Il Tao è Yin e Yang, buio e luce, guerra e pace. Eppure non riusciamo a distaccarci dall’idea che, sotto sotto, un rovescio della medaglia sia più importante dell’altro. È veramente così?
Una delle cose che più apprezzo del Taoismo consiste nell’accettazione della contraddizione. Secondo Laozi (o Lao Tsu, Lao Tse… fate voi), la contraddizione è insita nell’esistenza. Yin e Yang, buio e luce, guerra e pace sono solo due aspetti della medesima realtà. Il Tao comprende entrambi gli estremi di ogni coppia di opposti, tra i quali esiste una dialettica continua.
Ma la cosa più interessante è che questi opposti non sono semplicemente due facce della stessa medaglia. Non sono separati tra loro, bensì sono due manifestazioni diverse della stessa realtà. Come ben rappresenta il simbolo del Tao, Yin e Yang non sono solo affiancati, ma si compenetrano. I due aspetti in apparente contraddizione sono intimamente legati tra loro. Di più: sono la stessa cosa.
La contraddizione in realtà non esiste, è solo apparenza, perché tutto quanto si riconduce a un’unità. Che poi si può chiamare per l’appunto Tao, oppure semplicemente esistenza, natura delle cose. Il senso non cambia.
Questa è la visione ontologica che emerge dalle parole di Laozi. C’è poi tutto un portato etico, nelle scarne pagine del Tao Te Ching. L’uomo deve essere in armonia con il Tao, e per riuscirci deve agire in maniera spontanea, semplice, aderendo alla natura delle cose. Mettere da parte l’ego e i desideri personali è fondamentale per avvicinarsi al Tao.
Il Tao Te Ching è spesso ambiguo, ma è innegabile un tentativo da parte di Laozi (o chi per esso) di indicare una via, delle indicazioni di comportamento a cui attenersi. E questo nonostante egli metta in guardia dalla sclerosi a cui portano le regole. Nel suo antidogmatismo, insomma, finisce per fornire un modello. È in un certo senso contraddittorio, ma abbiamo già visto che la contraddizione è costitutiva del mondo.
Data l’ambiguità di cui sopra, il Tao Te Ching è stato non solo interpretato, ma anche tradotto in modi piuttosto differenti. E molti autori hanno privilegiato alcuni aspetti della morale di Laozi, per adattarla alla propria, di morale.
Me ne rendo conto, la tentazione è forte. Ma quasi sempre si finisce per sbilanciare il grande equilibrio del Tao dalla parte della luce. Della pace. Del bene. Come se sì, fossero in effetti un tutt’uno con il buio, la guerra, il male. Ma sotto sotto fossero un pochino più rilevanti, più forti, più importanti delle loro controparti meno popolari. Un momentaneo disequilibrio va bene, ma solo fino a che è funzionale a portare a un nuovo equilibrio.
Non è mia intenzione dire che cosa pensasse Laozi. Innanzitutto perché non ho le competenze e le capacità per farlo. In secondo luogo perché non mi interessa. Il bello della struttura elastica del Taoismo, nella mia opinione, è che non solo non esistono dogmi, ma non esistono nemmeno profeti.
Per cui io posso esprimere il mio pensiero, questo potrebbe anche essere in disaccordo con quello che ha detto Laozi, ma non per questo è meno importante. Insomma, sono sicuro che il buon vecchio Lao non si offenderebbe, se anch’io provassi ad aggiungere del mio alla questione, a interpretare.
Quello che penso, lo si sarà già capito, è che è stato trascurato il Lato Oscuro del Tao. Se gli opposti sono effettivamente un tutt’uno, allora non bisogna creare all’interno del dualismo delle cose un’implicita gerarchia. Il bene vale tanto quanto il male, il buio quanto la luce e via dicendo. O meglio, nessuno dei due opposti vale, perché il concetto di valore in questo caso non ha senso.
Il Tao, in piccolo, si ritrova anche negli uomini. I quali sono anch’essi fatti di contraddizioni, che trovano poi una mediazione (più o meno stabile) in un’unità di comportamento. Si può — e sono convinto che sia lecito e giusto — scegliere come essere nella vita. Ma non si può davvero accettare un lato di sé, se lo si ritiene meno “vero” degli altri.
Ci sono cose, nel nostro modo di essere e di pensare, che ci spaventano. Che ci appaiono oscure. E spesso facciamo di tutto non solo per non metterle in atto, ma addirittura per ignorarle, per fingere che non esistano. Perché sono male, e in quanto tale non sono veramente parte di noi, sono fuori di noi.
Almeno così ci piacerebbe pensare.
Accettare la propria contraddizione, credo, consiste invece nel riconoscere come vero ogni aspetto, anche il più buio della propria personalità. Con questo non voglio poi dire che ci si debba conformare a questi aspetti oscuri. Semplicemente, questi troveranno soluzione nella mediazione che più ci appare ragionevole con gli altri aspetti del nostro io.
Magari, in alcuni casi è auspicabile, non emergeranno mai nei nostri atti. Ma sono pur sempre costitutivi della nostra unità, anzi ne sono addirittura una parte fondamentale come tutti gli altri aspetti di noi. Esserne consapevoli potrebbe rendere più facile trovare un personale equilibrio dialettico.