VERBA MANENT L’ IRREPRESSIBILE IMPORTANZA DELLA CONVERSAZIONE FRA I SESSI NELLE OPERE DI ANNA BONACCI, NATALIA GINZBURG E DACIA MARAINI CARLO GIULIANO MODERN ITALIAN THEATRE – PROFESSORESSA LISA SARTI
C’e` un fondo di verita`, direbbe il cosiddetto Saggio di supergulpiana memoria, dietro ad ogni luogo comune. Uno dei i piu` comuni fra tutti i luoghi piu` triti, ritriti e tritati dell’ immaginazione e` che “gli uomini vengono da Marte, mentre le donne vengono da Venere”. Nessuno che abbia la benché minima esperienza di vita potra` negare la faciloneria, in senso assoluto, di tale cliché. Nel leggere “Dialogo muto”, “Ti ho sposato per allegria” e “Veronica, meretrice e scrittora”, non ho potuto fare a meno di notare, con mia somma sorpresa e un velo di delusione, che spesso in campo artistico una parte dell’ archetipo si dimostra fondata. Pur essendo partito da una tesi iniziale secondo la quale la scrittura, come ogni altra forma d’arte, o e` bella o e` brutta (nonostante le enormi difficolta` insite nel comprendere che cosa significhino il Bello e il Brutto), mi sono ritrovato “costretto”, per cosi` dire, da Anna Bonacci, Natalia Ginzburg e Dacia Maraini ad ammettere a me stesso che, al di la` di tutti i luoghi comuni, la scrittura femminile possiede innegabilmente una sua impronta digitale tutta particolare. E` questa la tesi che spero, un po’ inaspettatamente, di riuscire a dimostrare al lettore. L’ elemento comune di queste tre opere che ha immediatamente attirato la mia attenzione e` l’importanza in apparenza spropositata che in esse ha la conversazione. Non mi riferisco semplicemente a qualsiasi tipo di conversazione, ma alla conversazione come interazione di polarita` opposte e complementari, e quindi, ineluttabilmente, alla conversazione fra il Maschile e il Femminile, al commercio intellettuale fra Marte e Venere. L’ Universo, dichiara solennemente Borges, nuovo Omero e sommo visionario non vedente, non e` altro che “un sistema di compensazioni” che si regge sull’ interazione di due forze opposte e complementari. Negare l’una significherebbe condannare anche l’altra (ed insieme ad essa tutto il glorioso edificio del Tempio della Creazione) alla distruzione e alla rovina. Questo concetto molto sofisticato, a mio giudizio, le tre autrici di cui ci occuperemo (scientemente o intuitivamente) lo hanno compreso benissimo. Nel raffrontare le loro opere con le letture precedenti, e soprattutto con il narratore “onnipotente” pirandelliano o verghiano (ricordo qui brevemente la mia tesi che il narratore verghiano acquisisce piu` potere quanto piu` sembra sprofondare nella non-esistenza), non ho potuto fare a meno di notare la quasi assenza di monologhi o altri tipi di “assolo” narrativo, se si eccettuano le poesie recitate dai personaggi della Maraini, che pero` considero, per ragioni che esporro` in seguito, esempi di conversazione pseudo-epistolare, piu` che veri e propri monologhi o assoli narrativi. Pirandello fa ampio uso di monologhi per comunicare di forza, quasi fosse un ariete medievale che cercasse di abbattere le porte di una citta` assediata, i suoi punti di vista al pubblico attraverso il personaggio. Sembra gli interessi prendere il pubblico di forza. Goldoni pare invece vedere il pubblico come una bellissima ( e ricchissima) principessa da conquistare ad ogni costo ( e quindi gli fa una corte spietata attraverso i suoi personaggi-tipi). Verga vorrebbe invece svanire “umilmente” nel nulla, ma si tratta in realta` di un trucco da Luna Park: sembra che la giostra giri da sola, ma cosi` non e`. E` il puparo dietro alla giostra che tira le fila dello spettacolo. Il suo Narratore-Dio definisce arbitrariamente (anche se magnificamente) quale debba essere l’ unica, incontrovertibile realta` che e` d’uopo il suo pubblico percepisca. Non e` lecito neppure ipotizzare, nell’ universo verghiano, la presenza di una possibile realta` alternativa. Il suo Narratore e` quindi il Pater per eccellenza, che sembra svanire solo per comandare meglio, seduto, dietro le quinte, sul Trono dell’ Altissimo e impugnando i fulmini di Giove. Marinetti (nato ricco e non bisognoso di trovare un buon partito) tratta invece il suo pubblico come una schiava ignorante da istruire per il suo bene, e lo riforgia a sua immagine e somiglianza come fa Petruchio con Kate nel capolavoro shakespiriano. Il modo in cui tutti questi grandi scrittori prendono il loro pubblico per le corna, pero`, ha UN elemento in comune: e`decisamente MASCHILE. E` un’ esteriorizzazione della volonta` di potenza. I monologhi (anche quelli estemporanei e vituperativi recitati a soggetto da Marinetti quando ringraziava il pubblico per il suo disgusto) assumono una dimensione rituale e affabulatoria perché traducono in arte scenica o letteraria l’ Archetipo Maschile. Nelle opere