Quando si pensa al lavoro del traduttore o dello scrittore, l’immagine che si disegna nella mente è quella di una persona immersa nei propri pensieri che siede davanti a un foglio o a un computer e solo lavora con quei pensieri.
Questa era l'immagine che rispecchiava anche la mia personale concezione del "mio" lavoro, prima di partecipare a un corso di traduzione alla Casa delle Traduzioni di Roma, ormai qualche anno fa.
Grazie alle lezioni e alle conversazioni scambiate con i miei colleghi e docenti, la mia idea del mestiere del traduttore è cambiata.
Ho capito che un’attività apparentemente solitaria e “isolante” (nel senso che isola una persona dal mondo esterno, facendola concentrare solo su quello che scrive) come quella del traduttore può essere un’attività corale, di gruppo, di scambio e di aiuto reciproco. che si lavori su un testo letterario come quelli di Salinger o Didion o su un saggio di Paul Valéry, l’esercizio è lo stesso: condivisione di pensieri e ricerca collettiva di soluzioni efficaci.
La dimostrazione di questo esercizio di gruppo è il risultato di questo corso: riproporre gli Esercizi di Stile di Queneau su una frase di Walter Benjamin legata al compito del traduttore, sintesi non solo delle abilità stilistiche individuali, ma soprattutto della capacità di un gruppo di circa 20 persone di dare vita a un lavoro coerente e omogeneo, sebbene proveniente da menti completamente diverse le une dalle altre, accomunate dalla passione per la scrittura, le lingue e la traduzione.
Questa esperienza alla casa delle traduzioni è stata un arricchimento per me e ha cambiato la mia prospettiva sul lavoro del traduttore, insegnandomi che ogni testo necessita di una abilità particolare, che ogni ostacolo può essere superato e che se c’è bisogno di aiuto non si deve temere di chiederlo.
“It is the task of the translator to release in his own language that pure language that is under the spell of another, to liberate the language imprisoned in a work in his re-creation of that work.”
Walter Benjamin, Illuminations: Essays and Reflections
“È compito del traduttore rilasciare nella sua lingua quel linguaggio puro che è sotto l’incantesimo di un’altra lingua, tocca a lui liberare il linguaggio imprigionato in un’opera attraverso la sua ri-creazione di quell’opera” Walter Benjamin
Esercizi di Stile
1)Partita Doppia
Un’attività e compito del traduttore e interprete delle parole e dei pensieri di altrui persone e individui è, o dovrebbe essere, di scrivere e trascrivere, oltre che riscrivere, nella propria lingua e linguaggio quel puro, immacolato verbo e linguaggio che subisce e patisce l’effetto dell’incantesimo, della magia di un’altra, diversa lingua o parlata. Il suo mestiere e compito è quello di liberare, togliere le catene e le briglie al linguaggio, alla lingua imprigionata e imbrigliata in un’opera o in un lavoro creativo, tramite la ri-creazione e re-interpretazione di quella stessa medesima opera artistica o testo creativo.
2) Esitazioni
E dunque pare che un traduttore, o meglio chi dice di saper tradurre, debba saper fare molte cose. O no?
Mi sembra, ma non sono sicuro, che tra queste molteplici cose che si dovrebbero saper fare, ci sarebbe anche quella di interpretare. Giusto? Dico bene? O forse era la capacità di riscrivere? Comunque credo che un traduttore, o interprete, o riscrittore, o forse scrittore ex-novo di pensieri altrui, dovrebbe svolgere molteplici attività. Tra queste forse, quella più importante, ma probabilmente mi sbaglio, dovrebbe essere quella di riscrivere, trascrivere, traghettare nella propria lingua quel linguaggio puro che si nasconde all’interno di un’opera scritta in una lingua ancora diversa. Ma è proprio questa la cosa fondamentale? Non sono sicuro, forse mi sbaglio, ma qualcosa mi dice che è così. Toccherebbe liberare quel linguaggio imbrigliato in caratteri e suoni diversi da quelli della lingua del traduttore. Vero? E come si fa, mi chiedo? Ve lo chiedete anche voi? Stando alla logica, riscrivendolo nella propria lingua, dopo averlo capito, ovviamente. Ma sarà proprio così? Pare che per capire questi miei pensieri esitanti, serva proprio un traduttore.
