Image Credit: @ran.koree
Cosa è rimasto di Ayrton Senna, ciascuno lo sa per conto proprio.
Il suo casco che passa e va, un gesto del braccio o della mano,
un segno sull’asfalto,
il timbro della sua voce.
È rimasta comunque un’intensità.
Perché intenso fu sempre, al punto da morire così, davanti a tutti mentre eravamo convinti, da lui soprattutto, che fosse bravo, dotato, perfetto al punto da sembrare invulnerabile.
Era un ragazzo esposto, attraversato dai sentimenti e dal talento,
che dentro di lui per qualche magia rimbalzavano, tornavano, restituiti tra di noi, sino all’ultimo, sino ad una fine, anche quella pubblica, e per questo dolorosamente indimenticata.
È stato un ragazzo fortunato anche se raramente felice, come se le sue ricchezze lo obbligassero ad un compito, a restituire pure lì, in continuazione, qualcosa di prezioso, come se avesse a che far con un dovere, un’espiazione.
Per questo forse ostentava un furore che nessuna vittoria, nessun record riuscivano ad estinguere, avrebbero estinto mai.
Ostentava un conto aperto con sé stesso, anche se sembrava addebitato agli altri, a chi voleva batterlo, a chi ostacolava un proponimento, una sete segreta..
I lampi avevano una coda di ombra, visibile come la scia di una cometa contenevano un’unicità formidabile offrivano un compendio di tenerezza alla violenza della corsa, del rumore, della velocità.
Poi, per qualche via anche quella imprevista Ayrton ce la faceva, abbandonava la sua guerra, respirava, e te lo trovavi all’improvviso lì, in una tregua che ancora adesso fa venire voglia di parlare, di chiamarlo, tenerlo vicino sotto un pergolato a bere una birra piccola, una limonata, recuperando un tempo prezioso e perduto.
Ayrton Senna è morto dieci anni fa, 1 Maggio 1994, aveva 34 anni; con la malinconia che ci accompagna, con l’orgoglio che fu suo ed è rimasto nostro, lo ricordiamo ora. Un documentario realizzato in collaborazione con la fondazione che porta il suo nome, che è diventata in questo decennio una realtà decisiva per migliaia di bambini brasiliani.
Ci sono le parole per spiegare cosa fu e come, ci sono testimonianze preziose e commuoventi, c’è Ayrton, con quelle sue frasi dense che dava, cercando di dare un senso, all’apparenza suo soltanto, in realtà comprensibile al punto da tenerci vicini, qualcosa che infatti funzionava, resiste, funziona, che comprime il tempo, e trattiene un tutto, come se ci fossimo appena salutati. Ohi ciao, tanto ci si rivede; ci incontriamo di certo di nuovo, subito, domani, tra un po'...
S
ono le parole scritte da Giorgio Terruzzi per la puntata speciale di Record del 2004, dedicata ad Ayrton Senna intitolata Il diritto di vincere, e dalla quale prendo spunto per scrivere questo post. Parole che risuonano familiari, sempre attuali, anche e soprattutto oggi, nel giorno del venticinquesimo anniversario della scomparsa del campione brasiliano.
Ma è soprattutto con le stesse frasi di Ayrton che voglio permeare il mio piccolo omaggio ad un campione che va oltre il tempo, e che rimarrà scolpito nella memoria e nei cuori di molti.
Approccio cerebrale, emozioni. Oltre il limite
“Correre, competere, è nel mio sangue, è parte della mia vita;
è da sempre che lo faccio e viene prima di ogni altra cosa”
“Non saprete mai come si sente un pilota quando vince. Quel casco nasconde sentimenti incomprensibili.”
“Se una persona non ha più sogni, non ha più alcuna ragione di vivere.
Sognare è necessario anche se nel sogno va intravista la realtà.
Per me è uno dei principi della vita.”
Pilota moderno eppure così diverso dagli attuali protagonisti della Formula 1 - schiavi di un sistema, regole e tecnologia che fanno assomigliare le gare più a un videogioco che ad altro - Ayrton Senna era un pilota fuori dal comune. Nessuno come lui, per la dedizione che metteva nel suo lavoro, la professionalità, la determinazione, la voglia di vincere. Arrivare secondo sarebbe stato quasi insopportabile, perché significava essere il primo fra i perdenti, accettarlo era fuori discussione. Fin da quando gareggiava sui kart si allenava con dedizione assoluta, affinando la sua tecnica, imparando a dominare la vettura sul bagnato e diventando per questo un mago della pioggia in pista, sancendo un predominio assoluto nelle gare con questa condizione meteorologica.
Si adattava abilmente a qualsiasi monoposto guidasse, anche le meno veloci, rendendole incredibilmente competitive.
“Pensi di avere un limite.. così provi a toccare questo limite,
accade qualcosa e tu
improvvisamente riesci ad andare un pò più forte,
col potere della tua mente,
la tua determinazione,
il tuo istinto..
E l’esperienza è bella.
Puoi volare molto in alto..”
Ayrton aveva la capacità di concentrarsi tantissimo prima di una gara, riusciva con la mente a correre lungo tutto il tracciato prima ancora di percorrerlo realmente con la vettura. E questa concentrazione gli permetteva di portarsi al limite, superando sé stesso ad ogni giro, realizzando sorpassi impensabili per altri piloti. Riusciva ad esplorare le proprie capacità più di qualsiasi altro pilota, usava la mente sempre, e cercava di utilizzare la giusta dose di aggressività e calcolo, perché solo trovando questa combinazione si può vincere un mondiale.
“Non si tratta solo di tonicità o forza muscolare,
si tratta della potenza fisica che ricavi parlando al tuo corpo ma anche alla tua mente.
E lo si impara solo facendolo, credo.
