Luka prova ad aprire gli occhi, ma non ci riesce.
Secrezioni incrostate sulle palpebre, muco nel naso. Il mal di testa non è una sorpresa, il resto sì.
Ieri sera, Luka ha violato una regola della comunità: non gli è consentito pensare ai fatti suoi per più di 45 minuti di fila, perché le risorse intellettuali scarseggiano ancora più dei viveri. Da quando l’effetto serra ha trasformato il pianeta in una immensa Somalia, con guerre e carestie endemiche, l’uso di qualunque risorsa è razionato. L’autismo è punito con la pena di morte. Chi si chiude troppo nel proprio cervello invece di produrre pensieri utili, viene punito con emicranie artificiali, scatenate da elettrodi impiantati alla nascita nel cranio di ogni cittadino.
Si sta svegliando da una sbornia.
I sauri non sono in grado di controllare gli effetti dell'alcol sul cervello, perché il controller innestato negli umani intercetta soltanto le sinapsi chimiche, non quelle elettriche. Pochi sanno che bere permette uno stordimento che attutisce l'emicrania indotta ma che, finito l'effetto dell'etanolo sui circuiti neuronali, l'adrenalina inizia a scalciare per rimettere in moto la macchina. Ed è in quel lasso di tempo che il controller non capisce più un cazzo, perché gli impulsi vanno troppo veloci. Minuti preziosi guadagnati.
E’ sul letto, rallenta ogni movimento del corpo per economizzare ciascuna goccia di energia per la mente. Da sempre si allena a questo esercizio, da quando ha memoria di sé ha la certezza di avere vie d’accesso a pensieri laterali, porte aperte piene di luce, dove non ha mai avuto timore di entrare. Spingendosi poco a poco più in là, passo dopo passo, minuto dopo minuto, ha trovato un equilibrio perfetto tra i 45 minuti concessi dal sistema ai suoi viaggi interiori e il contenitore dell’attività cerebrale restante. Se così si può chiamare.
Ma qualcosa dev’essere andato storto, anche se non riesce a ricordare che cosa sia. Richiama alla mente i fatti della sera prima: il libro di Anatomia sul divano... bicchieri... più d’uno... sì, due. Bollicine sulla lingua... luce d’oro nella bocca... ah, il Prosecco di contrabbando. Poi altri sapori... odori... sensazioni della pelle... c’era qualcuno lì vicino, disteso accanto sul letto. Ferma ogni respiro e tende l’orecchio ad ascoltare la stanza: nessuna traccia umana, solo un rumore leggero, come un ribollio sordo, quasi impercettibile. Allora, suo malgrado, si volta piano, apre una fessura dell’occhio. Come pensava: a parte le fusa di Saffo, la gatta nera che abitava la casa prima del suo arrivo, nessun altro.
Bene, il suo pensiero divergente può tornare a giocare ancora per qualche minuto. I sauri sono esseri schifosi, con gli occhi vacui, ignoranti come le palle di sterco che gli scarabei screziati trascinano nelle loro piccole vite inutili. Che ne sanno i sauri della settima arte? Suo padre, invece, già dai suoi primi anni di vita, ha fatto in modo che nella loro casa ci fossero sempre libri di ogni genere. Ovviamente l’esercizio era quello di immagazzinare parole scritte e figure nel più breve tempo possibile, entro i maledetti 45 minuti. E suo padre era anche un grande appassionato di cinema, cosicché insieme a lui ha potuto vedere film come “Fahrenheit 451”, “2001: Odissea nello spazio”, “Divergent”. Il suo pensiero è sempre stato abituato ad essere alieno e in quelle storie trovava conforto al suo sentirsi oltre.
Dalla finestra aperta arriva un soffio d’aria bollente e Luka si accorge di avere caldo. La sua pelle è appiccicosa e non ha addosso nemmeno un paio di slip. Insieme al vento entra una musica lontana...
Suzanne Vega, la canzone che ha sempre pensato scritta per lei. Si passa la mano sul ventre e in quel momento il cuore le fa una capriola. Ecco i due bicchieri, ecco il profumo di Markus su di lei, ora ricorda tutto. Le lacrime, le risate, lo sgomento, l’entusiasmo al più divergente dei pensieri: il piccolo cuore di brillante che le pulsa dentro da un mese. Piccolo brillante da salvare.
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