La crescita del mercato dell'Internet of Things porta (o dovrebbe portare) a una maggiore attenzione al trattamento dati. Ecco quali pericoli si corrono
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Probabilmente, si tratta del mercato con la prospettiva (e tasso) di crescita più elevato nell'intero settore elettronico. Secondo alcuni studi, infatti, si stima che entro il 2020 saranno attivi la bellezza di 50 miliardi di dispositivi, che andranno ad aiutarci nelle faccende domestiche, terranno conto della nostra attività fisica, ci guideranno a lavoro o casa, renderanno più divertente e semplice divertirci in casa e fuori casa. Stiamo parlando dei dispositivi e dei sensori dell'Internet of Things, nuovo "territorio di conquista" dei big del mondo hi-tech.
Device destinati a raccogliere e accumulare una grandissima quantità di dati che, se non adeguatamente conservati e trattati, potrebbero rappresentare un pericolo per la privacy dei possessori dei device stessi. Tenendo conto che i sensori potranno essere inseriti all'interno di oggetti di ogni tipo – dagli spazzolini i televisori, passando per automobili, elettrodomestici di ogni tipo e, addirittura, si capisce che potranno raccogliere dati su tutto ciò che facciamo nel corso della giornata.
Vista la grande quantità di dati che è possibile raccogliere – e che, effettivamente, vengono raccolti – è naturale chiedersi a chi appartengono queste informazioni? La loro proprietà – e gestione – resta nelle mani degli utenti che li creano, oppure delle aziende che, grazie ai dispositivi, li raccolgono e li catalogano? Una domanda a cui, ancora oggi, è difficile rispondere, ma dalla quale dipendono la sicurezza e la privacy dei dati.
Di mano in mano
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La domanda posta in precedenza, per quanto semplice possa apparire, è figlia di un quadro normativo ancora in via di definizione e di un utilizzo pratico che è quanto meno complesso. Lo stesso dato, infatti, "passa di mano" più volte senza che si riesca a stabilire, però, un chiaro "diritto di proprietà": si va dalle mani degli utenti, creatori "fisici" delle informazioni, per arrivare a quelle di chi crea e gestisce le app e i software attraverso le quali "vediamo" e analizziamo i dati, passando attraverso quelle di chi crea i dispositivi e sensori. E in questo processo è complesso riuscire a comprendere a chi tocchi "l'onore" (e l'onere) di dover gestire la grande mole di informazioni create. Inutile dire che questa grande confusione finisce con il porre in pericolo la privacy degli utenti, anello debole dell'intera "filiera".
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