l’incertezza con cui costantemente dobbiamo fare i conti. I diversi percorsi di scelta oggi sono più confusi rispetto al passato, prevedono un buon livello di conoscenza del mondo e un pieno controllo emozionale (auto consapevolezza), oltre al fatto che le decisioni non sono mai per sempre, ma spesso legate a un breve momento del futuro prossimo, quello di domani.

Negli ultimi 20 anni la teoria sull’orientamento si è trasformata, assumendo il concetto di orientamento come processo che dura tutto l’arco della vita e sottolineando il concetto di emancipazione dell’individuo come soggetto autonomo e capace di auto-definirsi. Questo si deve in particolare all’approccio sviluppato da Carl Rogers, basato sulla centralità della persona e sulle sue potenzialità interne, in grado di renderla capace di attivare le proprie risorse personali per attuare delle strategie adeguate di fronte a situazioni problematiche.



Quando abbiamo bisogno di orientamento?



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I momenti problematici più presenti nella vita di una persona sono quelli che riguardano i processi di transizione che si trasformano poi in cambiamenti effettivi, a volte effettivamente difficili da gestire. In particolare:

situazioni di scelta, quando il soggetto è chiamato a prendere delle decisioni importanti, come la scelta della scuola, del matrimonio, o altri;
situazioni di impatto, quando le persone devono affrontare nuovi contesti e nuovi ambienti, come un cambio di città o di lavoro;
situazioni di perdita di ruolo, come la perdita del lavoro o un divorzio.

Gli elementi personali e sociali che maggiormente intervengono nel superare o meno con successo le diverse situazioni critiche delle vita sono: attribuzione di causa, auto-percezione di efficacia, tendenza alla positività, tendenza motivazionale.

1) attribuzione di causa (locus of control): si riferisce al processo di attribuzione della causalità degli eventi. Può essere interna, quando il soggetto carica su di sé la responsabilità degli avvenimenti, considerando determinante il proprio agire; oppure esterna quando il soggetto considera gli eventi come frutto di cause esterne, non dipendenti dalla sua volontà, e facenti riferimento sia ad altre persone che a cause superiori, come il destino o la sfortuna.

Seligman (1990) ha distinto due macro stili attributivi:

- ottimistico, quando gli individui identificano i successi con cause interne e l’insuccesso con cause esterne. Questo stile tende a rinforzare l’autostima del soggetto che tratta se stesso con auto-indulgenza;

- pessimistico, nel caso in cui le persone spiegano i successi con cause esterne e l’insuccesso con cause interne. Questo stile è indicatore di bassa autostima nel soggetto e della sua tendenza a trattarsi con severità e denigrazione.
Avere uno stile attributivo piuttosto che un altro, o eccedere nell’attribuzione di causalità in un senso o nell’altro, può essere dunque fondamentale per analizzare il comportamento delle persone davanti ai diversi contesti e le reazioni emotive ad essi associate.



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2) auto-percezione di efficacia nel fronteggiamento di una situazione problematica (self efficacy): ovvero un’auto-valutazione della persona sulla propria capacità di portare a termine un compito, sulla base di un’analisi della propria storia e dei successi e degli insuccessi vissuti fino a quel momento.

3) Strettamente legato al concetto di self efficacy si affianca quello di coping. Il coping può essere definito come l’insieme degli sforzi cognitivi e comportamentali agiti per gestire specifiche richieste, esterne o interne, giudicate gravose o superiori alle risorse personali e dunque spesso fonte di disagio e di stress. Il coping comprende un’attività cognitiva di valutazione sia delle caratteristiche del problema, che permette di rilevare, per esempio, il rischio e la minaccia da affrontare; e sia delle modalità con cui farvi fronte, ovvero la scelta delle azioni da poter realizzare e la previsione dei vantaggi/svantaggi che ne possono conseguire.

