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Ciao!
Come spiegato in un precedente post, quello che trovi di seguito è un romanzo che scrissi alcuni anni fa e che ho deciso di revisionare negli ultimi mesi. Il titolo dell'opera è: La bestia dagli occhi di ghiaccio. La versione completa è disponibile su alcune piattaforme online in formato e-book o in cartaceo. Si tratta di un thriller ambientato in Italia, tra le pendici delle Alpi Apuane, che tocca altri generi come l'horror e il fantasy. Ci sono alcuni temi abbastanza forti, per cui consiglio la lettura a un pubblico di età adulta (over 18).
Cliccando sulla corrispondente parola in colore azzurro, puoi trovare:
il PROLOGO | il CAPITOLO 1 | il CAPITOLO 2 e il CAPITOLO 3
il CAPITOLO 4 e il CAPITOLO 5 | il CAPITOLO 6 e il CAPITOLO 7
il CAPITOLO 8 | il CAPITOLO 9 | il CAPITOLO 10 e il CAPITOLO 11
il CAPITOLO 12 | il CAPITOLO 13 | il CAPITOLO 14 | il CAPITOLO 15
il CAPITOLO 16 | il CAPITOLO 17 | il CAPITOLO 18 | il CAPITOLO 19
il CAPITOLO 20 | il CAPITOLO 21 | il CAPITOLO 22 e il CAPITOLO 23
il CAPITOLO 24
oppure puoi proseguire nella lettura del post per trovare il CAPITOLO 25.
Buona lettura!
Copyright © 2013 Davide Simoncini
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LA BESTIA DAGLI OCCHI DI GHIACCIO
Romanzo
Proprietà letteraria riservata. È vietata la modifica, l'utilizzo e la riproduzione, in qualsiasi formato, su qualsivoglia mezzo digitale, cartaceo o di qualunque altra natura, senza il permesso esplicito dell'autore, a eccezione della personale consultazione.
Edizione Modificata e pubblicata nuovamente nel mese di Maggio 2023.
Questo romanzo è un'opera di finzione.
Il contenuto di questo romanzo è quasi interamente fittizio. Ogni riferimento (persone, luoghi, oggetti, avvenimenti, usanze, eccetera) è fittizio o casuale. Per ulteriori informazioni sarà possibile consultare la nota d'autore che verrà pubblicata dopo l'epilogo del romanzo.
CAPITOLO 25
Oggi, Fociomboli e Col di Favilla
Don Luca continuava a urlare. «Non c'è tempo da perdere! Dovete mandarmi subito un elicottero.»
«Si calmi, padre.»
«Non posso farlo!», sbraitò nella cornetta. «Se riuscite a far perdere la pazienza anche a un prete, dovreste chiedervi se le vostre siano davvero le conclusioni giuste. Datemi ascolto, una buona volta!»
«Non è che mi piaccia molto, ma non posso fare altrimenti. Non abbiamo elicotteri disponibili. Appena ce ne sarà uno, giuro che glielo manderò. Ho già allertato le volanti.»
«Sono le solite scuse. Io ho bisogno di qualcuno qui, adesso! Siamo nei guai, dannazione!»
Una breve pausa. L'uomo con cui don Luca stava parlando lasciò la cornetta. Una voce prima in sottofondo prese il comando. «Buongiorno, padre», esordì l'ennesima persona con cui aveva parlato quel giorno. «Qual è il problema?»
«Il problema siete voi che non sapete far altro che da scaricabarile!», gridò infuriato. «Ci sono persone che rischiano la vita, quassù.»
«Sono appena arrivato. Non mi hanno ancora messo al corrente dei dettagli. Si spieghi meglio.»
«Ci sono due tizi armati. Hanno sotto tiro una ragazza. Non so per quanto riusciremo a tenerli a bada. Sono decine di minuti che cerco di convincere i suoi amici ad ascoltarmi.»
In risposta, un respiro sorprendentemente calmo e una bella dose di silenzio.
«Mi ha sentito?»
«L'ho sentita molto bene. Vedrò che cosa posso fare.»
«Esattamente quello che mi hanno detto i suoi amici.»
«Padre, lei non sa con chi sta parlando. Se io dico che cercherò di fare del mio meglio, significa che farò del mio meglio.» Un sospiro. «Non aspetti novità al telefono. Non lo uso mai per le comunicazioni urgenti.»
Don Luca sentì abbassare la cornetta. Rimase immobile, a fissare la parete della sacrestia. Intorno a lui, solo vuoto silenzio.
