Another brick in the wall

in nba-ita •  6 years ago 

I tiri liberi dovrebbero essere semplici, dovrebbero essere una ricompensa quasi automatica per aver subito un contatto illegale da un giocatore avversario, e in effetti lo è per la maggior parte dei giocatori NBA. Dalla linea della carità giocatori come Steve Nash, Steph Curry e Mark Price hanno tirato circa il 90% in tutta la loro carriera, con Nash leader ogni epoca con uno strabiliante 90,4%.
Questa regola fa eccezione, per altri giocatori, che non solo non hanno saputo sfruttare a loro vantaggio questa opportunità, anzi è diventata addirittura un vantaggio per le squadre avversarie. Ci riferiamo alla famosa strategia inventata da Don Nelson (allora allenatore dei Dallas Mavericks) chiamata “Hack-a-Shaq". Tale strategia consiste nel fare fallo intenzionalmente sul giocatore della squadra avversaria le cui percentuali di tiro libero siano molto basse in modo da mandarlo in lunetta ripetutamente.
La prima volta questa strategia fu usata su Shaquille O'Neal, da qui il nome che tutti conosciamo. Inizialmente vittima solitaria, con il passare del tempo The Big Aristotele” ha avuto una nutrita compagnia, e, a seconda del bersaglio mobile,il nome si è tramutato in “Hack-a-DeAndre” (Jordan),”Hack-a- Dwight” (Howard), “Hack-a-Josh” (Smith) etc.
Parliamo oggi di questa tipologia di giocatori che, nonostante siano professionisti NBA, hanno percentuali ai liberi tipiche di bambini del mini-basket. A volte si dice che l’allenamento è tutto, ma risulta evidente che questa massima non si addice a questo contesto.
Shaquille O'Neal (52%) – non potevamo non cominciare con “The Diesel”. Il giocatore più dominante della storia del gioco ha dichiarato: “Il mio 40% ai tiri liberi è il modo che Dio ha trovato per dire che nessuno è perfetto”. Dire qualcosa su “di lui che non sia già stata detta è impossibile; ci limitiamo ad affermare che uno Shaq da 80% ai liberi avrebbe avuto almeno un paio di anelli in più al dito. Celeberrimo l’aneddoto Nelle finali Nba del 2000 contro i Pacers, in cui in ad Indianapolis furono invitate delle bambine delle elementari a tirare dalla lunetta per dimostrare che avevano una percentuale ai liberi migliore di Shaq. Ed effettivamente andò così con l’unica differenza che le bambine sul parquet difficilmente avrebbero messo a referto 38 punti e 16.7 rimbalzi di media a partita laureandosi MVP delle finals.
Dwight Howard (56%) – In molti credevano fosse l’erede di Shaq a Orlando. Sicuramente con lui ha in comune (solo) la poca abilità dalla lunetta. Per liquidarla con una battuta alla Shaq: “Non parliamo di WNBA”. “Soft” (“morbido”) come lo definì Kobe.
DeAndre Jordan (42%) – Movimento spezzato, gambe rigide, palla che esce sporca dalle mani. Risultato: un tiro lungo, uno corto, uno storto, per farla breve mai nessun tiro uguale al precedente. DeAndre non ha ancora masterizzato il movimento.
Ben Wallace (52.7%)– Big Ben era cuore ed anima dei Pistons del titolo. Mahatma della difesa e devastante a rimbalzo in attacco, ci sanguinava il cuore nel vederlo in lunetta in lotta contro i suoi demoni.
Chris Dudley (45%) – grande uomo, grande testa , il prodotto di Yale si è costruito una carriera NBA in difesa e come “rim protector”. Diabetico di tipo I, si ricorda per una umiliante schiacciata in faccia rifilatagli da Shaq. Il movimento è interrotto più volte, la palla è sul palmo, la media dimostra l’assunto.
Andre Drummond (38%) – rimbalzista eccelso, corpaccione come non se ne vedevano da tempo. Scolastico in tutto ciò che fa su un campo da basket. Il giocatore è ancora da erudire. Ai liberi: per adesso il peggiore di sempre, quel 38% fa gridare allo scandalo.

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