C’è qualcosa di speciale nel concentrarsi su sé stessi,
nel conoscere i propri limiti,
capire la natura della propria forza,
quali sono le proprie capacità,
per cercare di arrivare
a essere una persona meno spigolosa.”
Senna e Prost
Non si può parlare di Senna senza parlare di Prost. Epici duelli tra i due campioni infiammarono la Formula 1 di fine anni '80. Alain Prost, il freddo e calcolatore “professore”, è stato acre e spesso ipocrita rivale, ma allo stesso tempo indispensabile per Ayrton, che trovava in lui lo stimolo per migliorarsi sempre di più, il pilota da battere. Impegnati entrambi per sei anni nel team McLaren, ne sono stati compagni di squadra per due, portandolo ai massimi livelli e facendo vincere ben cinque mondiali costruttori alla scuderia inglese dal 1985 al 1991 (con tre titoli piloti vinti da Senna e due da Prost).
Non senza controversie per più o meno presunte scorrettezze che entrambi si scambiavano in pista, ben due di questi mondiali sono stati decisi nel GP di Suzuka (mondiali '89 e '90), entrambi per una collisione tra i due rivali: Senna si vendicò in questo modo del mondiale perso lì l’anno prima, ripagando il francese con la stessa moneta.
Ma nonostante questa accesa rivalità, Ayrton non serbò mai rancore per Alain Prost. Una volta gli fu chiesto se avesse dei nemici, e lui rispose che la vita è troppo breve per averne.
Nel 1994, durante le prove libere del venerdì del maledetto GP di Imola Prost, ormai ritiratosi dalla F1, era ospite nel box della Williams e Ayrton mentre guidava comunicava via radio con i meccanici. Non parlava di quale marcia stesse usando per affrontare una curva, dell’assetto della vettura o di altre cose tecniche sulla guida, queste furono le sue prime parole:
“Prima di tutto
un saluto al mio caro amico Alain...
Mi manchi, Alain!”
Il diritto a una opportunità
Tanto aggressivo e competitivo in pista quanto corretto e giusto, anche nella vita. Diversamente da un idolo canonico che si venera solo per una specifica abilità, Ayrton era ed è un esempio di vita, un modello, una speranza. La stessa speranza che regalava con le sue iniziative, al riparo dai riflettori, a molti bambini poveri del Brasile. Per Ayrton infatti tutti hanno diritto ad avere una opportunità, soprattutto chi non è un privilegiato come lui stesso si sentiva.
Le sue idee, la sua opera, sono ora portate avanti dalla sorella Viviane con la fondazione che porta il suo nome (Instituto Ayrton Senna).
“I ricchi non possono vivere su un’isola circondata da un oceano di povertà.
Respiriamo tutti la stessa aria.
Bisogna dare a tutti una possibilità.”
“Non potrai mai cambiare il mondo da solo. Però puoi dare il tuo contributo per cambiarne un pezzetto. Quello che faccio davvero io per la povertà non lo dirò mai. La F1 è ben misera cosa in confronto a questa tragedia.”
Fragilità, sicurezza, fede
Ayrton Senna è stato figlio di un’epoca in cui le macchine da corsa erano piuttosto grezze, si guidavano ancora con la leva del cambio e la sicurezza in pista e sulla vettura era ancora in una fase embrionale se confrontata a quella odierna. Un’epoca in cui se commettevi uno sbaglio in pista lo pagavi caro, nella migliore delle ipotesi con un fine gara, nella peggiore con la vita. Ma non fu solo la sua morte a dare un’imponente scossone per migliorare la sicurezza. Fu infatti sempre in prima linea nelle conferenze e nei dibattiti per discutere e proporre le sue idee per ridurre i rischi dei piloti. Sapeva di essere forte, ma anche di non essere invulnerabile. Fu questa consapevolezza di cosa un pilota fosse veramente, più esposto di tutti al rischio di farsi male o di perdere la vita, di quanto siamo piccoli di fronte al destino, a contribuire alla sua grandezza, e allo stesso tempo ad avvicinarlo a tutti noi per la sua umanità, unita ad una incrollabile fede in Dio.
“Il fatto che io abbia fede in Dio non significa che io sia immortale. E non sono neanche invulnerabile, ho tanta paura di farmi male come chiunque”.
Dal primo maggio del 1994 la Formula 1 non fu più la stessa, noi non siamo più gli stessi. Sogni, speranza, e parti di molti di noi sono schizzate oltre la curva del Tamburello insieme alle schegge della Williams col numero 2. Una fine tragica e immeritata per un ragazzo come Ayrton e per tutti i suoi tifosi. Ma nonostante il dolore della perdita, qualcosa di buono da allora vive ancora dentro tante persone, non solo nel ricordo nostalgico. Un seme di speranza per raggiungere un’armonia con sé stessi e con il mondo, cercando di offrire a tutti una chance, germoglia ancora. Un’armonia che forse aveva raggiunto anche Ayrton, la conquista di uno status da lui a lungo cercato e ottenuto sul filo, come in una gara, all'ultimo giro, quasi avesse avuto un presentimento, prima di volare via per sempre.
Questo insegnamento è ciò da cui dobbiamo muoverci, agendo in tempo per cogliere la nostra opportunità, la nostra ricerca della pace interiore, riponendo le energie in una fede verso ciò che è giusto, mantenendo sempre vivi i nostri sogni.
Perché Ayrton aveva ragione, la vita è troppo breve per avere dei nemici ma, aggiungo, spesso non abbastanza da sopportare alcuni rimpianti.
Standings
Letture e siti web
Richard Williams, Senna - Il destino di un campione, Sperling & Kupfer, 2014
http://www.ayrtonthemagic.com/
http://www.ayrtondasilva.net/
https://institutoayrtonsenna.org.br/pt-br.html/
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