Almeno aveva sentito pronunciare la parola urgente. Non poteva poi essere un così cattivo presagio.
Rimise al proprio posto il telefono. Cominciò a fare l'unica cosa possibile: pregare.
Ottavio vide la bestia accasciata a terra. Linda era a malapena cosciente, ma lui non sapeva che cosa fare. Vide le ferite che aveva riportato quando la bestia aveva attaccato Daniele. Di riflesso, aveva strappato parte della sua maglia e affondato gli artigli nella carne. I soccorsi erano l'unica alternativa di salvezza. Se non fossero arrivati al più presto, avrebbe rischiato di perdere la persona a cui teneva di più al mondo.
Non voleva nemmeno immaginarlo.
Sentì un singhiozzo. Alzò lo sguardo nella direzione da cui proveniva.
Era Jack.
Si avvicinò all'uomo, chinandosi al suo fianco. I suoi occhi erano ancora aperti. Ed erano bagnati.
Jack stava piangendo.
«Farlo adesso non ti servirà, brutto bastardo», disse a denti stretti. «Nessuno ti perdonerà per ciò che hai fatto.»
Jack inghiottì un grumo di sangue e saliva. Poi gli afferrò il braccio. L'aria contrita, la sua presa sembrava la tenaglia di un granchio. Come un assatanato, lo fissava a occhi spalancati.
Non gli piaceva ammetterlo, ma persino una persona del genere suscitava compassione in quelle condizioni.
«È stata colpa mia», borbottò. «Ho lasciato che Daniele lo facesse.»
Ciò che sentì uscire dalle sue labbra lo spiazzò. Non pensava a quell'uomo come a una persona capace di provare qualcosa. Era certo che fosse un apatico pezzo di merda, senza un briciolo di umanità. L'odio di Ottavio era così profondo che gli avrebbe quasi riso in faccia. Dopo quello che avevano fatto passare a Linda, non avrebbero avuto il suo perdono. «Daniele non ha fatto nulla. Qualunque cosa abbiate fatto, l'avete fatta in due», lo accusò.
Jack mosse appena la testa. Se voleva essere un gesto di assenso, non riuscì a darne l'impressione.
«È vero. Lui ha ucciso Santo e la sua famiglia. Io ho lasciato che lo facesse.» Finì la frase con un colpo di tosse roca. Il suo petto sussultò, fortemente compromesso dalle ferite. L'uomo strinse i denti per il dolore.
Aveva capito bene? Ottavio cercò di scavare più a fondo.
«Mi stai dicendo che non hai ucciso tu quella famiglia?»
Il pizzetto si mosse in segno di diniego. «L'ho uccisa anch'io. Ero lì, mentre Daniele li ammazzava uno dopo l'altro... non sono riuscito a muovere un dito...»
Forse le cose cominciavano a tornare.
La determinazione di Jack. Il suo apparente distacco da ogni tipo di emozione, da qualsiasi comportamento che richiedesse un minimo coinvolgimento emotivo. Tutto questo in funzione del passato, di ciò che era stato quel giorno.
Jack allentò la presa sul braccio di Ottavio. Le sue ultime parole furono la conferma alle sue supposizioni. «Io non voglio più essere debole.»
Ottavio lo vide spegnersi. Prima che lo potesse fare, strinse la sua mano con forza.
Morire, sarebbe morto comunque. Almeno avrebbe evitato di lasciarlo morire come temeva.
Solo.
Lo vide spirare. Passò una mano sul suo viso, chiudendogli le palpebre. Prima di alzarsi e tornare da Linda, fissò il suo volto, non più inespressivo come era abituato a vederlo. Era avvolto dalla paura.
Quell'uomo non era un bastardo fino in fondo. Non era un tizio privo di emozioni. Era una persona che aveva paura. Aveva terrore delle proprie emozioni, così tanto da doversi nascondere dentro se stesso, dimenticando che cosa significasse provare qualcosa.
Venti anni prima era stato testimone di un orrore che a stento poteva essere descritto. Non era stato capace di fermare il suo amico e per questo non si era mai perdonato. Era stato costretto all'apatia. Se avesse evitato di prendere quella decisione inconsapevole, nemmeno Ottavio riusciva a immaginare come Jack avrebbe potuto mai vivere la propria vita. Il senso di colpa lo avrebbe mangiato da dentro. Forse sarebbe morto quel giorno stesso, assassinato dalla propria coscienza. Se non avesse messo completamente da parte le emozioni, tanti anni prima le cronache avrebbero visto un morto in più in quella casa.