delle autrici che qui mi propongo di analizzare, invece, l’impostazione e` diametralmente opposta. Anche Anna Bonacci, Natalia Ginzburg e Dacia Maraini differiscono le une dalle altre come i loro colleghi uomini e mal s’intonano insieme, come i proverbiali cavoli all’altrettanto idiomatica merenda. Ma anche loro hanno in comune la presenza nella loro tecnica artistica e affabulatoria di cio` che definirei l’ Archetipo Femminile. Le loro opere sarebbero secondo me impensabili senza la presenza di una relazione fra opposti, sia essa ostile o meno. La presenza dell’ Altro nella scrittura femminile (almeno quella di cui qui si parla) e` assolutamente fondamentale al conseguimento degli obiettivi artistici della scrittrice. Non vi e` traccia qui di monologhi-ariete, narratori onnipotenti, pubblici presi di forza o coperti di insulti da riformatori artistici visionari. C’e` pero` la presenza, per ripetere nuovamente lo splendido vaticinio del profeta cieco, di “un sistema di compensazioni”, una RETE DI RELAZIONI. Siano esse sublimi o malsane, le relazioni DEVONO esistere affinché la strategia narrativa femminile qui analizzata possa proporsi e funzionare. L’ effetto sul pubblico e` di uguale potenza, ma di segno energetico opposto: il lettore-spettatore non viene preso di forza, ma risucchiato, volente o nolente, in un affascinante network di interazioni, mellifluamente invischiato in un universo caleidoscopico la cui esistenza stessa dipende dall’ attrazione-repulsione magnetica fra poli opposti. Di conversazioni e dialoghi di tutti i tipi ed in tutte le salse se ne trovano, ben inteso, a bizeffe ovunque nelle tre opere summenzionate. Sono convinto, pero`, che solo UN tipo di conversazione fra tutti sia di tipo ritualistico e affabulatorio cosi` come lo sono le geremiadi esistenziali in Pirandello o le vomitate di insulti marinettiane: la conversazione che le protagoniste hanno incessantemente con l’ Altro, con il Maschile, con il loro “nemico del cuore”. Perché vi sia fabula, infatti, e non semplicemente narrazione di una serie di eventi, occorre un surplus energetico che puo` essere generato solo da una contrapposizione di forze uguali ma CONTRARIE. Un esempio lampante di questo concetto lo si ritrova in Veronica meretrice e scrittora, in cui la conversazione con la suora Anzola assume toni realistici e imitativi della realta`(e` piu` una condivisione di atipica e divertente complicita` fra due alter-ego che una vera contrapposizione dialogica o drammatica), mentre invece le varie conversazioni che Veronica ha con gli uomini piu` importanti della sua vita (tranne che con il marito Paolo, il quale giustamente e` IL MENO importante e il piu` squallido fra essi) definiscono il personaggio stesso di Veronica, la cui ossatura intera e` un sistema di relazioni sociali e romantiche con il sesso opposto, piu` che una monade narrativa. Queste conversazioni hanno un’importanza tale nell’ economia narrativa dell’ opera che vengono portate avanti con una molteplicita` di registri a dir poco strabiliante, registri che vanno da quello basso-comico o basso-elegiaco (l’inquisitore, il precettore di Achillino) a quello gentilizio-aristocratico (Enrico III) fino ad arrivare ad un cambio completo di stile quando le conversazioni che definiscono l’ essere stesso di Vetronica (quelle con i membri della famiglia Venier) vengono addirittura svolte in maniera epistolare (e quindi stilizzata a tal punto da non appartenere piu` al mondo “reale”) utilizzando i sonetti e gli altri tipi di componimento poetico che le controparti reali dell’ epoca di questi personaggi realmente scrissero. Il rapporto poetico-epistolare intecorrente fra Veronica e Maffio, in particolare, e` una trovata affabulatoria di eccezionale acume e lucidita`: Maffio rappresenta infatti l’archetipo maschile piu` negativo fra i membri della illustre famiglia grazie alla cui protezione Veronica vive. Sarebbe stato facile farne un “cattivo” di cartone da mettere alla berlina, ma Dacia Maraini resiste alla tentazione e lo trasforma in una forza motrice repulsiva del testo. Fra Veronica e Maffio si instaura lo stesso tipo di relazione riproposta ad infinitum da tutti i western hollywoodiani di tipo epico: quella fra i due grandi pistoleri che si fronteggiano in duello. Come ogni duello ben narrato, la tenzone poetica fra Veronica e Maffio e` ritualizzata: esiste, come nei western, una relazione non dichiarata di mutuo rispetto, pur nell’ inimicizia (come, ad esempio, gli aviatori della Prima Guerra Mondiale, che brindavano l’uno alla salutre dell’ altro prima di uccidersi in duello e adottavano nomi epici e leggendari, come “Il Barone Rosso”), si articola ATTRAVERSO l’uso stesso della poesia e assurge in tal modo ad espediente rituale che affabula il testo e lo astrae da una dimensione