Diverse sono le strategie di coping che le persone mettono in atto:


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- Coping centrato sulla soluzione del problema: si tratta di una strategia centrata sul problema, dove la persona si impegna con determinazione e motivazione ad affrontare la situazione problematica, definisce con precisione il contesto e cerca le soluzioni più adeguate. Gli individui che mettono in atto strategie di questo tipo sono dotate di forte motivazione e sono in grado di far ricorso a risorse ed esperienze personali.

- Coping centrato sulla richiesta di supporto sociale: è la strategia di chi, nella ricerca della soluzione del problema, tende a ricercare il sostegno, il consiglio e l'aiuto di altre persone per risolvere la situazione problematica. Questi soggetti esprimono il bisogno di supporto dagli altri, supporto che a volte si può trasformare in dipendenza da chi gli sta vicino e che si valuta maggiormente competente rispetto a sé.

- Coping centrato sul disagio emotivo: si realizza con la tendenza a reagire fortemente a livello emotivo di fronte al problema, esprimendo sentimenti di incapacità, inadeguatezza, rabbia, frustrazione. Le persone, in questo caso, gestiscono con fatica le proprie emozioni, pensano di non avere né le risorse né le capacità per superare il problema e sono spesso caratterizzati da pensieri pessimistici e da poca fiducia in se stessi.

- Coping centrato sull'evitamento del problema: è la strategia caratterizzata dalla tendenza a tentare di evitare la situazione problematica, sia a livello cognitivo che comportamentale, perché considerata impossibile da risolvere. A volte il rifiuto del problema e la fuga sono espliciti, altre volte invece, gli individui si concentrano su attività alternative per ritrovare un momentaneo benessere. In altri casi ancora si può innescare il meccanismo della delega affidando la soluzione del problema a qualcun altro.

Prendere coscienza di quale, o quali, strategie di coping ci caratterizzano permette di conoscerci meglio ed eventualmente di decidere di mettere in pratica strategie più efficaci di fronte a determinate situazioni.

3) tendenza alla speranza, positività/apertura di pensabilità positiva (hopefulness) . Bruscaglioni la definisce come la possibilità di vedersi, in termini positivi, in una situazione diversa da quella attuale. Si tratta del primo passo verso la maturazione del cambiamento che ci porterà poi ad identificare le modalità per affrontarlo.


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4) tendenza motivazionale/spinta all’azione. La motivazione sembra essere il motore che spinge l’uomo nel suo fare quotidiano in vista di determinati obiettivi: viene definita da Quaglino (1990) come “insieme di fattori che orientano le nostre azioni in previsione di un preciso scopo” e da Petter (1994) come “l’aspetto dinamico che sta alla base della condotta umana”.


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Lavorare sugli aspetti sopra citati significa sviluppare un processo di empowerment: un processo che mira a potenziare qualcosa che è già intrinseco nella persona stessa, ovvero il suo potere interpersonale, il potere “di” (Bruscaglioni, 1995). Avere potere su se stessi significa sentirsi efficaci, avere una buona autostima, sentirsi capaci di affrontare la vita e le sue sfide, i successi e i fallimenti. Sviluppare empowerment significa sviluppare nelle persone la capacità di vedere le possibili alternative all'esistente e di attuare delle modifiche ai propri schemi di riferimento. E ancora, incrementare la capacità di riconoscimento delle risorse, aumentare l'autostima e la motivazione, e contemporaneamente sviluppare anche l'auto-aiuto da parte del soggetto in difficoltà, in un'ottica che valorizzi la sua partecipazione nel migliorare la situazione.



Fonti:
Rogers, C. R. (2000) La terapia centrata sul cliente, Psycho
Pellerey, M. (2017) Soft skill e orientamento professionale, CNOS- FAP
Petter, G. (1999) Psicologia e scuola dell'adolescente, Giunti editore
Pombeni M. L. (1996) Il colloquio di orientamento, Carocci editore
https://www.orientamento.it
http://www.isfol.it

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