Si alzò dal terreno, ritornando in direzione di Linda. Ora, era lei la sua prerogativa. Vide che gli occhi di lei si erano chiusi, però il petto si muoveva ancora.
Si gettò vicino a lei, iniziando a scuoterla. «Linda! Linda!» I suoi richiami non ebbero effetto. Alla fine, la sua amica aveva perso conoscenza.
Imprecò dentro di sé. Cercò di scuoterla ancora, ma invano. Il battito del suo cuore si affievoliva. Nonostante ciò, le mani di Ottavio lo sentivano borbottare. Era come un tremolio in grado di farle oscillare la pelle.
Poi se ne accorse.
Non era Linda o il suo cuore. Non era niente di tutto ciò che la sua mente aveva messo a fuoco.
Veniva da un'altra parte.
Alzò lo sguardo verso il cielo.
E sorrise.
«Preparatevi all'atterraggio», ordinò il comandante. «E non fate caso a qualche turbolenza. È questo coso che non sa volare.»
Dopo aver parlato con il sacerdote, il comandante Sadri si era fiondato sul campo, prendendo le redini dell'operazione. Aveva bloccato l'elicottero in partenza, radunando una piccola squadra di sei uomini: lui, due medici e tre operatori fuori servizio. Anche se avevano tutti terminato il proprio turno, quella del comandante non era una richiesta a cui si poteva rispondere picche.
«Maledizione», imprecò rimanendo saldamente al posto del pilota. «Che diavolo di modello è, questo elicottero? Sembra che lo abbia fabbricato mia nonna »
«Ultima generazione, comandante. Lo abbiamo acquistato due anni fa.»
Lanciò un'imprecazione contro il suo sottoposto. «Diavoli di ditte ultratecnologiche. Anziché fabbricare qualcosa di decente, cercano soltanto di complicare le cose.»
«Oramai gli idrovolanti anni '70 sono passati di moda.»
«Se la tua è una battuta, sappi di essere un pessimo comico.»
Virò verso il basso e sentì la botta derivata dall'impatto con il terreno. Per fortuna non c'era niente di rotto. «Dovrò fare un po' di pratica, ogni tanto.»
«La vecchiaia comincia a farsi sentire, comandante.»
Mentre il suo sottoposto gli voltava le spalle per scendere dal velivolo, Sadri sorrise di gusto.
Quel bastardo del suo agente avrebbe pagato con gli interessi la sua ironia.
«Neri e Masetti hanno chiesto giornata libera. Domani doppio turno, Sabatini.»
Ottavio cercava di tapparsi le orecchie con le mani. Il suono del rotore era così forte da non rendergli possibile spostare le dita. Cercava di tenerle incollate ai suoi padiglioni auricolari, in maniera tale da evitare di perdere l'udito. Fu costretto a rimuoverle quando degli uomini armati scesero dall'elicottero. Con le orecchie coperte da un paio di cuffie, puntavano le pistole intorno a loro.
Ottavio tolse una mano per indicare la sua amica. Cercò la loro attenzione con le urla, ma solo una minima parte andò a segno.
Altri due uomini uscirono dal velivolo. Non erano armati e portavano una valigetta di pronto soccorso. Quando furono a fianco a lui, uno si chinò, mentre l'altro gli urlava: «Siamo medici!»
Ottavio cercò di non perdere la calma, attendendo. Furono istanti di angoscia incredibile. Alla fine, tutto andò per il meglio.
L'uomo a terra richiuse la valigetta e fece un cenno verso il suo compagno. Poi corse via, mentre quest'ultimo dava una pacca sulla spalla di Ottavio, sorridendo.
«Ce la farà.»
Lui annuì.
Il corpo di una donna venne caricato sull'elicottero. Il comandante osservò mentre i suoi rientravano, accompagnati da un tizio sul metro e tanta voglia di crescere, e un altro dallo sguardo preoccupato che si piazzò immediatamente vicino alla ragazza.
«Vada, comandante!»
Lui annuì e fece rialzare l'elicottero. Nel giro di qualche minuto sarebbero arrivati all'ospedale Santa Croce di Castelnuovo di Garfagnana.
Sentì una pacca. Si voltò. Era Sabatini.
«Abbiamo ospiti. Veda di addolcire il volo», gli disse il suo sottoposto. «Detto tra noi, non vorrà fare brutta figura con le signore? Fossi in lei non mi farei conoscere al primo colpo.»
«Sei in vena di sarcasmo, oggi, vero?» Il comandante Sadri sorrise di nuovo, soddisfatto. «Doppio turno anche il prossimo Mercoledì, Sabatini.»
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