puramente narrativa. Il fatto che Maffio e` un personaggio negativo, un “anti-eroe” e` amplificato dall’uso del linguaggio poetico popolare che Maffio stesso prediligeva. Notevolissimo e` anche l’uso occasionale dei dolcissimi accenti del dialetto veneziano che definiscono invece la tenera relazione corporea che Veronica ha con Domenico. I due poli narrativi (Domenico-Grazia e Maffio-Severita`), costruiti con tecniche e registri quasi interamente linguistici, si contrappongono e, in uno spazio tutto semantico, formano una struttura a croce, che rievoca a livello subcosciente la croce REALE, fatta sia di tenerezza che di ostilita` e lacrime, che Veronica, donna di eccelso ingegno in un’epoca sfortunata per il suo sesso, e` costretta a sobbarcarsi per poter essere sé stessa fino in fondo. In “Ti ho sposato per allegria” la presenza della conversazione e` strabordante. In questo caso sembra che al delicato equilibrio cromatico e polifonico della Maraini si contrapponga una vera e propria epopea wagneriana di conversazioni interminabili. Tutti parlano sempre con tutti e di tutto. Vi si trovano pero` a mio giudizio solo DUE esempi di conversazione affabulatoria e ritualistica, di cui solo UNO accade, per cosi` dire “in tempo reale”, e cioe` come parte integrante dell’ azione scenica. L’altra, infatti, quella di tipo “iniziatorio” (ai riti ed al mistero del Femminile emancipato da parte di una figura protettiva) con Topazia, e` solo (e non a caso) EVOCATA, non VISSUTA. Quella che e` vissuta fino alla sua consumazione piu` totale e` la conversazione con Pietro, la sola che, proprio in quanto agone, possieda capacita` taumaturgiche e risanatorie. Lo scambio Giuliana-Pietro altera e risana la relazione della coppia, contrariamente a tutte le altre conversazioni, che non hanno vita o utilita` al di fuori della conversazione stessa. Alla fine della conversazione iniziatorio-agonistica, i partecipanti cambiano, crescono e accrescono la loro consapevolezza di sé e dell’ onnipresente Altro/a da cui, che gli piaccia o no, dipendono. Le altre conversazioni, pur essendo fondamentali all’ economia narrativa, sono percorsi laterali: quella con la domestica, Vittoria, ricorda molto il rapporto complice e sornione fra Veronica e Asola; il confronto con l’ “archetipo materno”, per contro (un personaggio che non ha neanche un nome suo: e` solo LA MADRE), costituisce un test o un ostacolo da superare all’ interno del percorso che inizia la protagonista alla vita adulta, ma non e` l’ esperienza iniziatica stessa. Una di esse (quella con la Madre) e` anche piena di vis comico-drammatica (e` basata sul concetto dell’ OPPOSTO, ma non dell’ ALTRO), ma resta a livelli narrativi e non assurge a fabula. Caso molto particolare resta Dialogo Muto, in cui L’ INTERA conversazione e` di tipo rituale in quanto che avviene tutta nello spazio-noumeno dell’ immaginazione, del POTENZIALE. Si tratta del tipo di rituale piu` elevato possibile: quello della “Voce del Silenzio”, esperienza spirituale suprema di totale distanziamento dalla realta` mondana. Nessun elemento della conversazione-tenzone fra opposti avviene nell’ ATTUALE, nel mondo dei FENOMENI percepibili ai sensi comuni, tranne che per un brandello finale pronunciato apertamente in cui l’ Eterna Lei dice all’ Eterno Lui : “ Cantano i primi usignoli della notte. E` l’ora di andare a letto, amore...”, il che ha lo stesso identico scopo che la formula Ite, Missa est, pronunciata dal sacerdote alla fine della Messa Tridentina in Latino, esercita in chisura di cerimonia: il celebrante interrompe il suo dialogo trascendente con il mondo superiore, si rivolge apertamente al pubblico e, in un registro comune e non elevato, lo invita a ritornare alle sue attivita` abituali e al mondo che gli e` familiare. Tutto cio` e` reso inoltre molto chiaro dal fatto che, dopo la battuta pronunciata apertamente, i due attori si alzano ed escono, interrompendo la tenzone rituale e ritornando alle loro attivita` di consueta e normale ipocrisia socio-idilliaca, proprio come la maggior parte dei partecipanti alla Messa, una delle cui funzioni rituali e` proprio quella di espiare i modelli comportamentali che il peccatore si dilettera` puntualmente a riproporre a se stesso/a una volta arrivato il Lunedi`. Per riassumere, e prendendo ancora una volta a prestito un brandello di terminologia Junghiana, la conversazione in Veronica, meretrice e scrittora potrebbe essere definita un parlare dell’ Anima. quella di Ti ho sposato per allegria un parlare dell’ Animus e quella puramente trascendente ed immaginaria di Dialogo muto un parlare del Super-Io, o Super-Conscio. Si tratta pero` indubbiamente di una divisione tripartita che descrive una Mens completamente e gloriosamente FEMMINILE. ��:�8
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