Il parto era stato molto facile, senza alcuna complicazione. Il giorno seguente Alberta era già in piedi. Fisicamente poteva dirsi che vantava una salute florida, ma il suo cuore era a pezzi. Dopo aver visto i suoi piccoli per l'ultima volta nel nido dell'ospedale, subito prima delle dimissioni, si era recata presso l'ufficio dell'assistente sociale che si era occupata dell'adozione. La signorina Simone Fraga era una ragazza davvero gentile, caratteristica sempre più rara a quei tempi. Il suo stesso aspetto le conferiva un'aria amichevole, da cui si intravedeva affidabilità. Bruna e snella, di statura a stento nella media, di fronte a una piccola donna come Alberta sembrava quasi alta. Era di qualche anno più vecchia di quest'ultima, ma appariva più giovane, forse per la corporatura ben più esile o forse per via di un visetto tondo dagli sparuti occhi scuri, che un paio di grandi occhiali facevano sembrare ancora più piccolo. Non poteva dirsi una bella ragazza nel senso moderno del termine, a causa di qualche asimmetria nel viso e nella figuretta, non appariscente, ma comunque graziosa. Portava i capelli scuri raccolti in una lunga treccia.
Era arrivato il momento di apporre le ultime firme per il procedimento di adozione e Alberta aveva approfittato per chiedere un favore alla signorina Fraga. Le aveva consegnato le due catenine d'oro e l'aveva pregata di occuparsene affinchè seguissero i neonati. Un regalo fatto con amore, l'unico che i piccoli avrebbero mai potuto ricevere dalla madre biologica. Alberta non gliele aveva messe al collo appena nati, per paura che le catenine potessero accidentalmente strozzarli, trattandosi di bimbi piccolissimi. La signorina Simone era commossa: ovviamente, per via del suo lavoro, conosceva bene i motivi che avevano spinto Alberta a dare i suoi figli in adozione. Una mamma disposta al sacrificio della rinuncia per amore. Sin dall'inizio del procedimento si era sentita in forte ansia per tal caso disperato, dunque si era scervellata per tutto il tempo sul da farsi per trovare una soluzione adeguata in proposito. In un paese del sud Europa che oramai da centinaia di anni non conosceva più alcun sistema pubblico di welfare, del quale si poteva appena leggere nei vecchi libri di storia, una mamma si vedeva costretta a rinunciare ai suoi neonati pur di non farli soffrire per fame e miseria, condannandoli a morte certa per le strade. Dopo aver preso le catenine, anziché consegnarle i documenti da firmare, Simone Fraga si era seduta a trafficare al computer lasciando Alberta in attesa. -Mi aspetti, per favore-. Dopo poco prese il suo telefono personale, anziché quello dell'ufficio, e compose un numero.
-Buongiorno, ho bisogno di parlare con Mary White. Le dica che al telefono è Simone Fraga- disse alla segretaria che aveva risposto alla chiamata.
Quel nome non suonava nuovo ad Alberta. La sua professoressa di chimica, quando ancora era una studentessa di scienze infermieristiche, si chiamava Mary White. In quel momento la docente doveva essere abbastanza in là con gli anni. Era di origine inglese, ma aveva sposato un portoghese, Xavier Coimbra, cattedratico di matematica nella stessa università in cui lavorava. Alberta rammentava bene che la professoressa White trattava sempre gli studenti con molta umanità, pur trattandosi di un'insegnante parecchio esigente. Dopotutto aveva ragione a essere severa: i professionisti in ambito sanitario avevano a che fare con la salute e la vita delle persone. In quel momento, le era sovvenuto un discorso dell'oramai anziana professoressa, che le era rimasto bene impresso nella memoria. Gielo aveva sentito ripetere spesso durante le lezioni, quando la chimica s'incrociava con la bioetica: -Ragione e fede non sono affatto nemiche. Non si escludono. La prima è il punto di partenza e l'altra quello di arrivo. La seconda inizia dove la prima finisce.
Alberta aveva sempre avuto un ottimo rapporto con i suoi professori e trovava illuminante il loro modo di vedere la scienza. Era alquanto insolito che uno scienziato del centro o del sud dell'Europa non fosse un ateo che proclamasse il trito e ritrito clichè secondo il quale la fede è la peggior nemica della scienza. Ma il professor Coimbra e la professoressa White erano cristiani protestanti che risolvevano con poche parole la secolare spinosa questione della contrapposizione tra scienza e fede. Per loro si figurava pacifico che tale conflitto non era altro se non il risultato di latente ignoranza di fondo.
La coppia di professori soleva ripetere un ulteriore discorso in difesa della pacifica convivenza tra scienza e fede. -Anche se la scienza umana presenta i suoi limiti, non vuol certo dire che chiunque pratichi la fede cristiana commetta un errore al dedicarsi al suo studio. Tutt'altro. Limitata non significa sbagliata: limite ed errore non sono sinonimi- affermavano.
Alberta ricordava che il professor Coimbra e la professoressa White, prima dell'inizio del semestre in cui si sarebbe laureata in scienze infermieristiche, erano stati trasferiti in una università della capitale, a seguito di un avanzamento di carriera. E ora, qualora non si fosse trattato di un'omonimia, la sua antica insegnante di chimica sembrava poter fare qualcosa per lei.
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