3)Aspetto soggettivo
Sono una traduttrice, è il mio mestiere. Ci rifletto su. Cosa vuol dire tradurre? Come si svolge il mio lavoro? Mi arriva un testo, lo leggo. Poi ci penso, ci rifletto, lo sviscero, mi soffermo su ogni paragrafo, parola, virgola, punto, spazio e interruzione di pagina. E mi ritrovo con i pensieri dell’autore, che a quel punto sono diventati pensieri miei. E qui inizia il compito del traduttore. Cosa deve fare una persona che trasporta in un’altra lingua i pensieri di un’altra persona? Cosa devo fare io? Semplice: devo riscrivere nella mia lingua quel linguaggio puro, sotteso alla magia della combinazione di caratteri grafici e fonetici della lingua madre dell’autore. Io so che quella lingua pura esiste ed è solo imprigionata in altri segni e suoni. Lo so perché la sento, nella mia mente, nei miei pensieri. Devo solo metterli in ordine, sistemarli, e dare loro voce e suoni che appartengono alla mia, di lingua. Così facendo posso riscrivere un testo, un’opera, un libro. Posso ricrearlo e dare una voce tradotta all’autore, che diventa anche un po’ parte di me.
99) Inatteso
Dopo una giornata di intenso studio, Rachele e Giulia si erano finalmente concesse una passeggiata nei giardini della villa che circonda l’università. Si siedono su una panchina al sole e le raggiunge Sofia.
— Ragazze, come sono stanca oggi!, esordisce Sofia.
— A chi lo dici! Appena finito di studiare, dice Rachele mentre fa posto a Sofia sulla panchina.
— Eh già, anche io!
— Cosa stavi studiando oggi? Chiede Giulia?
— Teoria e storia della traduzione, risponde Sofia.
— Ah già, mi dicesti che seguivi il corso. È interessante?
—Molto, oggi è stata poi una giornata ricca di scoperte!
— Che scoperte? Domandò Rachele
—Ho scoperto, o meglio mi sono accorta della magia della lingua.
— Magia, quale magia?
— Se ci pensate, ogni lingua parla e descrive il mondo da un punto di vista soggettivo, ma in realtà il significato di quelle parole può essere considerato un linguaggio universale, puro.
— E chi lo dice? Dice Rachele.
— Walter Benjiamin.
— Spiegati meglio, non ti seguo, chiede Giulia.
— Benjamin dice che esiste un linguaggio puro che viene modificato dalle diverse lingue naturali. Questo linguaggio porta con sé il senso delle parole che pronunciamo ed è il compito del traduttore riconoscerlo, liberarlo dall’incantesimo della lingua che lo imprigiona e riproporlo in un’altra lingua.
— Che ragionamento complicato. Intende dire che quando leggo un libro tradotto, il traduttore non si è limitato a tradurre le parole nella mia lingua, ma ha dovuto prima riconoscere il significato profondo di quello che traduceva?
— Sì, più o meno. Si tratta di sentire un testo, appropriarsene e riproporlo nella propria lingua, liberandolo dall’incantesimo della lingua dell’autore.
— Esiste un testo che ha quindi vita propria e prescinde anche dall’autore stesso? Chiede Rachele.
— Non lo so, sarebbe un’ottima domanda da fare a Benjamin!
Bell'articolo, dopo anni e anni di lettura, scrittura e uso di materiale multimediale in inglese posso dire che comprendo completamente il tuo messaggio. Molte volte mi sono ritrovato a dover trasportare modi di dire inglesi in italiano e viceversa, oppure certi pensieri particolari che vanno compresi a fondo(senza parlare del linguaggio specifico dei vari argomenti). A volte è questione di ricerca, a volte invece di inventiva nel comporre con le parole il pensiero dell'autore.
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Esattamente, e questo discorso è ancor più vero in narrativa, dove devi non solo mandare un messaggio ma evocare vere e proprie ambientazioni, emozioni, stati d'animo. Le parole devono essere scelte in maniera certosina. è come risolvere un rebus. Ma quando ci riesci è davvero appagante seppur nessuna scelta è davvero quella giusta! La traduzione è per sua natura incompleta.
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